di Nicola MAINIERI e Maria Giulia TOVINI
L’autoriciclaggio, articolo 648-ter 1 del codice penale, è stato introdotto nel nostro Paese dall’art. 3 comma 3 della legge 186/2014, con decorrenza dal 1° gennaio 2015.
La norma punisce “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo”, svolga poi una serie qualificata di comportamenti di carattere “auto-riciclatorio”, ponendo così un concreto ostacolo all’identificazione della loro provenienza delittuosa.
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5. ASPETTI TEMPORALI DELLA CONDOTTA: IL REATO PRESUPPOSTO COMMESSO PRIMA DELL’ENTRATA IN VIGORE DELL’ART. 648 TER 1 E IL REATO PERMANENTE
Uno dei primi profili problematici che l’introduzione della nuova norma presentava ha riguardato la questione del tempus commissi delicti in presenza di un nuovo reato che poteva avere come presupposto illeciti commessi prima della sua entrata in vigore; si trattava cioè di valutare sotto l’aspetto criminoso condotte di carattere autoriciclatorio, come tali rientranti nel nuovo art. 648 ter 1, ma i cui reati presupposto fossero stati – in tutto o in parte – compiuti prima del gennaio 2015.
La Cassazione ha fugato ogni dubbio con la sentenza n. 3691/2016. Gli ermellini hanno ritenuto imputabile l’autore per il delitto di cui all’art. 648 ter 1, considerando irrilevante la commissione del reato presupposto in epoca antecedente al gennaio 2015 e valutando quindi impropria l’invocazione del principio di irretroattività della legge penale.
Rilevante ai fini della decisione è stato unicamente il fatto che il reato presupposto fosse già previsto dalla legge come tale nel momento della sua commissione. In particolare, la Corte si sofferma sul terzo punto di doglianza del ricorrente, contro il precedente sequestro di beni operato dal Tribunale del riesame, mirante ad escludere l’ipotesi dell’art. 648 ter 1, rigettando l’impugnazione “attesa l’irrilevanza della realizzazione, in epoca antecedente l’entrata in vigore di tale normativa, delle condotte…assunte ad ipotesi di reato presupposto”. La Cassazione, ancora, considera che “impropriamente viene invocato il principio di irretroattività della norma penale…in relazione ad un reato, quale quello dell’autoriciclaggio, nel quale soltanto il reato presupposto si assume commesso in epoca antecedente l’entrata in vigore della l. 15/12/2014 n.186, ma quando lo stesso reato era già previsto dalla legge, mentre l’elemento materiale del reato di cui all’art. 648 ter 1 risulta posto in essere…ben successivamente all’introduzione della predetta normativa”.
In senso conforme si era già espressa ampia parte della dottrina, argomentando dal riferimento al terzo comma del 648 “ricettazione” (con cui si è detto il riciclaggio ha un rapporto di specialità) “le disposizioni di questo articolo si applicano anche l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità”. Se ne era fatto derivare che il reato da cui si generano i proventi non costituisca elemento integrativo ma solo presupposto della condotta.
La scelta adottata può definirsi “pragmatica” in quanto basata sulla temporalità della condotta di cui al 648 ter 1; ci si è chiesti però se si possa ipotizzare un limite a quanto tempo addietro il reato presupposto possa essere stato commesso, anche in base a considerazioni di carattere costituzionale. Resta comunque aperta la questione riferita al compimento di una nuova condotta riciclatoria: ad es. se il soggetto ha ostacolato l’identificazione della provenienza del reato in epoca anteriore all’entrata in vigore del nuovo reato, quali caratteristiche dovranno avere nuove attività del genere per “riaprire” i tempi di commissione del nuovo reato? La novità della norma sull’autoriciclaggio, la sua formulazione e l’applicazione a molti di quei reati che non davano luogo al riciclaggio per via della predetta clausola di riserva rendono le future pronunce della Corte in materia di grande interesse per chi è chiamato ad applicarle(35).
La Suprema Corte ha, inoltre, affrontato la c.d. tematica “intertemporale”: quella cioè inerente a condotte di natura riciclatoria ma frammentarie e progressive e se queste possono portare a considerare il reato di autoriciclaggio, tipicamente a forma istantanea, come reato permanente.
Come noto, infatti, quest’ultimo si configura nel momento in cui il soggetto agente prima ponga in essere la condotta illecita e, in seguito, persista nella condotta stessa; i requisiti di tale forma di reato sono quindi la continuità del comportamento criminoso, la volontà e la persistenza della condotta, ritenuti tutti sussistenti nel caso in esame. I reati permanenti sono inoltre assoggettati a una particolare disciplina sotto diversi profili. Innanzitutto il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è “cessata la permanenza”; in secondo luogo, il concorso di terzi può inserirsi in un momento successivo all’inizio della fase consumativa; ancora, il reato è sottoposto sia alla legge vigente all’inizio, sia a quella entrata in vigore durante la fase consumativa.
Nella decisione n. 40890 del 2017(36) la Corte, richiamando alcune precedenti sentenze sul reato di riciclaggio(37), ricorda anzitutto che plurime operazioni finanziarie e bancarie – come quelle del caso ivi affrontato, ossia qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, e dunque anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato e acceso presso un diverso istituto di credito – assumono autonoma rilevanza penale, non potendo essere considerate alla stregua di un “post factum” non punibile. Con particolare riferimento, poi, al profilo intertemporale, la Corte rileva “che il delitto di cui all’art. 648 ter 1, pur essendo a consumazione istantanea, è reato a forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente quando il suo autore lo progetti ed esegua con modalità frammentarie e progressive” e che “basta per il resto aggiungere che numerose operazioni finanziarie e bancarie sono state poste in essere dall’imputato dopo l’entrata in vigore della nuova norma incriminatrice”.
Quanto sopra sembra costituire ulteriore conferma di un’interpretazione estensiva della nuova fattispecie penale, in quell’ottica normativa e giurisprudenziale che guarda con sempre maggior disfavore la costituzione e l’occultamento dei patrimoni illeciti.
6. L’ATTIVITÀ FINANZIARIA” E L’INTERPRETAZIONE FORNITA DALLA CORTE
Come si è avuto modo di vedere, il 648 ter 1 si applica ai casi in cui l’autore impiega, sostituisce, trasferisce i proventi del delitto presupposto “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”. La dizione è più ampia rispetto a quella prevista dall’articolo 648 ter sull’impiego (dell’extraneus) che si riferisce invece ai soli impieghi “in attività economiche o finanziarie”.
Sembrerebbe, dunque, che il legislatore dell’autoriciclaggio abbia voluto ampliare la punibilità delle condotte ivi sanzionate.
Per quanto riguarda l’“attività economica”, la Cassazione si è più volte espressa riferendola a quella disciplinata dall’art. 2082 cod. civ. che, come noto, definisce imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione di beni o servizi”, intendendosi per tale “non solo l’attività produttiva in senso stretto ma…altresì ogni altra attività che possa rientrare in una delle…norme del codice civile” (ossia gli artt. 2082, 2135 e 2195)(38).
Di maggiore interesse, in termini delle ricadute sulla punibilità, risulta la valutazione dell’attività a carattere autoriciclatorio quando l’impiego avvenga in attività “finanziarie”, valutazione espressa sinora in tre sentenze della Suprema Corte.
Nella prima, la n. 33074 del 28 luglio 2016, la Cassazione era chiamata a valutare se costituisse autoriciclaggio il mero deposito su una carta prepagata di contanti proveniente da furto – e conseguente utilizzo – di un carta bancomat. La Corte ha argomentato in primo luogo che “in assenza di una precisa nozione contenuta nel codice penale ovvero in quello civile” la nozione di attività finanziaria può ricavarsi dal Testo Unico Bancario(39) che all’art. 106, “individua quali tipiche attività finanziarie l’assunzione di partecipazioni, la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, la prestazione di servizi di pagamento e l’attività di cambiovalute”. Conseguentemente la Corte ha escluso che la condotta degli indagati potesse rientrare in alcuna delle predette attività. In secondo luogo la sentenza ha anche escluso che l’attività sottoposta avesse caratteristiche idonee ad “ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa”: ciò dal momento che il legislatore “richiede che la condotta sia idonea a fare ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita…ipotesi questa non ravvisabile nel versamento di una somma in una carta prepagata intestata alla stessa autrice del fatto illecito”.
Sembra opportuno evidenziare, in proposito, il ben maggior disfavore che la Corte riserva alle attività di “ripulitura” del denaro di illecita provenienza e/o di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa nei casi invece riconducibili al 648 bis, dove – con costante giurisprudenza – ha invece affermato che si sia in presenza di un fatto di riciclaggio ogni qualvolta il singolo, ricevuta una somma di denaro provento di reato, lo reimpieghi mediante versamento su conti correnti bancari intestati “a proprio nome” con l’intento di mascherare l’effettiva provenienza dello stesso e con la consapevolezza che in tal modo sarebbe possibile reimmetterlo sul mercato per compiere attività finanziaria o immobiliare in modo da rendere più difficile l’accertamento della sua provenienza. Secondo la Cassazione per tal via, infatti, il denaro proveniente da reato perde la sua individualità e viene a confondersi con somme aventi provenienza lecita e depositate regolarmente presso la banca(40).
La sentenza n. 33074/2016 sull’autoriciclaggio in esame viene esplicitamente considerata, dalla stessa Corte – come conseguenza della scelta legislativa improntata alla teoria del post factum non punibile, ogni volta che la condotta non realizzi quel “concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento”(41).
Nel 2018 la Corte è tornata ad affrontare la questione con la sentenza n. 38422(42). Il caso sottoposto riguardava un direttore amministrativo del tribunale, accusato di aver rappresentato ad un ampio numero di utenti la necessità di fornire valori bollati in misura superiore rispetto al dovuto, appropriandosi poi di quelli in eccesso. In questa situazione i giudici di Cassazione hanno sostenuto – anche per l’autoriciclaggio oltre che per il reato di “impiego” – che la nozione di attività economica o finanziaria sia “desumibile dagli artt. 2082, 2135 e 2195 c.c.”, e faccia riferimento anche “ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile”, secondo quanto già si è esaminato per la sentenza 33076 del 14 luglio 2016. La sentenza n. 38422 conclude con il rinvio al Tribunale del riesame “per una nuova valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza (…) in ordine al reato di autoriciclaggio, che andrà effettuata non già con riferimento alla liceità o meno dell’attività di reimpiego dei valori bollati, bensì sulla base del numero delle operazioni realizzate, della loro ripetitività, e degli altri parametri evidenziati dagli artt. 2082, 2135 e 2195 cod. civ.”.
In proposito non può non rilevarsi che i “parametri” testè citati risultino non del tutto soddisfacenti per quanto riguarda la specifica dell’attività finanziaria, sembrando piuttosto riferibili ad un’attività di carattere più imprenditoriale che finanziario. L’art. 2082, come noto, si occupa infatti di definire l’attività economica organizzata al fine dello scambio di beni e servizi, mentre l’art. 2135 contiene la disciplina dell’imprenditore agricolo e l’art. 2195 quella degli imprenditori commerciali, soggetti obbligati all’iscrizione nel registro delle imprese.
L’argomento trova una sua recentissima valutazione con la sentenza di Cassazione n. 3609 del gennaio 2019, in precedenza esaminata sul tema del concorso dell’extraneus(43), con la trattazione del caso di versamento di somme provenienti da attività concussiva (effettuate dal marito dell’imputata) su un libretto di deposito di una cooperativa di consumo e del successivo prelevamento mediante assegni.
Sebbene il fatto fosse riconducibile alla fattispecie di cui al 648 ter 1, la sua commissione prima dell’entrata in vigore della l. 186/14 non rende – anzitutto – applicabile la nuova norma incriminatrice. Ciononostante, in punta di diritto, i giudici hanno comunque ragionato che detta condotta non potesse essere considerata né quale “attività economica” non essendo finalizzata alla produzione di beni o alla fornitura di servizi, né quale “attività finanziaria con ciò facendosi riferimento ad ogni attività rientrante nell’ambito della gestione del risparmio ed individuazione degli strumenti per la realizzazione di tale scopo”.
Tale decisione, se da un canto ha il merito di estendere l’ambito di “attività finanziaria” da quelle – prima esaminate previste dal solo art. 106 del T.U.B. – a quelle, qui peraltro solo ipotizzate, di gestione del risparmio di cui al Testo Unico della Finanza – T.U.F.(44), dall’altro sembra risultare ancora non pienamente esaustiva circa la portata del “concreto ostacolo” all’identificazione della provenienza delittuosa rappresentato dall’impiego/sostituzione/trasferimento in attività finanziarie dei proventi, che la norma dell’autoriciclaggio pure pone come elemento costitutivo della condotta ivi sanzionata. Si pensi, ad esempio, all’impiego dei proventi di un delitto che l’autore del delitto stesso potrebbe occultare in strumenti finanziari “opachi” e tali – anche per via della loro transnazionalità con controparti in Paesi poco collaborativi – da risultare di ostacolo al recupero giudiziale dei fondi illeciti sottostanti cui pure la norma dell’art. 648 ter 1 tende in concreto.
Intervento di:
Nicola MAINIERI, Avvocato, Dirigente senior della Banca d’Italia – Dipartimento Vigilanza. Responsabile del Nucleo a supporto dell’Autorità Giudiziaria.
Le opinioni espresse dall’Autore non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza.
Giulia Maria TOVINI, dr.ssa in Giurisprudenza, attualmente internship trainee ℅ Sadas.
to be continued 4/5
(35) Sul punto vedi anche N. MAINIERI, Il reato di autoriciclaggio passa per la prima volta al vaglio della Cassazione, in Diritto e Giustizia Web, 19 febbraio 2016.
(36) Cass. Pen, Sez. II, 7 settembre 2017, n. 40890.
(37) Cfr. Cass. Pen, Sez. II, 27 aprile 2016, n. 29611; Cass. Pen., Sez. VI, 3 ottobre 2013, n. 13085.
(38) Cass. Pen., Sez. II, 28 luglio 2016 n. 33076 che richiama la precedente sentenza della stessa Corte n. 5546 dell’11 dicembre 2013 sul reato di impiego, 648 ter.
(39) D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e successive modifiche.
(40) Cfr. da ultimo Cass. 1924/2016 e 943/2018.
(41) Di cui meglio si dirà nel successivo paragrafo 9.
(42) Cass. Pen., Sez. II, 9 agosto 2018, n. 38422.
(43) Cfr. paragrafo 4.
(44) D.Lgs. 24 febbraio n. 98 e successive modifiche.
Questo articolo è stato pubblicato su GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 3