All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, giacché una siffatta valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può, pertanto, eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.
Di talché, il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte.
La responsabilità giuridica dell’amministratore può, dunque, discendere dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti.
Se, dunque, gli amministratori hanno agito con la dovuta diligenza e, malgrado ciò, abbiano scelto di compiere operazioni imprenditoriali che si siano rivelate inopportune, il principio dell’insindacabilità nel merito delle loro scelte, implica che gli amministratori non sono responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società.
La questione trattata
Il Tribunale Civile di Roma – Sezione Specializzata Imprese – 15 settembre 2020 ha sottolineato un principio sacrosanto riportando al centro della discussione la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 della nostra Carta Costituzionale la quale stabilisce che “L’iniziativa economica privata è libera”; gli unici limiti con cui si scontra sono che “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
La regola dell’insindacabilità delle scelte gestorie degli amministratori di società di capitali (c.d. business judgment rule) può trovare applicazione anche con riferimento alle scelte organizzative, incombenti sugli amministratori ai sensi dell’art. 2381 c.c.
La funzione di predisporre assetti organizzativi adeguati rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche.
Il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è, però, assoluto: la scelta di gestione è insindacabile se è stata legittimamente compiuta e se non è irrazionale.
La riforma della crisi d’impresa
L’art. 375 CCI, previsto dal Decreto Legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019, ha profondamente modificato l’art. 2086 c.c., aggiungendovi un secondo comma e sostituendo la relativa rubrica denominandola “Gestione dell’impresa”.
Il secondo comma prevede che: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
L’adeguatezza del sistema organizzativo deve essere vagliata in ragione della natura, dimensione e complessità dell’impresa in questione.
È evidente che il dovere imposto dall’art. 2086 c.c. comporta una compressione della discrezionalità dell’imprenditore nella gestione e organizzazione dell’impresa.
Appare dunque fondamentale domandarsi quali siano i limiti entro cui si possa esplicare la valutazione del giudice chiamato a pronunciarsi in sede civile sulla responsabilità degli amministratori.
La business judgment rule e le scelte inerenti gli assetti organizzativi
Secondo i giudici capitolini il problema del rapporto tra l’ambito operativo del principio della business judgment rule e le scelte inerenti gli assetti organizzativi si pone in quanto l’opzione organizzativa rientra nel concetto di gestione societaria, nel senso che l’organizzazione diviene espressione di scelte di fondo di tipo gestionale ed è, a sua volta, funzionale all’adozione di decisioni in grado di orientare, influenzare e dirigere la gestione, anche nel momento di crisi.
L’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.
Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità (cfr., Cassazione civile, sez. I, 28 aprile 1997, n. 3652).
Il principio cardine su cui si fonda la regola della business judgment rule è che gli amministratori non possono essere responsabili della gestione dell’impresa sociale ha avuto un cattivo esito.
La valutazione sull’eventuale responsabilità giuridica dell’amministratore non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute ma, dalla mancata adozione di quelle cautele o, la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa, ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti.
Non può infatti prescindersi dall’ovvia considerazione che la diligenza è qui espressione del fondamentale dovere di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 c.c..
In altre parole, il principio a cui ispirarsi è che l’amministratore ha solo il dovere di gestire l’impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza: non ha, al contrario, l’obbligo di amministrare la società con successo economico.
Se, quindi, gli amministratori hanno agito con la dovuta diligenza e, malgrado ciò, abbiano scelto di compiere operazioni imprenditoriali che si siano rivelate inopportune, il principio dell’insindacabilità nel merito delle loro scelte comporta che gli amministratori non sono responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società.
Ovviamente bisogna evidenziare che, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto.
La giurisprudenza ha, infatti, elaborato due particolari limiti:
- il primo è che la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta);
- il secondo è che la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre).
In relazione al primo profilo, se è vero che le scelte gestionali discrezionali non sono sottoposte a sindacato di merito, è pur vero però che, nel caso concreto, va sempre valutata la diligenza mostrata nell’apprezzare i rischi connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite che con l’ordinaria esperienza e diligenza erano prevenibili (in questi esatti termini, Cassazione civile, sez. I, 12 agosto 2009, n. 18231.
Riguardo al secondo profilo, non basta che l’amministratore abbia assunto le necessarie informazioni ed abbia eseguito (attraverso l’uso di risorse interne o di consulenze esterne) tutte le verifiche del caso, essendo pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse: è stato correttamente osservato in dottrina che l’amministratore che abbia svolto tutte le verifiche necessarie e consultato tutti gli esperti disponibili e, nonostante ciò, effettui una scelta gestionale non razionalmente inerente alle informazioni ricevute e dannose per la società non sarà irresponsabile nei confronti della società, ma, al contrario, doppiamente responsabile, per gli inutili costi dell’informazione e per il danno arrecato.
L’applicazione della business judgment rule
A questo punto, sarebbe il caso di domandarsi se la regola della business judgment rule, nata e sviluppatasi con riferimento alle scelte imprenditoriali degli amministratori, possa applicarsi alle scelte «organizzative» da essi poste in essere.
Il Tribunale romano l’ordinanza (cfr. Trib. Roma, 08.04.2020 RG n°8159-1/2017), ha dato risposta affermativa, partendo proprio dalla formulazione del già citato art. 2381 c.c., che pone a carico degli amministratori il dovere di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.
Secondo i giudici, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.
E va da sé che tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto guardando non tanto a rigidi parametri normativi, quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina.
In definitiva, la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio, per la quale vale il criterio della insindacabilità e ciò pur sempre nella vigenza dei limiti sopra esposti e, cioè, che la scelta effettuata sia razionale (o ragionevole), non sia ab origine connotata da imprudenza tenuto conto del contesto e sia stata accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
Adeguati assetti VS business judgment rule
Acclarata, dunque, la applicabilità della regola della business judgment rule anche alle scelte organizzative, appare necessario esaminare il modo di atteggiarsi della regola suddetta con riferimento ai doveri codificati nella nuova formulazione dell’art. 2086 c.c..
Ed invero, un sicuro elemento di novità introdotto dall’intervento normativo del 2019 è rappresentato dal fatto che i doveri degli organi di gestione, che sino ad ora erano stati declinati tendenzialmente nel momento della crisi già in atto, vengono in rilievo già nella fase pre-crisi.
Come già evidenziato, infatti, l’art. 2086 c.c. sancisce il dovere degli amministratori di adottare adeguati assetti organizzativi con la doppia finalità:
- di rilevazione tempestiva della crisi e,
- di intervento tempestivo al fine del superamento della stessa.
Ci si deve, allora, chiedere se sia configurabile (ed entro che limiti) una responsabilità degli organi di gestione nel caso in cui non sia stata fatta alcuna pianificazione, non vi sia stata alcuna attenzione agli indizi di pre-crisi e non sia stato adottato alcun assetto organizzativo a tal fine ovvero nel caso in cui gli indizi siano stati rilevati e la pianificazione sia stata fatta, ma le scelte organizzative degli amministratori si siano rivelate inefficaci al fine della risoluzione della crisi e si sia, comunque, arrivati al fallimento con danno per i creditori.
Sotto altro profilo, si tratta, quindi, di capire in primo luogo se ed in quali termini possa essere sindacata la scelta di una determinata struttura organizzativa piuttosto che un’altra, ai fini della rilevazione tempestiva degli indici della crisi e della perdita della continuità aziendale.
In secondo luogo, si tratta di capire se un eventuale deficit organizzativo possa consentire di affermare la responsabilità dell’organo gestorio laddove siano state assunte determinate scelte relative alla pianificazione degli interventi per prevenire la degenerazione della crisi, che poi si siano invece rivelate dannose o fallimentari.
Ebbene, ritiene il Tribunale che sotto entrambi i profili (sia quello della rilevazione della crisi, sia quello degli interventi conseguenti), le scelte dell’amministratore – siano esse prettamente gestionali, siano esse di tipo organizzativo – possano essere sindacate nei limiti del principio della business judgment rule.
Di conseguenza, mentre da un lato appare certo che la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporti di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’altra, si ritiene possibile assoggettare a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (e, precisamente, in questo ambito secondo i criteri della adeguatezza), ciò al fine di verificare se fosse idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio sia ragionevole e non manifestamente irrazionale. Ed è evidente che tale verifica andrà effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti. Ciò in quanto la responsabilità dell’amministratore presuppone pur sempre una condotta colposa o dolosa.
In conclusione
Ne deriva che dovrà considerarsi responsabile l’amministratore che ometta del tutto di approntare una qualsivoglia struttura organizzativa, rimanendo inerte di fronte ai segnali indicatori di una situazione di crisi o pre-crisi.
Per contro, non potrà ritenersi responsabile l’amministratore che abbia predisposto delle misure organizzative che, con una valutazione ex ante, erano adeguate, secondo le sue conoscenze e secondo gli elementi a sua disposizione, a verificare tempestivamente la perdita della continuità aziendale.
Parimenti, non potrà ritenersi responsabile l’amministratore che, pur avendo tempestivamente rilevato, grazie alla struttura organizzativa predisposta, il venir meno della continuità aziendale ponga in essere degli interventi che, successivamente si rivelino inutili ad evitare la degenerazione della crisi (ed eventualmente il fallimento della società), qualora tali interventi sempre sulla base di una valutazione ex ante – non risultino manifestamente irrazionali ed ingiustificati.