Dal 18 ottobre scorso, è scattato l’obbligo di gestione degli appalti con strumenti telematici.
I dati parlano chiaro: la digitalizzazione consente risparmi del 10/15% sul valore degli acquisti pubblici, oltre a imporre standardizzazione e semplificazione delle procedure, con abbattimento del contenzioso e drastica riduzione dei tempi di espletamento delle gare.
Infine, gli appalti telematici garantiscono tracciabilità e trasparenza, molto meglio di mille norme anticorruzione.
Tutto bene, dunque?
Non certo in un Paese come il nostro, dominato da una insana bulimia regolatoria, dove tutto va descritto e prescritto perché nessuno cada in tentazione. Dove il Codice Appalti è un vero e proprio manuale di enigmistica giuridica, che da una parte crea sconcerto e disaffezione tra gli addetti ai lavori, pubblici e privati che siano. Dall’altra, lascia gli apparati centrali liberi di pontificare, senza mai dover rendere conto a qualcuno.
Troppo attenti al rispetto della Norma, meglio di una delle possibili interpretazioni della Norma, ovvero quella che ritengono la corretta lettura della norma.
Sugli appalti telematici si sono espressi: AGID – l’Agenzia per l’Italia digitale -, ANAC, ANCI – la storica Associazione dei Comuni -, CONSIP, MEF – il Ministero delle Finanze – e MIT – il Ministero delle Infrastrutture -. Tanti galli a cantare e per giunta senza spartito.
A battere tutti sul tempo è stato il MEF, socio unico di Consip, che, fin dal 2011, per promuovere l’e-procurement, ha reso disponibile, in riuso gratuito, la piattaforma telematica della Centrale di committenza monopolista. Un approccio che ricorda le brioche della Regina Antonietta. La piattaforma è troppo complessa e la gestione richiede risorse enormi. A otto anni di distanza, non si ha notizia di una Stazione Appaltante che sia riuscita ad utilizzare questa generosa disponibilità.
Più conveniente il ricorso a piattaforme “private” (più usabili ed accessibili) con la formula “pay for use” ponendo in capo agli aggiudicatari, una fee a copertura del costo. A fine 2012, il MEF vara un decreto(1) che fissa nel 1,5% il valore massimo della fee, che Consip può imporre agli aggiudicatari. Una norma generale o ad personam? Consip chiarisce subito il proprio pensiero: chiunque altro utilizzi la norma lede un precetto costituzionale, “a mente del quale” ogni onere imposto al privato va sorretto da una precisa disposizione legislativa. Insomma, la norma è mia e la gestisco io.
La questione finisce avanti al Consiglio di Stato, il quale sentenzia che nulla vieta di addebitare all’aggiudicatario il rimborso dei costi di gara. Senza necessità di una norma esplicita che lo prescriva. Uno smacco per Consip, il cui grido di dolore viene, di fatto, raccolto da ANAC, che trasmette a Governo e Parlamento un Atto di Segnalazione(2) per l’introduzione di una norma con cui sia espressamente previsto il divieto, salvo diversa previsione di legge (la norma pro Consip, ndr), di porre le spese di piattaforme elettroniche a carico dell’aggiudicatario della procedura di gara.
Due anni dopo, ad aprile 2017, il divieto viene inserito nel Codice Appalti sia pur emendato della parte in grassetto, indecorosamente a tutela di Consip. Doppio smacco per ANAC, perché non passa la difesa di Consip e sopratutto perché, mentre si avvicina l’obbligo di appalti telematici, è riuscita a far vietare un meccanismo (la fee) che stava portando ad un’ampia diffusione delle piattaforme.
Interviene, un anno dopo, ANCI sostenendo che i Comuni non sono pronti e chiede un rinvio motivandolo con la mancanza delle “regole tecniche aggiuntive”(3) che avrebbe dovuto emanare AGID, la quale chiama in causa il mancato aggiornamento da parte del MIT di una propria Circolare del lontano 2016(4). E chiarisce che, in ogni caso, le regole aggiuntive riguardano la modifica del formato di un documento da pdf a xml, che sempre tracciati digitali sono. Quindi nessun ostacolo agli appalti on line.
Accortasi, poi, che la norma era improrogabile, perché l’obbligo era scattato nel termine ultimo fissato dalle direttive europee, datate ben quattro anni e mezzo prima, ANCI ha diffuso un documento in cui suggerisce di derogare alla norma (sic!), invocando pretesti vari tra cui ancora la presunta inadempienza di AGID e chiudendo con un cavillo esilarante, in base al quale è possibile considerare come comunicazioni elettroniche anche quelle realizzate con buste cartacee contenenti strumentazioni elettroniche (chiavette USB, CD, etc…).
Per chi si aspettava una parola di chiarezza da parte di ANAC, puntuale, il 30 ottobre, appare un Comunicato dell’Autorità(5), che però, si limita a richiamare Monsieur de La Palice: il Codice impone gli appalti telematici con eccezione degli acquisti sotto i 1000 euro, in quanto esclusi dall’ambito di applicazione del Codice.
Il 19 dicembre, l’Autorità ritorna sulla vicenda con un involuto Atto di Segnalazione(6) a Governo e Parlamento proponendo modifiche alla norma. Non si capisce quali modifiche sarebbero necessarie e nemmeno il perché. In compenso si capisce che ANCI potrebbe anche aver sbagliato, perché ANAC si lascia scappare che la sua proposta non appare convincente. Un garbato omaggio a Monsignor Della Casa.
Il 20 gennaio scorso, il MIT finalmente mette un punto fermo ribadendo, senza se e senza ma, che l’obbligo di comunicazioni elettroniche è valido per ogni tipologia di appalti, fatto salvo quanto stabilito dallo storico Comunicato ANAC del 30 ottobre 2018 sugli acquisti sotto i mille euro.
Mentre si afferma ad ogni livello la consapevolezza che la digitalizzazione degli appalti rappresenta un argine indiscusso a corruzione e mala gestio, gli apparati romani sembrano comportarsi come damerini garbati, ma auto referenti.
Attentissimi al bigottismo normativo, molto meno alla necessità di una concorde azione per portare tracciabilità e trasparenza in un settore delicato come il mercato degli appalti.
Per i riferimenti normativi, consultare i seguenti link:
(1) MEF – Decreto 23 Novembre 2012
(2) ANAC – Atto di Segnalazione n. 3 del 25 Febbraio 2015
(3) Regole Tecniche Aggiuntive (AGID, Codice dei Contratti Pubblici)
(4) MIT – Circolare n. 3 del 18 Luglio 2016
(5) ANAC – Comunicato del Presidente del 30 Ottobre 2018
(6) ANAC – Atto di Segnalazione n. 7 del 19 Dicembre 2018