Questo è l’augurio che dobbiamo farci all’inizio di questo anno.
L’art 30 dello schema di decreto legislativo del nuovo codice degli appalti approvato in via preliminare il 15 dicembre 2022 dal Consiglio dei Ministri (predisposto da una Commissione speciale del Consiglio di Stato) prevede che, nella fase di valutazione delle offerte, sia possibile far ricorso strumenti riconducibili all’intelligenza artificiale e ai “registri distribuiti” (tra cui la blockchain).
Ci si dimentica che il problema fondamentale dei nostri appalti è rappresentato dalla vaghezza dei nostri capitolati(1)!
Applicare un algoritmo a offerte stese sulla base di capitolati vaghi che risultato potrà mai dare? Se l’algoritmo è ben impostato si dovrebbe bloccare. Temo che non sarà così.
Temo che, per il fatto di applicare strumenti informatici che vengono percepiti come quasi magici, il risultato verrà percepito come inoppugnabile anche se la vaghezza della richiesta che sta alla base, riconducibile alla vaghezza dei capitolati, rende il processo decisionale completamente erratico.
Il fatto è che non si guarda al vero problema ma si cercano vie d’uscita mirabolanti facilmente utilizzabili per una narrativa dissociata dalla realtà.
Il 7 luglio di questo anno è entrato in vigore il decreto ministeriale n. 71 del Ministro della sanità con cui, di fatto, si riversano sulle ASL italiane una quantità notevole di miliardi di euro per la realizzazione di strutture fisiche per porre un rimedio alla debolezza principale della nostra sanità emerse in occasione della pandemia: cioè per la realizzazione di poliambulatori pomposamente denominati “case della salute”. Anche qui non si guardano i problemi veri ma ci si riempe la bocca con i miliardi di euro che vengono stanziati. Il problema vero della nostra sanità, sopra tutto di quella territoriale, è rappresentato dal fatto che i nostri ospedali pubblici e i nostri poliambulatori pubblici (oggi chiamati spesso distretti) non hanno:
- né personalità giuridica
- né (conseguentemente) autonomia contabile.
Il nostro sistema sanitario nazionale soffre di una malattia genetica riconducibile alla sua creazione tramite la legge 833 del 1978: la legge 833/1978 (legge quadro cui tutte le legislazioni regionali si sono dovute adeguare). Nel 1978 (annus orribilis dell’omicidio Moro) si è dovuto pagare un prezzo politico per avere il sostegno del PCI al governo. Parte sostanziale di questo prezzo è stata l’architettura del sistema sanitario nazionale, concepita con una prospettiva propria della cultura comunista del periodo e cioè una architettura basata sull’abolizione della distinzione tra offerta e domanda e pertanto basata sulla programmazione pervasiva che annichilisce la possibilità del cittadino di fare scelte. Il sistema che ne è risultato (e che sopravvive nonostante i coraggiosi tentativi fatti dal Ministro DE LORENZO agli inizi degli anni ‘90 dello scorso secolo) è talmente confuso che di fatto le compagnie di assicurazione si rifiutano di assicurare le nostre ASL (rifiuto che si concretizza in una offerta caratterizzata dalla richiesta di premi altissimi e insostenibili). Ne consegue che le nostre ASL non sono assicurate(2)!
Ci si sarebbe potuto/dovuto aspettare che un governo di centro destra, quale quello che abbiamo da qualche settimana, si sarebbe dovuto concentrare su questa caratteristica di tipo sovietico della nostra sanità. Ma anche qui il vero virus sembra essere ignorato e ci si illude che il problema sia di tipo finanziario. Aumentare le risorse ad un sistema così caotico servirebbe a poco. Qui è necessario mettere mano al problema vero: riportare chiarezza nel sistema:
- chiarendo la separazione tra domanda e offerta,
- individuando le responsabilità delle varie strutture (quindi conferire personalità giuridica e autonomia contabile a ospedali e distretti/poliambulatori/case della salute) e
- rivalutando il ruolo dei medici di base come professionisti liberi e non più come impiegati di un sistema che si pensava dimenticato dalla caduta del muro di Berlino.
Anche qui la narrativa sembra prevalere sul coraggio di guardare in faccia i problemi.
Scrivo queste righe da Bruxelles. Sopra le Alpi le strutture ospedaliere e i poliambulatori/case della salute (quassù le case della salute esistono da più di un secolo e sono uno strumento per ridurre i costi) sono delle imprese no profit. Sono, cioè, delle imprese gestite con la partita doppia ma che non distribuiscono gli utili che reinvestono tutti nelle loro attività. Sulla impresa no profit e sullo strumento del “terzo pagante” (una serie di enti che pagano la fattura della cura prestata al paziente cui resta la reale possibilità di scegliere la struttura e il professionista da cui farsi curare e l’ente terzo pagante da cui farsi tutelare) si basa la sanità di quassù, sanità che sembra riuscire a far quadrare il cerchio della qualità del servizio, del controllo dei costi e del rispetto della libera professione medica. Orbene da noi non esiste l’impresa no profit ma esiste, da poco, l’impresa benefit. L’impresa benefit è una caratteristica della realtà americana sconosciuta nello scenario europeo. Negli USA, dove le strutture pubbliche sono sempre state molto limitate, è l’impresa che si fa carico di molti funzioni di tipo comunitario. Negli USA questa funzione avviene spontaneamente. La legge italiana prevede che la qualità di impresa benefit venga certificata. Certificazione che non è gratuita e che suscita molti dubbi. Chi la deve/può conferire? Chi la può conferire deve essere accreditato secondo le regole del Regolamento europeo 765/2008, il quale prevede che vi sia in ogni Stato membro un ente unico di accreditamento che attesti la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione e verifica?
Anche qui si svolazza tra le nuvole di belle definizioni e si evita di affrontare il problema reale.
Un ulteriore problema è rappresentato dagli equivoci nel dialogo con la Commissione della UE per quanto riguarda il PNRR.
- Siamo sicuri di aver rispettato gli impegni relativi alla semplificazione amministrativa?
- O ci siamo limitati a produrre norme legislative sulla semplificazione, senza aver semplificato niente?
Quello del Piano Integrato delle attività e dell’organizzazione (PIAO ex art 6 DL 80/2021 trasformato in legge con la legge 113/2021) è un buon esempio. Lo stesso Consiglio di Stato ha dichiarato che il PIAO, anziché semplificare, complica ulteriormente la farraginosità amministrativa(3). Siamo sicuri che le riforme Cartabia miglioreranno la nostra giustizia? A che servirà concretamente l’ufficio del processo basato su qualche migliaia di neolaureati assunti a tempo determinato con remunerazioni umilianti sopra tutto se confrontato con un meccanismo simile presente alla Corte di Lussemburgo dove questi personaggi hanno tutti un dottorato in diritto? Per ridurre i tempi della giustizia civile a che serve impedire un reale confronto tra le parti costringendo a concludere il processo in una sola udienza? Sarebbe servito molto di più statuire che le testimonianze (causa delle vere lungaggini) vanno ammesse solo in assenza di prove documentali (che nel civile di solito non mancano) o di evidente falsità materiale di tali prove?
Nel caso del PNRR la Commissione UE ha abbandonato la regola d’oro degli indicatori fisici (es. di quanto si è ridotto il numero di incidenti stradali, di quanto è aumentata l’occupazione etc.) con una parola magica: milestone. Per ora abbiamo raggiunto delle milestones formali: abbiamo prodotto delle leggi miranti a semplificare l’amministrazione e ad accelerare la giustizia ma non abbiamo né semplificato né accelerato. Di nuovo stiamo ancora galleggiando nel vuoto.
Un ulteriore dubbio relativo al dialogo tra Governo Italiano e Commissione UE è rappresentato dall’impegno che l’Italia si è presa di adottare una contabilità uniforme per tutte le amministrazioni di tipo accrual (si veda il par. 1.3.11 del PNRR). Qui sembra proprio che il dialogo sia avvenuto su argomenti di fantasia. Sono oramai più di dieci anni che la nostra contabilità pubblica è stata armonizzata/uniformata attraverso tutte le branche dell’amministrazione centrale, locale e funzionalmente differenziata. Per chi fosse interessato ad approfondire questo tema rimando ad un mio contributo pubblicato sulla Revue Française d’Administration Publique(4).
Una considerazione a parte richiede il riferimento alla contabilità di tipo accrual. In Inglese con la definizione accrual bookkeeping si intende una contabilità per competenza basata sugli impegni presi a pagare e sui diritti maturati ad essere pagati, in altre parole una contabilità giuridica. Orbene il fatto è che la nostra contabilità pubblica è nata e si è sviluppata e consolidata esclusivamente come contabilità di competenza, cioè accrual. Il problema della nostra contabilità pubblica è rappresentato dal fatto che non è in grado di tener sotto controllo i flussi reali di cassa, i flussi delle entrate e delle uscite. Al punto che una cifra contabilizzata giuridicamente in entrata può essere spesa anche se non è stata riscossa(5)! I Decreti Legislativi di applicazione della legge 42/2009 non arrivano mai a parlare di “contabilità di cassa” ma si avventurano a parlare di “contabilità di competenza rinforzata”. Diversa è la situazione nell’Europa del nord e nei paesi anglosassoni. Qui la contabilità pubblica è sempre stata una contabilità presso che esclusivamente di cassa. Da qualche tempo, sulla spinta di iniziative di tipo culturale dell’OCSE, questi paesi si rendono conto che, affiancare la gestione del cashflow con una conoscenza degli impegni giuridici arricchisce la qualità della gestione finanziaria. Tra le varie iniziative dell’OCSE in tal senso citiamo qui il SIGMA Paper 65.
Il dubbio che il dialogo tra il Governo Italiano e la Commissione UE sia avvenuto basandosi su dei preconcetti reciproci è molto forte. Anche qui si sente forte il bisogno di uscire da schemi mentali campati per aria e di mettere i piedi per terra. Che il 2023 ci faccia fare questo salto di qualità!
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Sul problema dei capitolati si veda https://formiche.net/2018/12/perche-lattuale-codice-degli-appalti-e-un-intralcio-e-va-cambiato/
(2) Sul tema si vedano gli approfondimenti pubblicati da questa piattaforma
M. Balducci (2022), “Sanità e Risk Management”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
M. Balducci, A.M. Tiscia (2021), “Sanità e accreditamento: la difficile transizione da autorizzazione amministrativa a tecnico-professionale”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(3) Sul PIAO si veda un mio contributo pubblicato su questa piattaforma
M. Balducci (2022), “Sia tormentata vicenda del PIAO: mai sottovalutare i processi”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(4) Cfr. Massimo BALDUCCI «Rendre des comptes pour rendre compte : l’évolution de la comptabilité des collectivités locales en Italie», Revue Française d’Administration Publique, 2016, n° 160, pages 1079-1092
(5) Su questo punto si veda un mio contributo su questa piattaforma
M. Balducci (2022), “Evasione fiscale, compliance e stato di diritto”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it