Negli anni ‘90 dello scorso secolo si affermò una parola sincopata che esprimeva la sfida del quel periodo: glocal risultato della fusione delle parole global e local. La frase che la incorniciava era: think global act local.
In una fase in cui la guerra ucraina ha scatenato una serie di processi che stanno riducendo significativamente la globalizzazione ha ancora senso parlare di glocal?
Ha ancora senso cercare di orientare le microazioni che tutti noi mettiamo in opera quotidianamente a livello locale a schemi di riferimento globale?
All’inizio di questo 2024 mi sto ponendo questa domanda che vorrei condividere con i partners di Risk & Compliance. Il filo del mio ragionamento mi porta a pensare che, soprattutto per l’Italia ma in maniera significativa anche per gli altri partners della UE, resta indispensabile sapersi collocare nel mondo per poter operare con successo a livello locale. Vediamo come si sviluppa il filo di questo ragionamento.
Una prima considerazione generale ed ovvia. Le varie catene del valore sono tanto intrecciate a livello globale che sembra una pia illusione poterle spezzare tutte in omaggio al principio della fedeltà ad alleanze politico-militari affermatesi oramai più di 70 anni fa quando le tecnologie erano completamente diverse. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi 70 anni ha avuto due conseguenze spesso ignorate. Da una parte ha facilitato incredibilmente i trasporti e le comunicazioni, rendendo possibile per la prima volta nella storia del genere umano le realizzazione dell’ idealtipo del “mercato perfetto” dove gli acquirenti si trovano confrontati contemporaneamente da tutte le offerte disponibili. L’illusione teorica degli economisti classici negli ultimi decenni è diventata realtà! La globalizzazione non è stata creata dai politici ma dalla tecnologia. I politici, forse, la avrebbero potuta gestire meglio. Da un’altra parte lo sviluppo tecnologico ha avuto negli ultimi anni una accelerazione incredibile. Fino agli anni ‘60 dello scorso secolo prodotti nuovi e/o nuovi processi per realizzare prodotti tradizionali comparivano sulla scena ad intervalli di diversi anni. Questo permetteva ai mercati nazionali (di Paesi quali l’Italia, la Francia, il Regno Unito e l’allora Germania Occidentale) di assorbire i costi dello sviluppo di questi nuovi prodotti e processi. A partire dagli anni ‘70 dello scorso secolo la velocità di sviluppo di nuovi prodotti e processi si è accelerata al punto che i mercati nazionali tradizionali non sono più stati in grado di assorbire i costi del loro sviluppo. Questo è il motivo del salto di qualità dell’Europa, della creazione dell’Unione Europea con il trattato di Maastricht e della creazione dell’Euro. Nel 1983, il CEO della Volvo, Pehr G. Gyllenhammar (all’epoca la Svezia non faceva parte della costruzione europea), prese l’iniziativa di convocare una Tavola Rotonda (Round Table) dell’ETUC (European Trade Union Committee) e dell’UNICE (Union des Industries de la Communauté européenne ora Business Europe), a cui, oltre ai maggiori industriali europei, parteciparono anche i Commissari UE Ortolì e Davignon. Lo scopo era di discutere su come affrontare un fatto assolutamente imprevisto nel secondo dopoguerra e cioè il fatto che lo sviluppo tecnologico aveva raggiunto una velocità tale da non permettere più di ammortizzare i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e nuovi processi in mercati interni di circa 50 milioni di abitanti. La Round Table (RTE) disseminò nei centri decisionali del continente la consapevolezza che fosse indispensabile sviluppare un mercato interno (non semplicemente comune) sufficientemente esteso per assorbire i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e processi in un tempo brevissimo (talvolta pochi mesi). La catena: “libro bianco di Delors”, i due trattati di Maastricht, i due trattati di Amsterdam, i due trattati di Nizza ed i due di Lisbona sono il risultato del lievito della Round Table(1).
Questo ultimo sviluppo ha avuto e sta avendo un impatto diretto sulla attività professionale di molti dei partners di questa Piattaforma. Un mercato interno richiede meccanismi uniformi di accreditamento dei beni e dei servizi che possono circolare in questo mercato. Un modello d’auto accreditato da un ente abilitato in Francia può ora circolare in tutta la UE. Proprio questa peculiarità ha fatto sviluppare in tutta la UE l’approccio della compliance in maniera sconosciuta in altri mercati, quale quello USA, quello Canadese, Australiano e del Sud America per non parlare del mercato cinese(2). Chi agisce localmente oggi non può non chiedersi che conseguenze avrà l’ulteriore allargamento della UE oramai dietro l’angolo.
Qui emerge una seconda considerazione meno ovvia. La facilità dei trasporti e delle comunicazioni e la conseguente creazione di veri e propri mega mercati interni spinge giocoforza ai confronti forzando la collaborazione tra le varie amministrazioni della UE. Questa collaborazione si presenta irta di ostacoli ma anche ricca di possibilità di sviluppo attraverso la pratica della cross fertilization. Il raffronto delle pratiche di contabilità pubblica tra la Germania e la Francia sta portando ad una radicale rivoluzione della contabilità pubblica francese. La pratica di accoppiare reclutamento e formazione propria della Germania e della Francia sta contaminando i meccanismi di reclutamento nella funzione pubblica belga, olandese, scandinava e spagnola. Il metodo di organizzare il mercato del lavoro sulla base di profili professionali basati sull’approccio delle competenze proprio dei paesi di lingua germanica e in uso anche in alcuni Paesi dell’Europa Centrale e Orientale (Cechia, Slovacchia, Ungheria) ha dato vita ad un mercato del lavoro a livello europeo basato proprio su una griglia condivisa di questi profili. Questa prassi viene ripresa a livello UE attraverso il meccanismo di ESCO(3). La griglia di ESCO è stata recentemente adottata anche dall’Australia. Orbene qui va lamentato che:
- l’Italia è estranea a questi processi di cross fertilization e si richiude su se stessa.
- L’Italia ignora ESCO e le sue griglie di profili professionali per cui quando i nostri tecnici emigrano nei paesi della UE non sono professionalmente identificabili e anche i migliori ingegneri in Olanda finiscono a fare i camerieri.
- In maniera particolare l’Italia è estranea ad ogni raffronto sulle modalità di organizzare il lavoro.
Nel nostro Paese fiorisce il dibattito sul salario minimo ma sfugge ai più che la modalità diffusa di organizzazione del lavoro è estranea alla cultura del processo e si basa su gruppi più o meno informali in cui le modalità operative cambiano di volta in volta. La redditività di un tale modo di lavorare è bassissima, tale da non lasciare spazio per incrementi salariali. Anche l’alto cuneo fiscal contributivo è riconducibile ad una organizzazione del lavoro, questa volta pubblico, estranea ai processi. Non c’è da meravigliarci se siamo risucchiati sempre più verso modalità di lavoro che assomigliano molto a quelle cinesi. La mancanza dei processi impedisce una vera digitalizzazione del nostro mondo produttivo, non solo della nostra pubblica amministrazione. Ogni discussione sull’intelligenza artificiale rischia di essere inutile come inutile è stata sin qui ogni iniziativa relativa alla applicazione delle tecniche della così detta data science. Ci si dimentica troppo facilmente che la digitalizzazione richiede processi ben consolidati e data bases ben strutturate. La mancanze di una cultura dei processi sta alla base dell’elevato numero di incidenti sul lavoro. La mancanza di una cultura dei processi rende vuoto ogni tentativo di affrontare il problema della qualità e rende molto difficile ogni sforzo mirante a gestire e controllare la compliance.
La vera e propria paura di aprirsi e confrontarsi con esperienze diverse di fatto sta impedendo ai nostri apparati amministrativi di far sentire la voce del nostro Paese nel momento in cui maturano le decisioni a Bruxelles(4)(5).
C’è da augurarsi che questa piattaforma, proprio perché aperta a molti Paesi Europei, possa contribuire ad aprire il mondo del lavoro e del businness italiano al confronto con altre prospettive e mappe cognitive.
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) M. BALDUCCI, C. COLINET, G. NATALICCHI (2018), “Navigare nella UE : dai Giudici alla Tavola Rotonda”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(2) M. BALDUCCI (2018), “La UE come macrosistema di Compliance”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(3) European Commission, ESCO | European Skills, Competences, Qualifications and Occupations
(4) M. BALDUCCI, C. COLINET, G. NATALICCHI (2019), “Navigare nella UE: Come funziona il meccanismo decisionale UE”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(5) Commissione Europea, Registro dei gruppi di esperti della Commissione e di altri organismi analoghi