di Daniele CORSINI e Gerardo COPPOLA
Stante il clima politico incandescente creatosi sulla questione Banca d’Italia, è difficile prevedere come essa finirà e se soprattutto finirà nell’interesse del Paese. Più in generale, nelle ultime settimane si sono addensati sulla questione bancaria temi di natura tecnica, politica e istituzionale di complessa e difficile ricomposizione.
Proviamo ad elencarli:
- avvio della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario italiano, per valutare le responsabilità dei vari attori, tra cui le Autorità di settore, relativamente ai perniciosi eventi bancari degli ultimi anni;
- questione della riconferma del Governatore in carica per il secondo mandato, prerogativa che la legge assegna al Governo e al Capo dello Stato, materia nella quale si è inserito il parlamento con la nota mozione sull’operato delle autorità di vigilanza;
- presa di posizione della vigilanza della BCE sulle modalità di valutazione dei crediti non performing (copertura immediata e totale di quelli non garantiti, sette anni per la rettifica di quelli garantiti) che avrebbe effetti non facilmente sopportabili dalle nostre banche;
- prospettive negative di alcune agenzie internazionali di rating (ha cominciato Moody’s) sul sistema bancario italiano;
- avvio delle cessioni per la cifra record di 26 mld di euro degli npl di Mps.
In poco più di un mese l’indice settoriale delle banche quotate al Ftse, dopo aver toccato il punto di massimo di 12200 punti, ha visto una discesa dei corsi pressoché costante fino a 11430. Nessun effetto di rilievo si è avuto invece da quando è scoppiata la vicenda Visco in Parlamento.
Ciò segna, almeno a breve l’indifferenza degli operatori, che sembrano valorizzare in negativo gli outlook poco favorevoli del sistema, piuttosto che la questione di cui tanto si parla.
Anche la stampa estera, nel dare la notizia delle contrapposizioni in corso, non ricorre a drammatizzazioni circa gli effetti della mancata riconferma del Governatore sulle condizioni del sistema finanziario italiano e tanto meno sull’economia del Paese. Nessun scenario apocalittico si prepara dunque, anche se bisognerà vedere come la situazione evolverà nelle prossime settimane. Ma ciò che segna l’andamento dei mercati non sembra al momento essere il nostro turmoil politico istituzionale.
Alla gran parte degli interventi mediatici, dai toni che, in alcuni casi, verrebbe da definire melodrammatici, sembra sfuggire che la riconferma è una facoltà e non un obbligo.
Ciò che conta sono le modalità più adatte per imprimere al sistema i sostanziali miglioramenti di cui ha bisogno.
Purtroppo corre l’obbligo di ricordare che negli anni della crisi, non è stato affrontato nessuno dei problemi strutturali, che ora richiedono il ridimensionamento per oltre cinquantamila unità degli addetti al settore nei prossimi 5 anni (quasi il 20% del totale), la ulteriore riduzione delle reti degli sportelli, il cui numero è ancora fortemente disallineato rispetto alle medie europee, l’effettuazione di investimenti in tecnologia per la digitalizzazione dei processi, il rilancio della redditività che vede le banche italiane nella fascia più bassa delle classifiche europee.
Va anche preso atto che il sistema, è quasi totalmente sottoposto alle norme della Vigilanza della Banca Centrale Europea, che mostra di voler intervenire con modalità più severe circa la valutazione degli asset. D’altro canto il tema dei non performing loans continua ad essere centrale e quelli dell’Italia pesano per oltre un quarto del coacervo europeo.
Inoltre, con le operazioni di consolidamento avviate nel 2017, per risolvere le crisi più acute, ben poche sono rimaste le banche less significant che rimarranno sotto la vigilanza nazionale, dato che anche il mondo delle bcc, raggruppate in uno o due gruppi nazionali, diverrà di competenza di Francoforte. Il pressoché totale ridimensionamento della banca locale, identificata per anni come la infrastruttura più adatta alla nostra configurazione produttiva centrata sulla piccola impresa, si manifesta attraverso il bisogno di rinnovare i modelli di business, per tentare di recuperare lo svantaggio competitivo rispetto ai paesi nostri concorrenti.
Senza voler insistere sui deficit del nostro sistema (il rapporto Moody’s ne fa una rappresentazione, forse eccessiva, ma sostanzialmente rispondente alla situazione), dobbiamo prendere atto che la nostra sovranità bancaria si è drasticamente ridotta.
Ragione per la quale anche il conflitto politico istituzionale in atto diventa un confronto di ridotto interesse per l’Europa, a prescindere dal rispetto delle autonomie che ciascun sistema nazionale è autorizzato a conservare.
In un recente articolo a sostegno della esigenza di una forte sintonia tra Governo e vertici delle Autorità di settore, abbiamo elencato altre questioni rilevanti che interesseranno il nostro sistema, avendo soprattutto a riferimento le tutele del risparmiatore, cosa che ci aveva indotto a proporre, sulla base del buon senso piuttosto che di altre motivazioni, un rinvio di pochi mesi, in attesa delle elezioni politiche di marzo, della decisione in ordine al vertice della Banca d’Italia. Sulla proroga si trovano ora in sintonia Forza Italia e Sinistra Italiana, in un reale schieramento bipartisan, ma le contorsioni della politica sono in pieno svolgimento.
Senza dubbio le esasperate questioni interne non facilitano il rafforzamento della nostra credibilità finanziaria. Ragione per la quale dovremmo interrogarci sui modi per riconquistare un’autorevolezza che in questo momento non pare ci appartenga, ammettendo errori e ritardi negli interventi preventivi e correttivi delle crisi bancarie di questi anni. Dovremmo fare ciò, domandandoci se non sia stata l’assenza di strategie di sistema e di strategie dei controlli la vera causa delle criticità che ci hanno colpito. Ciò ha infatti finito col produrre soluzioni caso per caso, spesso incoerenti, talvolta rimandate fino a quando non vi è stato più tempo per scelte più ragionate, alcune delle quali invero opinabili ed estemporanee, ovvero imposte dalle Autorità europee. Tutte, alla fine, assai costose per il risparmiatore e per il contribuente.
E’ difficile, seguendo questa linea, far salvo qualcuno, ma non volendo nemmeno rifugiarsi dietro il criterio assolutorio del “tutti colpevoli nessun colpevole”, riteniamo che il punto dal quale si debba ripartire siano le conclusioni cui perverrà la commissione parlamentare d’inchiesta, cui tutte le altre decisioni dovrebbero politicamente e tecnicamente, ma soprattutto logicamente, essere subordinate.
L’auspicabile chiarezza delle sue conclusioni sarà la leva per qualsiasi effettivo rinnovamento, che non sia soltanto predicato. Anche il termine di cinque mesi per concludere i lavori, cioè la fine della legislatura, sembra ben sostenibile e coerente con le esigenze di far chiarezza una volta per tutte.
Oltre al materiale che potrà raccogliere dalle audizioni dirette dei vari protagonisti, ovviamente con metodo e selezione dei materiali e non quale destinataria di volumi poco gestibili di carte, la commissione potrà utilmente avvalersi anche degli esiti delle commissioni regionali, che nell’ultimo anno, hanno rassegnato le loro conclusioni ai Consigli di Veneto, Toscana e Marche, cioè agli organismi politici espressione degli elettori delle aree maggiormente colpite dalle crisi bancarie di questi anni.
È una lettura interessante che ci permettiamo di consigliare.
Le loro analisi, al di là di comprensibili differenziazioni, sono fortemente critiche delle vicende che hanno interessate quelle regioni e contengono già la spiegazione dei principali fatti.
Quello di cui ora c’è bisogno sono pochi e chiari punti chiave, che siano di riferimento alle politiche bancarie dei prossimi anni, per gestire le gravissime perdite economiche e sociali, gran parte delle quali richiederanno ancora molto tempo per essere riassorbite e per il rilancio del sistema.
In questo consiste il senso di responsabilità della politica, che deve interrogarsi sulle questioni inerenti al sistema bancario che verrà, piuttosto che ricercare minuziose responsabilità, sulle quali la magistratura ordinaria avrà modo di pronunciarsi analiticamente in sede processuale, come del resto ha già cominciato a fare. Unicuique suum.