Compliance negli appalti a tutela del business 

Compliance negli appalti a tutela del business 

26 luglio 2024

di Paola GRIBALDO

Recentemente si è registrata un’attenzione crescente da parte della magistratura italiana sulla filiera degli appalti cd. ad alta intensità di manodopera (terminologia mutuata dall’ambito pubblicistico per indicare gli appalti nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto), a cui sono seguite contestazioni a carico di imprese per violazioni rilevanti non solo dal punto giuslavoristico ma anche penale (si pensi ai recenti casi che hanno coinvolto le imprese nel settore della moda, della logistica e della distribuzione).

Da ultimo, si menziona il Decreto n. 12/2024 del Tribunale di Milano con cui è stata disposta la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria nei confronti di una S.p.A. operante nel settore della moda, per aver agevolato lo sfruttamento dei lavoratori da parte delle imprese appaltatrici.

Tale provvedimento non rappresenta un caso isolato, ma la più recente tra le molteplici decisioni emesse all’esito di indagini operate della magistratura penale sulla filiera degli appalti labour intensive.

Infatti, sono noti i casi in cui le procure italiane hanno colpito l’esternalizzazione di fasi dell’attività produttiva anche sotto il profilo fiscale, considerando non genuini i contratti di appalto, con conseguente contestazione di illeciti penal-tributari rilevanti anche ai sensi della responsabilità amministrativa degli enti di cui al D.Lgs. 231/2001.

Inoltre, per incrementare la risposta punitiva contro il fenomeno degli appalti illeciti, il Legislatore è intervenuto di recente con il Decreto Legge n. 2 marzo 2024, n. 19, apportando importanti modifiche al Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Il Decreto n. 12/2024 del Tribunale di Milano: amministrazione giudiziaria in presenza di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

Con il Decreto n. 12/2024, il Tribunale di Milano è tornato a pronunciarsi sulla cd. agevolazione colposa ai fini della applicazione della misura della amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 159/2011. Il Decreto, infatti, segue due analoghi provvedimenti emessi nei mesi di gennaio 2024(1)  e aprile 2024(2).

Nel caso di specie, il Tribunale ha contestato all’impresa di non aver controllato la reale capacità imprenditoriale dei propri fornitori, omettendo di effettuare «efficaci ispezioni o audit» che avrebbero invece consentito di assumere adeguate iniziative – sino alla rescissione dei legami commerciali. 

Si legge, infatti, nella richiesta del PM, richiamata dal provvedimento, che: «le criticità riscontrate sono state sicuramente favorite da una negligente valutazione da parte del committente dei requisiti tecnico professionali delle società appaltatrici della produzione, oltre che da una omessa verifica della effettiva filiera produttiva sia nei confronti delle appaltatrici dirette sia dei subappaltatori.”

In particolare, è emerso che la società committente «non abbia effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate, omettendo di assumere tempestive ed adeguate iniziative di reale verifica della filiera dei sub-appalti, sino alla rescissione dei legami commerciali, con ciò realizzandosi, quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall’inerzia della società, quella condotta agevolatrice richiesta dalla fattispecie ex art. 34 D.Lgs. 159/2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria».

Il committente, quindi, pur non avendo partecipato alla commissione del reato, è stato coinvolto dalla magistratura per inadeguatezza degli assetti organizzativi adottati.

All’amministratore giudiziario, quindi, spetta:

  • analizzare e rivedere i contratti in essere con i fornitori; 
  • adottare un Modello Organizzativo 231 idoneo a prevenire il fenomeno del caporalato con i business partners, reato punito dall’art. 603-bis del codice penale, nonché uno dei c.d. reati presupposto che attivano la responsabilità delle imprese ex D.Lgs. 231/2001;
  • rafforzare i presidi di controllo interno e quelli relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell’azienda

Le contestazioni penal-tributarie

Adeguati controlli sulla filiera degli appalti e l’adozione di un Modello 231 idoneo sono, inoltre, strumenti fondamentali per elidere il rischio di contestazione di reati fiscali, rilevanti anche ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Negli ultimi anni le procure italiane hanno contestato la commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000, derivante dalla non genuinità degli appalti cd. labour intensive.

In estrema sintesi, secondo la magistratura penale, le fatture per appalti fittizi sono da ritenersi giuridicamente inesistenti, poiché, sebbene siano relative ad operazioni effettivamente avvenute tra le parti, descrivono operazioni – appalto di servizi – differenti rispetto a quelle poi concretamente realizzate – somministrazione illecita di manodopera (tra le altre, si menzionano: Cass. Pen., sentenza n. 33994 del 26.05.2022; Cass. Pen., sentenza n. 16302 del 28.04.2022; Cass. Pen., sentenza n. 20901 del 26.06.2020).

Inoltre, nel caso in cui il reato fiscale sia stato commesso da parte di un soggetto funzionalmente legato all’ente (soggetto apicale o sottoposto), nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso e vi sia colpa di organizzazione (per assenza del Modello 231 oppure per inidoneità dei presidi ivi contenuti), ricorre l’ipotesi di responsabilità amministrativa della società ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001.

Ulteriori sanzioni penali

Oltre a quanto sopra, il Legislatore è di recente intervenuto con il D.L. 2 marzo 2024, n. 19, apportando importanti modifiche al D.Lgs. 276/2003. 

In particolare, l’intervento normativo ha reintrodotto sanzioni penali per la fattispecie di somministrazione illecita di manodopera di cui all’art. 18 D.Lgs. 276/2003 – già depenalizzato – graduate per le ipotesi di irregolarità e di fraudolenza degli appalti. Infatti, è prevista la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda fino a 60 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione nei confronti:

  • di chi esercita, in assenza di autorizzazione, attività riservate alle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 18, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003; 
  • dell’utilizzatore della manodopera irregolarmente somministrata, in base al successivo comma 2; 
  • di utilizzatore e somministratore della manodopera, nei casi di appalto o distacco irregolare, disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 29 e 30 del richiamato Decreto Legislativo.

Inoltre, tale provvedimento ha previsto l’inasprimento delle pene nel caso in cui la somministrazione del lavoro sia posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore (art. 18, comma 5-ter).

L’appalto genuino

Al fine di comprendere le ipotesi che possono far insorgere le responsabilità di cui sopra, occorre chiarire la differenza tra contratto di appalto e somministrazione di manodopera

Ai sensi dell’art. 1655 codice civile, l’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, verso un corrispettivo in denaro. Per somministrazione di lavoro, invece, si intende (ai sensi dell’art. 20 D.Lgs. 276/2003) la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, da parte di un soggetto (denominato “somministratore”) ad altro soggetto (denominato “utilizzatore”). 

L’art. art. 29 D.Lgs. 276/2003 precisa che l’appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per la “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti nel contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”.

Alla luce della definizione normativa di cui sopra, per potersi parlare di appalto genuino è necessario che sussistano i seguenti requisiti:

  1. organizzazione di mezzi necessari da parte dell’appaltatore,
  2. esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori;
  3. assunzione del rischio di impresa.

L’appalto è genuino, quindi, soltanto quando l’appaltatore non risulti essere un intermediario, ma eserciti l’attività di impresa impiegando la propria organizzazione produttiva ed assumendo i rischi della realizzazione dell’opera o del servizio appaltato. L’appalto, invece, maschera una interposizione illecita di manodopera, quando l’appaltatore si limita a mettere a disposizione del committente mere prestazioni lavorative da parte dei propri lavoratori, senza che vi sia alcuna organizzazione di mezzi ovvero assunzione del rischio di impresa.

L’appalto non genuino, peraltro, può esporre a rischi ulteriori rispetto a quello della riqualificazione in interposizione illecita di manodopera. Basti rammentare il nuovo disposto dell’art. 603 bis c.p. (reato presupposto ai sensi del D.Lgs. 231/2001) che prevede una sorta di “indicizzazione” della fattispecie del caporalato, come di seguito: 

“1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”.

La ricostruzione di questi indici, che determinano la rilevanza penale della fattispecie ormai in vasti settori produttivi lontani da quello primario, tradizionalmente più esposto, risulta quindi una evenienza possibile anche in sede di riqualificazione di appalti non genuini. 

Cosa fare per tutelare l’attività di impresa?

Fermo restando che è pienamente legittima la possibilità per l’imprenditore di ricorrere all’outsourcing nell’ambito della propria organizzazione e pianificazione di business, risulta evidente la necessità di un sistema di presidi volti a garantire la correttezza del contesto delle operations anche considerando che, pur in caso di appalti genuini, la compliance normativa non è priva di rischi. 

Insieme ad un percorso di natura giuslavoristica che assicuri la legittimità delle soluzioni   contrattuali – dalla scelta dei fornitori alla gestione concreta del rapporto in termini di management e di monitoraggio, passando per la idonea formulazione delle clausole contrattuali – soprattutto in presenza di utilizzo di sistemi IT condivisi e/o di appalti endoaziendali appare evidente la centralità del Modello 231, che non rileva più solo quale esimente della responsabilità amministrativa di cui al D.Lgs. 231/2001, ma costituisce uno strumento volto a garantire lo svolgimento legale dell’attività di impresa.

Nel Modello 231, quindi, dovrebbe essere disciplinata adeguatamente la selezione dei fornitori, soprattutto nel caso di esternalizzazione di parte dell’attività produttiva.

È quindi opportuno che le società provvedano a:

  • adottare/aggiornare il Modello 231, al fine di elidere il rischio di commissione dei reati presupposto connessi; 
  • nell’ambito della costruzione/aggiornamento del Modello 231, prevedere specifici presidi a garanzia della filiera dei fornitori, rafforzando gli strumenti di controllo interno e quelli relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell’azienda;
  • effettuare un assessment sui contratti di appalto in essere, al fine di verificare che la filiera produttiva non adotti illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori, provvedendo eventualmente alla conclusione del rapporto contrattuale;
  • realizzare adeguati audit sui futuri fornitori, al fine di verificare la genuina natura imprenditoriale degli stessi nonché i trattamenti economici e normativi applicati da questi ultimi ai propri dipendenti, il regolare pagamento dei contributi, l’adozione delle prescritte misure di sicurezza, la corretta gestione delle attività, etc.

Infine, nel quadro normativo delineato, occorre ricordare che la c.d. CSRD (Corporate Sustainability Reporting Standard Directive, Direttiva UE 2022/2464) impone alle aziende destinatarie del provvedimento una rendicontazione annuale di sostenibilità, comprendente anche informazioni sulla “catena del valore” e sulle azioni di monitoraggio intraprese per evitare impatti negativi sui lavoratori in essa coinvolti.


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1) Amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Lvo 159/2011: il Tribunale di Milano chiarisce i profili della agevolazione colposa, Giurisprudenza Penale, 23 gennaio 2024

(2) Il Tribunale di Milano torna sulla agevolazione colposa del caporalato ai fini dell’applicazione della amministrazione giudiziaria (art. 34 d. lgs. 159/2011), Giurisprudenza Penale, 11 aprile 2024



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