Che la criminalità organizzata fosse legata ai così detti reati ambientali è un fatto noto da tempo, quello che sorprende è come tale fenomeno da locale sia diventato sempre più transnazionale, coinvolgendo una pluralità di attori in contesti economici e sociali non sempre trasparenti e molto spesso in paesi in cui la corruzione dilaga e le libertà e diritti sociali e civili vengono costantemente minacciati.
L’assioma criminalità organizzata ed ambiente appare quindi avere un lungo legame proveniente dal passato; eppure, nonostante diversi organismi sovranazionali (UE, FPI(1), United Nations) abbiano sempre sollevato la questione delle politiche e dei controlli a livello internazionale, sembra che i vari stati e regolatori siano sempre stati un passo indietro rispetto ai fenomeni criminali ed allo sfruttamento di flora, fauna e risorse naturali.
Per comprendere le nuove sfide è necessario fare qualche accenno alle scelte normative fatte nel tempo per contrastare l’emergere di nuove tendenze criminali(2).
Un breve excursus storico (1970-1990)
Il periodo dalla metà degli 70 agli anni 90 ha visto mettere in atto le prime risposte al traffico illegale di flora e fauna con la consapevolezza del carattere internazionale dei problemi legati ai crimini ambientali e a seguito della conferenza di Stoccolma del 1972 ha visto la nascita del trattato CITES ratificato nel 1975(3).
Il trattato fu la prima risposta all’aumento del bracconaggio di rinoceronti ed al commercio illegale di avorio che vedeva tra i maggiori paesi acquirenti il Giappone, la Cina e gli USA. I decenni successivi furono caratterizzati anche da un aumento del traffico di rettili e uccelli selvatici nonché di ampie deforestazioni illegali di intere porzioni di foreste tropicali in Sud America e Sud Est asiatico, in questo ambito i maggiori acquirenti erano paesi europei e nord americani. In questa fase giova rilevare come sia stata la società civile il primo attore a identificare il problema e a chiedere interventi di natura regolatoria alle strutture di governo.
Anni 90 – 2010
Il periodo da metà anni 90 al 2010 ha visto invece un’accelerazione degli effetti della globalizzazione dove a fronte di liberi mercati e circolazione di più beni e flussi finanziari seguiva una sempre maggiore diffusione di bracconaggio di rinoceronti, elefanti ed una maggiore richiesta di legname dalla Cina, India e Brasile che comporterà lo sfruttamento illegale anche delle più antiche foreste africane.
E’ proprio in questo periodo che cominciano ad emergere le prime unità e programmi dedicati ai crimini ambientali da parte di organizzazioni internazionali, a mero titolo di esempio l’INTERPOL Environmental Security Uniti(4) e l’ICCWC Interntional Consortium on Combating Wildlife Crime(5).
Periodo 2014 – 2019
E’ nel terzo periodo (2014 – 2019) che la società civile inizia ad aver chiaro il legame indissolubile tra corruzione, criminalità organizzata e crimini ambientali. Nel frattempo, alcuni governi cominciano ad arruolare ex militari per la gestione dei parchi maggiormente esposti al rischio di bracconaggio e si registrano i primi grandi attacchi nei confronti di whistleblower e attivisti ambientali, nel 2012 la ONG Global Witness(6) pubblica il primo report sugli omicidi collegati allo sfruttamento delle foreste e dei territori e dal 2015 il triste bollettino assume cadenza annuale.
Nel 2019 più della metà della popolazione mondiale ha accesso a internet, i mercati illegali da fisici diventano virtuali e sempre più interconnessi, molte delle transazioni relative ad animali avvengono ormai direttamente su gruppi Facebook(7)o su altre piattaforme social dove le attività di controllo e prevenzione appaiono sempre meno efficaci. È proprio in questo periodo che i benefici del CITES vengono criticati e si assiste a report in cui convergono analisi tra traffico di droga(8), sfruttamento di manodopera e crimini ambientali, evidenziando come siano necessarie azioni, sia a livello regolatorio che repressivo, sempre più transnazionali e trasversali.
Dal 2020 ad oggi
Se gli sforzi per il contenimento e contrasto alla pandemia hanno sicuramente arrestato l’evoluzione delle attività di risposta ai crimini ambientali, i vari lockdown e le restrizioni agli spostamenti hanno sicuramente avuto effetti positivi sulle specie protette e sulla natura in generale. Il gap esistente tra l’urgenza di correre ai ripari e l’inadeguatezza delle soluzioni finora messe in campo ha portato a diverse interessanti campagne:
- Aggiungere un quarto protocollo al UNTOC (United Nations Convention against Transnational Organized Crime)(9)
- Prevedere il reato di “ecocidio” nel trattato di Roma(10)
In questa fase si fanno avanti due correnti di pensiero, la prima vorrebbe istituire nuovi framework normativi che offrano metodi alternativi per contrastare la minaccia ambientale mentre la seconda, maggiormente critica all’introduzione di ulteriori interventi normativi ritiene che tutti i nuovi framework siano poco efficaci se non si interviene in maniera decisa sulle risorse a disposizione nonché sulle carenze o erronea applicazione delle norme a tutela dell’ambiente.
In sintesi, gli effetti dei cambi climatici sono molteplici e con diversi effetti correlati:
- le popolazioni più vulnerabili avranno sempre meno strumenti per resistere alla criminalità ed è più probabile che vengano arruolate nella filiera della criminalità ambientale;
- tutte le specie, flora e fauna vedranno una riduzione dovuta agli stravolgimenti climatici e saranno prevedibili sensibili aumenti di prezzo incentivando quindi la nascita di mercati clandestini;
- le tecnologie per la “transizione verde” si basano su materie prime proprio come le energie fossili (ad esempio litio, terre rare) la cui scarsità comporterà pressioni criminali in tutti i territori dove è possibile estrarre tali minerali.
Scarsità e disomogeneità dei dati
Uno dei principali problemi per definire le grandezze correlate ai reati ambientali e quindi anche alla loro profittabilità è dato dall’assenza di dati pubblici in diversi paesi e molto spesso, anche se presenti, alla disomogeneità degli stessi dati. L’Italia ha un forte committment sul tema ed i report annuali di Legambiente (EcoMafie) tracciano periodicamente l’entità e la distribuzione geografica del fenomeno(11).
Negli altri paesi UE l’attenzione ed il monitoraggio o la disponibilità dei dati non è di facile accesso, pertanto, per questi casi è utile analizzare il report “Fighting Environmental Crime in Europe. An Assessment of Trends, Players and Action” dell’Istituto affari internazionali(12). Da questo report oltre a comprendere i paesi che non mettono a disposizione o che non hanno un consistente sistema di monitoraggio dei dati(13), è possibile analizzare nei 27 Paesi UE quali siano i maggiori crimini. È evidente come il tema del traffico o smaltimento illecito dei rifiuti rappresenti il maggior problema dei Paesi UE seguito dall’inquinamento di aria, suolo ed acqua e infine dai crimini legati alla fauna selvatica.
Come preservare qualcosa che non sappiamo definire?
Un problema all’apparenza semplice risulta essere in realtà uno dei più grandi ostacoli alla definizione di policy e strumenti di “enforcement” per contrastare la criminalità ambientale, non esiste ad oggi una definizione di “ambiente” universalmente riconosciuta. Se da un punto di vista del diritto internazionale ancora manca una definizione condivisa, i vari ordinamenti nazionali spaziano dal definire come ambiente e quindi reati ambientali quelli relativi alla fauna/flora ed al loro sfruttamento o contrabbando senza, in taluni casi, intervenire o normare i casi più complessi in cui è parte dell’intero sistema economico ad intervenire nello sfruttamento anche cross border dell’ambiente, ad esempio deforestazioni connesse a piantagioni redditizie massive (si pensi alla Soia(14), Avocado) oppure inquinamento delle acque o dell’aria correlato a diverse tipologie di sviluppo industriale.
Fin quando non vi sarà una chiara definizione ampiamente accettata da tutti o quasi i paesi industrializzati, in via di sviluppo e non, sarà difficile prevedere azioni di contrasto internazionale che possano essere veramente efficaci anche in considerazione della diffusione e dell’entità del problema e della minaccia.
Il programma ECO SOLVE
Facendo tesoro delle passate azioni di contrasto, dei fallimenti e anche delle best practice presenti in determinati settori o aree geografiche è nato il progetto ECO SOLVE. Il progetto europeo, sviluppato da GI-TOC(15), con impatti sui crimini ambientali in contesti cross border ha il fine ultimo di identificare, disincentivare ed aiutare a reprimere le forme globali di criminalità agendo fondamentalmente su quelli che sono stati dei fallimenti dei modelli di prevenzione e repressione del passato:
- scarsità e disomogeneità dei dati a livello globale: è in corso di predisposizione un HUB di dati che permetterà anche tramite l’utilizzo di AI, dati satellitari e informazioni OSINT di raccogliere, elaborare e mettere a disposizioni informazioni su scala globale dei fenomeni maggiormente sensibili;
- difficoltà nel perseguire fenomeni internazionale di corruzione e crimini ambientali: attraverso ricerche mirate portare alla luce fenomeni internazionali di corruzione specialmente nel settore delle deforestazioni e disboscamenti illegali connessi a sviluppi industriali illegali con il benestare di politici o altri soggetti che incentivano la corruzione internazionale;
- rischi sulle comunità locali minacciate dai reati ambientali: prendere in considerazione sui tavoli di policy making le istanze delle comunità impattate, connettendole a livello locale e globale per garantire una maggiore protezione e resilienza.
Il progetto, di durata inziale triennale, è sicuramente ambizioso e molto probabilmente rappresenta il primo grande passo a livello internazionale per porre un freno a comportamenti e azioni criminali che da anni si avvalgono di tecnologie e asimmetrie legali e penali che hanno permesso un’espansione senza precedenti di tali reati.
Quali fattori abilitanti possono fare la differenza?
A mio avviso saranno necessarie sicuramente azioni correttive durante le prime fasi di questo progetto e sicuramente tra i fattori abilitanti e di successo per questa iniziativa un ruolo primario sarà sempre rappresentato dalla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, molto spesso ancora distante o poco interessata a fenomeni che appaiono lontani migliaia di km ma che hanno sempre un impatto globale e molto spesso dipendono anche dalla domanda di beni/merci dei paesi più industrializzati a scapito delle comunità più fragili e meno resilienti (terre rare per la conversione energetica delle nazioni, colture massive per l’incremento di domande dei c.d. superfood(16) del momento).
Per raggiungere questo obiettivo inoltre ritengo sia essenziale incentivare e proteggere il lavoro di molti giornalisti e testate/consorzi indipendenti(17) che spesso con scarsità di mezzi e risorse rispetto ai più noti mass media, portano avanti inchieste di altissimo livello in aree geografiche a rischio e molto spesso cercando di portare alla luce dei grandi casi di corruzione internazionale che possono coinvolgere aziende, multinazionali ed interi establishment politici con disponibilità di risorse e mezzi “quasi” infinite.
Sarebbe anche utile implementare in diversi contesti geografici progetti di partnership sui temi della consapevolezza e della più efficace gestione di risposte ai crimini internazionali, come ad esempio è stato fatto con EL PAcCTO(18), progetto finanziato dall’UE che vede collaborare Europa, America Latina, Ameripol ed Europol.
Per una minaccia sempre più globale e interconnessa servono risposte ad ampio raggio che utilizzino strumenti innovativi e spesso prendano esempio dal basso e dal passato per costruire un futuro che sia più equo o perlomeno più attento nel tutelare le comunità e l’ambiente che troppo spesso sono minacciati dinanzi l’indifferenza di molti.
Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente all’Autore e non impegnano in alcun modo la responsabilità di ICCREA BANCA.
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) European Commission’s Service for Foreign Policy Instruments è L’FPI è responsabile delle componenti finanziarie e operative della politica estera dell’UE. Aiuta i paesi ad affrontare le crisi e a mantenere la pace, la sicurezza, la legge e l’ordine. L’FPI combatte anche il commercio di diamanti provenienti da zone di conflitto e di materiali legati alla tortura o sfruttamento di essere umani.
(2) S. Haysom, M. Shaw, (2022) An analytic review of past responses to environmental crime and programming recommendations | Global Initiative
(3) La convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, o C.I.T.E.S., dall’inglese Convention on International Trade of Endangered Species, è una convenzione internazionale firmata a Washington nel 1973. La C.I.T.E.S. è parte delle attività ONU per l’ambiente (UNEP), e la sua attuazione è a carico dei singoli Stati partecipanti. Attualmente hanno aderito alla convenzione tutti i membri dell’ONU, ad eccezione di Andorra, Corea del Nord, Haiti, Kiribati, Micronesia, Isole Marshall, Nauru, Sudan del Sud, Timor Est, Tonga, Turkmenistan e Tuvalu. Il numero totale degli Stati aderenti è 182; l’ultimo è stato il Tagikistan, che ha firmato il trattato nel gennaio del 2016.
(4) The security Unit has four global enforcement teams (Fisheries, Forestry, Pollution and Wildlife) which help dismantle the criminal networks behind environmental crime by providing law enforcement agencies with the tools and expertise they need to protect the environment from being exploited by criminals. Interpol | Environmental Security Unit
(5) Il Consorzio Internazionale per la Lotta ai crimini ambientali è il frutto della collaborazione di cinque organizzazioni intergovernative. Le agenzie partner dell’ICCWC sono il Segretariato CITES, l’INTERPOL, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale delle Dogane (WCO).
(6) Global Witness, ONG Internazionale fondata nel 1993
(7) C. Baraniuk (2018), Facebook animal trade exposed in Thailand | BBC News
(8)Interessanti in questa direzione i report del progetto AIRCOP con copertura di 36 paesi e ben 41 aeroporti, Office on Drugs and Crime | United Nations
(9) Form and content of a possible Protocol on the illicit trafficking of wildlife, (2020) | Global Initiative to End Wildlife Crime
(10) Tutela penale dell’Ambiente, (27-04-2024) | Parlamento Europeo
(11) Rapporto Ecomafia-Storie e numeri della criminalità ambientale in Italia raccontati nel report di Legambiente, (2023) | Legambiente
(12) L. Colantoni, G.S. Sarno, M. Bianchi, (2022) Fighting Environmental Crime in Europe. An Assessment of Trends, Players and Action | IAI
(13) Tra questi paesi rientrano Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia.
(14) S. Valentino, (2024) L’Europa affamata di soia tarda a fermare la deforestazione in Argentina | VoxEurop
(15) L’Iniziativa globale contro la criminalità organizzata transnazionale, a volte abbreviata in Iniziativa globale, è un’organizzazione internazionale non governativa con sede a Ginevra. L’organizzazione è composta da una rete di professionisti delle forze dell’ordine, della governance e dello sviluppo, che condividono l’obiettivo di sviluppare strategie e risposte innovative alla criminalità organizzata. Nel luglio 2020 la rete contava 500 esperti.
(16) Istituto Superiore di Sanità – Superfood
(17) Tra i tanti sicuramente giova menzionare Irpi Media che fa parte del Global Investigative Journalism Network (GIJN) e Voxeurop che invece rappresenta la prima cooperativa editoriale europea
(18) Il programma regionale europeo di assistenza tecnica ai paesi dell’America Latina EL PAcCTO (Europa Latinoamérica Programa de Asistencia contra el Crimen Trasnacional Organizado). Le attività svolte dal programma EL PAcCTO riguardano e riguarderanno nei prossimi anni l’ambito penitenziario, e politiche di genere, il riciclaggio del denaro, la corruzione e il cybercrime.