Transazione Fiscale

Crisi d’Impresa e Reati Tributari: la transazione fiscale

17 marzo 2021

di Nicola LORENZINI

Rischi e responsabilità nella Crisi d’impresa post “Pandemia” l’opportunità della Transazione fiscale nei reati tributari di omesso versamento.

È trascorso ormai più di un anno di pandemia e l’Italia conteggia i danni economici. L’ISTAT calcola il Prodotto interno lordo nel 2020 in diminuzione dell’8,9% e quantificati in 160 miliardi di Euro in meno rispetto al 2019.

Ognuno di noi ha “perso” 2.600 euro di Pil. Se tutto va bene nel 2021 la ricchezza nazionale risalirà del 3-4%. La più ottimista è Standard & Poor’s: +5,3%. In ogni caso non basta per tornare dove eravamo prima. Ci saremo forse nel 2023.

Tutto il mondo ha perso vite umane e Pil ma, tra le aziende, c’è chi ha incassato il brusco calo delle vendite e dei ricavi in una situazione economicamente di forza e chi paga debolezze che si trascinano dalle precedenti crisi globali. La ricchezza della Germania, pandemia compresa, negli ultimi 25 anni è cresciuta comunque, del 30%, il nostro incremento dal 1995 ad oggi è zero.

Nel 2020 le famiglie italiane hanno avuto un decremento reddituale si calcola pari a 29 miliardi di Euro e hanno consumato 108 miliardi di Euro in meno. Le famiglie che invece non hanno perso reddito hanno però risparmiato, visto che molte spese, sono state “vietate” dal distanziamento fisico.

La propensione al risparmio è passata dal 9% al 16%: i conti correnti delle famiglie hanno avuto un surplus di 84 miliardi di Euro in più rispetto al 2019 (un record storico) e ora il totale viaggia a 1.200 miliardi di Euro (Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo).

Leggendo questi dati si percepisce come l’aumento dei disagi e delle disuguaglianze sia in aumento. Un terzo delle famiglie dichiara di aver subito una diminuzione di reddito, il 15% denuncia decurtazioni delle entrate pari al 25%. Le situazioni di grave indigenza secondo la Caritas fanno crescere la percentuale dei nuovi poveri dal 31 al 45% nell’ultimo anno.

La Cgia di Mestre ha quantificato come le imprese italiane di servizi e manifattura che fatturano complessivamente 3.100 miliardi di Euro, abbiano perso circa 400 miliardi di Euro di cui 200 sono a carico delle imprese che hanno subito la chiusura obbligata dai DPCM susseguitesi nella Pandemia .

Tutte le categorie hanno un segno meno, troviamo alimentare (-3,4%) e farmaceutico (-1,2%) solo il commercio di beni online porta un +34% (fonte Prometeia). Chi ha perso di più è il settore della musica dal vivo (concerti): -97% (fonte Assomusica). I ristoranti hanno lasciato sul piatto il 34% del fatturato, mentre cinema, teatri, agenzie di viaggio, palestre, ben il 70%.

Tra qualche tempo con la fine delle moratorie si vedranno i danni. La Banca d’Italia mette in guardia da un rischio di crescita dei fallimenti: 2800 in più entro il 2022, a cui se ne potrebbero aggiungere 3.700 stoppati nel 2020 dagli aiuti pubblici. Tra le più vulnerabili ci sono le imprese molto piccole, di cui l’Italia è piena: quelle in crisi nera sono 292 mila (indagine Istat). Tolto il divieto di licenziare, il bilancio dei posti di lavoro sacrificati potrebbe aggirarsi su cifre ben più alte, tra 1,2 e 1,4 milioni. E ancora: il crollo del Pil, che è il parametro di rivalutazione delle pensioni calcolate con il metodo contributivo, peserà sugli assegni dei futuri pensionati: 99 euro al mese per chi oggi ha 50 anni (stime Progetica).

La scialuppa di salvataggio sembrano essere i 209 miliardi di Euro del Next Generation Ue. In gran parte, 127 miliardi di Euro, si tratta di altri debiti. L’Europa ci impone le oramai imprescindibili riforme di cui l’Italia ha bisogno da decenni, (giustizia, pubblica amministrazione, fisco) ma che non ha mai fatto.

Da un recente Rapporto dell’OCSE che analizza i dati di fiscalità delle principali economie avanzate si legge come la pressione fiscale abbia aggiunto un tasso del 42% collocando l’Italia al settimo posto nella classifica dei 37 Paesi Ocse ed è logico vi saranno sempre più imprese e imprenditori in situazioni di grave dissesto finanziario.

Alla luce di ciò è necessaria una presa d’atto, che le Aziende e gli imprenditori in situazioni di dissesto o grave sofferenza finanziaria, ometteranno il versamento delle imposte per salvaguardare la c.d. continuità aziendale. Tale scenario sarà giuridicamente difficile da analizzare, in quanto trasversale a discipline giuridiche differenti:

  • quella Penale tributaria, che prevede le fattispecie di omesso versamento delle imposte ex artt. 10 bis 10 ter del D.lgs 74/2000(1);
  • quella relativa agli accordi di ristrutturazione del debito preveduti dal Codice della Crisi d’impresa, nonché
  • il codice penale comune che prevede le attenuanti per l’imprenditore in difficoltà.

In particolare, si vuole approfondire il tema del pagamento del debito tributario dell’imprenditore che trovatosi a scegliere in un’epoca di vacche magre abbia deciso di omettere i versamenti delle imposte per ottemperare agli impegni e le scadenze con fornitori dipendenti e banche. L’intervenuto accordo con l’amministrazione finanziaria, non per forza frutto di una transazione fiscale, e la rimodulazione del debito tributario con lo scopo di una novazione del debito, sicuramente porta ad attenuare e mitigare l’impatto applicativo dei reati di omesso versamento delle imposte, ove lo stesso dipenda da crisi di liquidità provvisorie e contingenti(2). Ciò posto le prescrizioni applicative ex art. 13 del D.lgs n. 74/2000 portano già alla esclusione della punibilità, ma non limitano la illiceità della condotta.

Tale previsione, come sottolineato dalla Suprema Corte, ha però molteplici difficoltà applicative, quando vi sono ingenti debiti tributari e in presenza anche di cause esterne, nel caso appunto della crisi post pandemia, che hanno portato l’imprenditore ad omettere il versamento delle imposte.

Il termine fisso dei tre mesi per il pagamento del debito residuo ex art. 13 e 13 bis del Dlgs 74/2000 è assolutamente inadeguato per i piani di rateazione come appunto il caso della transazione fiscale che risulta essere un accordo validato dalla stessa Amministrazione Finanziaria.

A maggior ragione tale termine risulta ancor più inadeguato e mal si concilia ai fatti non imputabili all’imprenditore che, come nel caso di questa crisi post Pandemica, non abbia potuto per tempo ottemperare agli obblighi tributari per cause indipendenti dalla sua volontà.

Sarebbe quindi augurabile cassare questo termine dei tre mesi, che possono diventare sei mesi, ma che è obbiettivamente perentorio e non negoziabile, introducendo una discrezionalità del Tribunale di merito, che tenendo da conto della novazione del debito accordato dal creditore Erario, permetta di estinguere i tributi con sanzioni e interessi entro il nuovo termine concesso dallo stesso, consentendo nel contempo di beneficiare della relativa causa di non punibilità. Tale potrebbe essere per l’imprenditore onesto che si impegna a rientrare dei debiti Iva e Imposte dirette, e che raggiunge un accordo con l’amministrazione finanziaria di poter non essere condannato penalmente nel caso ottemperi alle scadenze e impegni presi.

Non è da sottovalutare il rischio per le Aziende e l’imprenditore di provvedimenti di sequestro presupposto alla confisca, che potrebbero intervenire e che in questo periodo di piena crisi, diventerebbero una duplicazione afflittiva, ove disposti nel caso di omessi versamenti, per i quali vi sia in corso un piano di rateazione per il progressivo ed integrale pagamento del debito tributario, frutto di una transazione fiscale che ha sicuramente previsto anche delle garanzie reali e/o fideiussorie.

Sia nel Codice della Crisi d’impresa che nella normativa penale tributaria non vi si trovano specifiche forme premiali per l’imprenditore, che trovandosi in crisi di liquidità, abbia omesso il versamento delle imposte in casi non attribuibili a frodi e/o a distrazioni o responsabilità dovuta a mala gestio, e che abbia preso impegni garantiti e abbia rinnovato il suo debito contemplante l’integrale versamento dell’IVA con l’erario, ricevendone omologa dal Tribunale di merito, e che quindi possa essere tenuto esente da responsabilità penali, una volta ottemperato agli impegni assunti.

Sarebbe auspicabile un giudice della crisi che possa bilanciare il sistema penale tributario e gli interessi erariali e salvare soggetti sani, ma in crisi di liquidità esente da responsabilità dell’imprenditore ma attribuibile allo stato di crisi economica oggi in atto.

In tale contesto, la possibile risoluzione potrebbe essere la previsione di un nuovo art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, che superi il non negoziabile termine di tre mesi e introduca una discrezionalità del giudice di merito, che tenga conto delle ragioni poste alla base dell’intervenuto omesso versamento e di eventuali termini di dilazione pattuiti proprio con l’Erario, e consenta un ragionevole arco temporale entro cui estinguere integralmente il debito tributario beneficiando della relativa causa di non punibilità.

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   D.Lgs. 74/2000 – Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto

(2)   Corte di Cassazione, sezione III penale, Sentenza nr. 29544 del 19 gennaio 2017

 



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