Dal Boom al Declino: Come la Sostenibilità può Trasformare la fine di un’Impresa

Dal Boom al Declino: Le Imprese in Liquidazione e la Valutazione dei Fattori ESG

4 dicembre 2024

di Alessandro MICOCCI

Nel trattare i temi legati alle imprese, si è portati spesso a considerare quasi esclusivamente quelle in funzionamento, cioè le aziende nelle quali i fattori produttivi sono impegnati nella creazione di valore, dimenticandosi che il ciclo di vita di un’impresa è paragonabile a quello naturale di un essere umano. Si assiste, parimenti, ad una fase iniziale (start up), seguita dalle fasi di crescita e di sviluppo, fino ad arrivare alla fase di declino, le cui durate temporali dipendono da molti elementi, sia interni che esterni.

Inoltre, partendo dalla definizione di imprenditore contenuta nell’articolo 2082 del Codice Civile, potremmo definire l’impresa come un’attività economica organizzata dall’imprenditore e da lui esercitata professionalmente al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi.

Nella fase di declino si può assistere al termine di questo esercizio professionale e, in questo caso, alla messa in liquidazione della stessa. 

La liquidazione può avere origine da una scelta (o esigenza) dell’imprenditore che, non volendo (o potendo) continuare la sua attività, preferisce optare per la liquidazione dell’azienda senza valutare alternative commerciali (ad esempio la cessione). In altri casi, la liquidazione può essere invece diretta conseguenza di crisi economiche – finanziarie non individuate per tempo, tenuto anche conto dell’esistenza di alcuni strumenti messi a disposizione dal legislatore volti a prevenire la crisi d’impresa. Giova ricordare il rivisto articolo 2086, comma 2, del Codice Civile che prevede; “ l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Indirettamente collegati alla prevenzione della crisi d’impresa, in quanto permettono di rendere le aziende più resilienti nel lungo periodo, vi sono gli investimenti nella sostenibilità ed in particolare nei fattori ESG (Environmental, Social and Governance). Negli ultimi anni le questioni ambientali e più in generale quelle legate ai fattori ESG sono divenute sempre più predominanti. La nuova direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) recepita in Italia recentemente con il decreto legislativo 125/2024, ha imposto, per le imprese rientranti nel perimetro di applicazione, l’obbligo di rendicontare tutte le informazioni ed i rischi inerenti la sostenibilità attraverso dei principi standard (ESRS) emanati dall’EFRAG, l’ente europeo di regolamentazione contabile.

Indipendentemente dalle motivazioni, la fase del declino e della liquidazione, rispetto alle precedenti fasi del ciclo di vita dell’impresa, comporta inevitabilmente un cambiamento anche delle regole contabili necessarie per la redazione del bilancio civilistico: l’insieme dei beni aziendali non può più essere stimato considerando le loro potenzialità economiche in un’impresa in funzionamento, bensì rispetto al loro valore di realizzo.

Questo cambio di prospettiva comporta l’applicazione delle regole contabili che disciplinano la liquidazione di una Società ed in particolare il principio contabile OIC 5 il quale, lo scorso aprile, è stato pubblicato in versione aggiornata per la sola consultazione. Alla data del presente articolo non è stato ancora approvato, pertanto, è possibile solamente individuare le novità emerse nella versione circolata in bozza. Tra queste vi è sicuramente quella di considerare il bilancio di liquidazione come lo strumento idoneo attraverso il quale il liquidatore rende conto di come sta evolvendo il processo liquidatorio, cioè quell’insieme di attività volte a realizzare l’insieme dell’attivo patrimoniale (vendita degli asset, incasso dei crediti), soddisfacendo anche i creditori sociali. Pertanto, poiché gli schemi patrimoniali ed economici previsti dagli articoli 2424 e 2425 del Codice Civile non risulterebbero più idonee per tale finalità, si dovranno utilizzare degli schemi differenti, adattati alla nuova funzione, salvo che una parte dell’impresa, seppur in liquidazione, non continui ad operare (liquidazione con continuità aziendale).

Se l’obiettivo finale è quello di soddisfare i creditori sociali realizzando l’attivo, i dubbi che sorgono riguardano la conciliazione tra l’interesse dei singoli creditori (massimizzazione del realizzo) con quello, più generale, della collettività:

  • nel caso in cui l’impresa stia continuando ad operare, parzialmente, in continuità;
  • quando sussistono di tematiche ambientali da soddisfare (esempio inquinamento dei siti aziendali).

Relativamente al primo punto, l’impresa non obbligata a rendicontare le informazioni sulla sostenibilità in quanto non rientrante nel perimetro applicativo del suddetto decreto legislativo 125/2024, potrebbe optare per una rendicontazione volontaria finalizzata a valorizzare i propri asset, seguendo i principi di trasparenza e verificabilità, attraverso le informazioni sulla sostenibilità. Infatti, essendo i fattori ESG utili, come anticipato, a minimizzare i rischi economici e finanziari nel lungo periodo, una rendicontazione volontaria potrebbe garantire gli stakeholder circa la capacità del liquidatore (e di conseguenza dell’impresa) di gestire il governo societario in un’ottica di sostenibilità sociale e finanziaria, valorizzando appunto il valore dell’impresa nel suo complesso. In altre parole, permetterebbe di far emergere quel valore intangibile dell’impresa che potrebbe divenire un ulteriore elemento di valutazione interessante per gli operatori presenti sul mercato, sia nell’ottica di una ipotetica cessione, sia in altre modalità di realizzo dell’attivo. Ciò sarebbe possibile in quanto il valore dell’impresa in funzionamento non è rappresentato dalla mera somma contabile dei singoli asset, quanto piuttosto dalla somma del valore potenziale degli stessi, tenuto conto anche di un ulteriore maggior valore espresso dall’uso degli stessi, dalla valore riconosciuto dal mercato o, in altri termini, dalla particolare combinazione organizzata dall’imprenditore al fine di produrre o scambiare beni e servizi (tramite i fattori ESG sarebbe quindi possibile far emergere tutte le potenzialità inespresse degli intangibles asset).

Più complessa la questione sulle tematiche ambientali. Per rispondere si potrebbero considerare gli obblighi ambientali (tralasciando in questa fase i fattori sociali e di governance) alla pari di un credito e, di conseguenza, considerare che parte di quanto verrà realizzato dall’attivo, dovrà, similarmente ai crediti, essere utilizzato per soddisfare quelli che impropriamente potremmo definire creditori ambientali (rappresentati dalla collettività se trattasi di un sito inquinato le cui conseguenze ricadono, appunto, sulla comunità che vive nei pressi dell’impresa). 

Un evento che, nel lungo periodo, potrebbe tecnicamente ridursi proprio grazie ai sempre maggiori obblighi sulla sostenibilità richiesti alle imprese in fase di funzionamento; se gli amministratori opereranno con criterio e con la dovuta responsabilità sociale, allora, in linea teorica, anche i rischi relativi ai fattori ESG dovrebbero ridursi e quindi il totale realizzato con l’attivo essere utilizzato solamente per il soddisfacimento dei creditori sociali. Tenuto conto del panorama italiano formato principalmente da PMI, diventano maggiormente rilevanti i principi VSME predisposti sempre dall’EFRAG proprio per facilitare la comunicazione delle performance ESG delle realtà minori.

Concludendo, spingere le imprese verso un’economia sostenibile e dotare i professionisti degli strumenti adatti a far emergere con largo anticipo le situazioni di crisi d’impresa, permetterebbe non solo di garantire alle generazioni future un livello di benessere almeno pari a quello attuale, ma di evitare che sui pochi creditori aziendali ricada l’onere che l’impresa avrebbe verso la collettività e per la responsabilità di terzi rispetto all’impresa in liquidazione.



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