di Francesco Domenico ATTISANO
Partendo dalle conclusioni è ormai chiaro che comunicare non è più sufficiente, bisogna gestire in maniera efficace per creare efficienza ed economicità. Infatti, la triste realtà è che i rischi ambientali e sociali si stanno tramutando in eventi sempre più ripetuti e ravvicinati, e non solo ciclici nel medio termine, con una rilevanza – per l’ampiezza e vastità dei danni che ne conseguono – non solo per le aziende ma per tutti gli stakeholder, quindi per gli investitori ma in ultima analisi per noi cittadini.
Nell’ultimo triennio, l’attenzione da parte degli stakeholder alle questioni ambientali e sociali, nonché l’evoluzione normativa internazionale e nazionale, hanno dato una spinta esponenziale al tema delle performance non finanziarie.
Parallelamente l’interesse sui rischi non finanziari quali fattori di incertezza insiti nell’attività di impresa sta imponendo sempre di più l’esigenza, da parte dei Board aziendali, di prendere in considerazione i rischi ricadenti nell’area e nelle politiche di Environmental, Social, Governance (ESG) adottate.
Basti pensare che, nell’ultimo Global Risk Report(1), pubblicato dal World Economic Forum, quattro dei cinque Top Risk hanno natura sociale o ambientale. Tra essi, sono presenti:
- eventi meteorologici estremi,
- crisi idriche,
- disastri naturali e
- l’inadeguatezza delle misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Ormai è chiaro che l’integrazione dei temi ESG nei processi di decisione strategica delle imprese è essenziale ed è strettamente correlata all’incremento del livello di trasparenza e di accountability che richiedono i mercati finanziari e in generale i cittadini.
Dal punto di vista aziendale, pertanto, la qualità e la reale applicazione del risk management improntata ai temi dell’ESG è direttamente proporzionale alla sua capacità di creare valore economico in modo stabile e durevole, con un orizzonte temporale di lungo periodo. Non ci si può più permettere di essere miopi; non basta più considerare i fattori environmental e social come causa dei rischi reputazionali e operativi, che influenzano a loro volta i rendimenti finanziari delle imprese. Gli aspetti non finanziari paradossalmente diventeranno i presupposti fondanti per la sostenibilità economica e finanziaria del business.
A conferma di tutto ciò, senza citare specificatamente le aziende, in questi ultimi mesi, dai media si apprende che molte aziende leader nei loro settori, in maniera proattiva, stanno costituendo al loro interno appositi Comitati Environmental, Social & Governance con compiti propositivi e consultivi dell’attività consiliare di integrazione delle tematiche ESG nelle strategie di business. Inoltre, molteplici gruppi assicurativi e bancari per essere in linea con le evoluzioni normative e rispondere al mercato ovvero ai fabbisogni di chiarezza e trasparenza dei piccoli investitori, nell’ambito dei loro investimenti stanno integrando le tecniche tradizionali di analisi dei rischi e rendimenti finanziari con analisi mirate a misurare le politiche, le performance, le pratiche e gli impatti di sostenibilità delle società emittenti, proprio allo scopo di eliminare o evitare il coinvolgimento, attraverso l’attività di investimento, in società considerate non in linea con i principi di ESG.
È opportuno ricordare, che dal punto di vista normativo, una chiara direttrice c’era già stata nel mese di dicembre 2016, con l’emanazione del D.Lgs n.254/2016(2) che ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva comunitaria n. 95/2014. In base al Decreto, le imprese che soddisfano determinate condizioni indicate dall’art. 2 del decreto medesimo sono tenute a pubblicare le informazioni relative alle performance di sostenibilità in una dichiarazione di carattere non finanziario – individuale o consolidata – che, come recita il Decreto all’art. 3, c. 1: “(…) nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, copre i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, …che sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa (…).
Il legislatore, inoltre, non si è fermato qui, in quanto l’articolo 1 c. 1073 della Legge di Bilancio 2019(3), introducendo una modifica al citato decreto, prescrive per le imprese anche l’illustrazione dei rischi e delle modalità di gestione dei principali rischi.
Questa attenzione generalizzata alla tematica integrata dell’ESG è avvalorata a livello mondiale dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile(4), sottoscritta dai paesi membri dell’ONU. Essa incorpora diciassette obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) in un grande programma d’azione per un totale di 169 risultati attesi (target) da raggiungere entro il 2030.
La maggiore sensibilità ai rischi Environmental, Social e Governance (ESG) è stata confermata qualche giorno fa anche da Borsa Italiana, che attraverso il proprio Comitato per la Corporate Governance ha annunciato che nella roadmap che porterà alla definizione della nuova edizione del Codice di autodisciplina (prevista per la fine del 2019) particolare enfasi verrà assegnata all’integrazione della sostenibilità, anche ambientale e sociale, nelle strategie, nella gestione dei rischi e nelle politiche di remunerazione delle società quotate.
Dopo questa breve panoramica di tendenze e fonti normative sul tema ESG, non si può tralasciare l’aspetto metodologico e operativo, ovvero, che per la gestione dei rischi bisogna attivare un percorso strutturato, un processo sistemico di gestione aziendale integrata. Per fare ciò è necessario un framework di riferimento, per un’effettiva applicazione della gestione dei rischi. E allora, non si può che far riferimento al COSO ERM, il modello maggiormente utilizzato a livello internazionale quando si approccia al tema del risk management. Va precisato che il framework nel 2017 è stato profondamente rinnovato rispetto alla versione di quasi 15 anni fa (del 2004); non è stato meramente aggiornato, bensì rivoluzionato. Solo per fare un’anticipazione, di un prossimo articolo, l’ERM viene descritto come “La cultura, le capacità e gli strumenti, integrati con la strategia e l’operatività, su cui le organizzazioni fanno affidamento per gestire i rischi nel processo di creazione, mantenimento e realizzazione del valore”(5). Il focus è quindi sulla creazione del valore, ma non solo economico, ma anche sostenibile e sociale; a tal punto che nel mese di ottobre 2018 il COSO ha sviluppato delle linee guida(6) per l’applicazione dell’Enterprise Risk Management ai rischi relativi all’Environmental, Social & Governance.
In conclusione, ma è solo l’inizio di un lungo viaggio, il processo di identificazione – valutazione e gestione dei rischi ESG è esso stesso un obiettivo strategico di qualsivoglia organizzazione aziendale.
Intervento del Dott. Francesco Domenico ATTISANO – Commissario Esterno dell’Ufficio del Controllo Interno di Gestione – Regione Autonoma Sardegna – CIA, CRMA, CCSA, QAR.
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Global Risk Report, World Economic Forum – 2019
(2) D.Lgs n.254/2016
(3) Legge di Bilancio 2019, (Legge 30.12.2018 n. 145)
(4) Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, ONU
(5) “The culture, capabilities, and practices, integrated with strategy and execution, that organizations rely on to manage risk in creating, preserving, and realizing value” – Enterprise Risk Management, Integrating with Strategy and Performance – Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (COSO), sept.2017
lorenzo salmeri Replica
Ottima analisi, condivido pienamente e grazie dell’illustrazione