di Matteo CORBO
Abbiamo già ampiamente parlato del payback sui dispositivi medici e degli effetti distruttivi che ha avuto sulle nostre aziende(1), passando poi in rassegna l’evoluzione della vicenda processuale che ne è conseguita(2).
La partita, su quel fronte, ancora non è chiusa. Infatti, dopo il rinvio da parte del Tar Lazio, la Corte costituzionale ha tenuto udienza lo scorso 22 maggio, discutendo la costituzionalità delle normative che hanno disposto il famigerato payback.
L’udienza è stata lunga e combattuta, la tensione era palpabile da parte di tutti i soggetti in campo, poiché era ben chiaro per tutti quale fosse la posta in gioco:
- per molte aziende, la stessa sopravvivenza sul mercato;
- per le Regioni, la quadratura del cerchio a fronte di bilanci sanitari sempre più insostenibili;
- per lo Stato, un fondamentale freno all’ulteriore aggravamento della spesa pubblica per i dispositivi (posta, per l’ennesima volta, a carico del sistema produttivo).
Alla fine, dopo l’esposizione degli argomenti delle parti (senza particolari elementi di novità rispetto a quanto già emerso di fronte al Tar Lazio), la Corte ha rimesso la causa in decisione. Adesso tutti – aziende, associazioni di categoria, Regioni, Ministeri – sono in attesa di qualche elemento (ad esempio: la pubblicazione di un comunicato stampa) da parte della Corte, mentre la decisione completa è attesa prima dell’estate.
Ma mentre un fronte è ancora caldo, vento di burrasca arriva da un’altra direzione, aprendo un’ulteriore trincea del conflitto fra Stato e imprese.
Effettivamente, mentre tutto questo accadeva in materia di payback, mai ci saremmo aspettati di assistere a un nuovo intervento “a gamba tesa” da parte del Legislatore, proprio a carico di quelle stesse aziende, già duramente colpite dai precedenti provvedimenti.
Così è, se vi pare.
Infatti, in data 9 febbraio 2024, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un Decreto del Ministero della Salute con il quale sono stati stabiliti i criteri e le modalità per alimentare il cd. “Fondo per il governo dei dispositivi medici”.
Con tale provvedimento, viene previsto che, già a partire da quest’anno, le aziende che commercializzano dispositivi medici e grandi apparecchiature medico-diagnostiche, nonché dispositivi medico-diagnostici in vitro, dovranno versare allo Stato, annualmente, lo 0,75% del fatturato derivante dalla vendita al Sistema Sanitario Nazionale dei predetti dispostivi.
Il Decreto non nasce da un’invenzione di qualche burocrate ministeriale, ma affonda le sue radici nelle previsioni di due Regolamenti europei, che prevedono l’istituzione del Fondo, poi attuati nell’ordinamento italiano attraverso le previsioni di cui ai D.Lgs. n. 137/2022 e 138/2022, relativi rispettivamente ai dispositivi in vitro il primo e ai dispositivi medici e alle grandi apparecchiature il secondo.
Tuttavia, la pubblicazione del nuovo Decreto, proprio mentre il payback è sottoposto a un rigido vaglio di costituzionalità, pone un interrogativo di fondo: è possibile che due misure così penalizzanti per lo stesso settore vengano adottate nello stesso periodo e senza alcun coordinamento?
Sembra quasi che le conseguenze derivanti dal combinato disposto delle due norme non interessino a chi tale settore deve regolare. Innanzitutto, molte piccole o medie imprese rischiano di fallire o comunque di uscire dal settore dei dispositivi, tenendo conto che il “Decreto 0,75%”, così come il payback precedentemente, va a colpire il fatturato (e non l’utile!) delle imprese, mettendo a rischio l’esistenza stessa di un margine effettivo (si ricordi che parliamo di un settore non certo noto per le sue prorompenti marginalità).
Inoltre, la conseguenza diretta di tutte queste misure sarà il disimpegno di molte aziende dal mercato pubblico, visto che la vendita alla Pubblica amministrazione risulta così penalizzante e rischiosa, con la probabile conseguenza di un sensibile aumento dei prezzi praticati dai restanti operatori, che peraltro cominceranno a considerare tali misure (quelle previste e magari anche quelle che cominceranno a temere, vista l’assoluta incertezza del quadro normativo) al momento dell’individuazione dei prezzi iniziali in sede di proposta alla Pubblica amministrazione.
E pertanto, alla fine: pochi dispositivi, con danno al diritto alla salute dei cittadini, e spesa pubblica alle stelle: proprio il contrario di quanto si auspicava con l’approvazione del payback.
E, quindi (mi si perdoni la citazione non politicamente corretta): “che fare?”
Molte aziende effettivamente hanno reagito, impugnando il Decreto di fronte al Tar del Lazio o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, contestando numerosi vizi, sia di illegittimità diretta del Decreto, sia di illegittimità derivata dall’asserita contrarietà dei Decreti Legislativi presupposti con la Costituzione e il diritto europeo.
Il ricorso è infatti diventato necessario per contrastare questa richiesta economica, che andrà a ledere le aziende non soltanto per quest’anno, ma per tutti gli anni a venire, visto che il Decreto, per le aziende che non lo hanno contestato giurisdizionalmente, si è definitivamente consolidato.
Una prima buona notizia per i ricorrenti sembra essere la fissazione della prima udienza di discussione nel merito della causa per il prossimo 2 dicembre: non ci vorrà quindi troppo tempo prima di poter nuovamente “incrociare le lame” con l’Avvocatura di Stato in materia di dispositivi medici.
Dopodiché, non potremo fare altro che attendere la decisione, per vedere se, come per il payback, “ci sarà pure un giudice a Berlino”.
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti
(1) M. CORBO (2023) Un rischio imprevisto per le imprese: il payback sui dispositivi medici – Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(2) M. CORBO (2023) Payback: a volte ritornano. Continua l’incredibile vicenda relativa al payback dei dispositivi medici – Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it