Ma la UE perché se la prende con la Polonia e non con l’Italia?
Recentemente la stampa italiana ha riportato una dichiarazione del responsabile dell’agenzia delle entrate secondo il quale 19 milioni di italiani sarebbero degli evasori fiscali.
C’è da chiedersi se queste affermazioni non siano dovute, più che ad un malcostume nazionale, ad un approccio distorto dell’agenzia delle entrate.
Partiamo dallo strumento della compliance usato dalla Agenzia delle Entrate. La compliance è quello strumento con il quale vado a vedere se i comportamenti effettivi corrispondono con degli standard predefiniti(1). Si tratta, in un certo senso, dello stesso principio cui si richiama lo Stato di Diritto, cioè la rule of law, contrapposta al governo dell’uomo sull’uomo.
L’agenzia delle Entrate ha un’idea completamente diversa della compliance. La compliance non è lo strumento per garantire il rispetto della norma, strumento che, quindi, vincola l’operatore ma anche il controllore. Per l’Agenzia delle entrate la compliance si realizza quando un contribuente accetta un rilievo fatto dalla agenzia stessa senza opporsi. In questo caso il contribuente si vede addirittura ridurre la sanzione per l’ipotetica infrazione commessa! Se il contribuente si piega al potere di un funzionario tutto ok, il contribuente viene “premiato” con una riduzione della sanzione. Guai se osa far valere le sue ragioni!
A questo si deve aggiungere che i dati che spesso ci vengono sciorinati sulla evasione fiscale degli italiani si basano su di una contabilità pubblica che presenta molti aspetti dubbi. In tutti i paesi avanzati del mondo il ciclo del bilancio pubblico inizia con la “previsione di Entrata” (cui fa seguito la allocazione delle risorse entrate ai vari settori etc.). Stranamente questa fase di “previsione/stima delle entrate” nella nostra contabilità pubblica viene definita “accertamento”, quando dovrebbe essere chiaro a tutti che in una previsione non c’è proprio niente di certo.
- Da dove deriva questa stranezza terminologica?
- Che effetti ha questa stranezza?
La stranezza di chiamare accertamento una operazione di previsione deriva da una concezione brutalmente autoritaria dello Stato che non prende nemmeno in considerazione la possibilità di potersi sbagliare. La conseguenza è ridicola, se non fosse tragica. Le entrate accertate possono essere spese anche se non sono state riscosse! Il nostro debito pubblico trova qui una delle sue principali cause.
Perché si dovrebbero “accertare” entrate difficilmente realizzabili? Innanzi tutto perché i titolari del potere si trovano ad avere una agilità di manovra ben superiore a quella che una sana gestione permetterebbe. I ritardati pagamenti delle nostre amministrazioni nei confronti dei fornitori privati trovano qui la loro origine. Il meccanismo dell’accertamento non suffragato da dati reali permette alle amministrazioni di prendere impegni di spesa in assenza di copertura di cassa ma solo con copertura formale (di competenza).
- I revisori dei conti degli enti locali dovrebbero porre un freno a questo malcostume ma hanno molte difficoltà dovute alla carenza di dati statistici affidabili su cui basare le loro analisi(2).
- Un ulteriore freno è rappresentato dal Dlgs 118/2011 (in attuazione della legge 42 del 2009) che impone agli enti locali di scandire le proprie uscite temporizzandole sulle entrate.
- Per le altre amministrazioni non c’è nemmeno la diga del collegio dei revisori dei conti e l’obbligo di scandire le uscite coordinandole con le entrate (previsto dal Dlgs 91 del 2018 preso sempre in attuazione della legge 42 del 2009) è totalmente ignorato.
Da qui l’atteggiamento famelico della nostra Agenzia delle Entrate. Ma perché i funzionari dell’Agenzia delle Entrate dovrebbero prestarsi a questo gioco feudale? L’agenzia delle Entrate si lamenta del fatto che riesce a recuperare solo il 7% dell’evasione “accertata” (che, comunque può essere spesa). Il fatto è che i funzionari della Agenzia delle Entrate usufruiscono dei meccanismi incentivanti la produttività così come previsto dal Dlgs 150/2009(3). Gli obiettivi della produttività non vengono definiti sulla base delle risorse recuperate ma sulla base delle evasioni “accertate”. Con il meccanismo della compliance che abbiamo descritto sopra il funzionario dell’Agenzia delle Entrate non è motivato ad approfondire i singoli casi e ad analizzare se il contribuente ha qualche motivo a favore della sua interpretazione della norma fiscale. “Accertando” sa che contribuisce al raggiungimento dei suoi obiettivi di produttività e ai premi finanziari collegati.
La situazione diventa spesso drammatica per i cittadini comunitari che operano in Italia. Qui emerge un ulteriore problema: l’ignoranza delle norme europee e del fatto che tali norme prevalgono su quelle italiane. Il funzionario dovrebbe disapplicare la norma italiana ed applicare quella europea. Ma il funzionario italiano non lo sa ed applica la circolare, nemmeno si preoccupa di verificare se la circolare è conforme alla legge italiana. La gerarchia delle norme è completamente ignorata. La possibilità di rivolgersi a SOLVIT(4), il meccanismo UE previsto per i casi di contrasto tra norme nazionali di diversi Stati Membri tra loro e con i principi dell’acquis communautaire è resa vana perché il meccanismo è gestito dalle stesse amministrazioni. Quanti sono i cittadini comunitari che, dopo una lunga residenza in Italia per motivi di lavoro e/o familiari, si sono visti arrivare “accertamenti” perché considerati evasori!
Con questo non si vuol dire che non ci sia evasione fiscale. Semplicemente che il fenomeno è molto meno esteso di quanto si possa credere e che è dovuto in grandissima parte ai comportamenti dello Stato. Sopra tutto, con questi comportamenti, non si ricerca l’evasione dove essa esiste!
Qui non posso fare a meno di chiedermi dove è la UE che si inalbera nei confronti della Polonia e dell’Ungheria perché non rispettano i principi dello Stato di Diritto mentre ignora completamente queste gravi anomali italiane.
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti
(1) M. Balducci (2020), “Ma cosa è questa Compliance?“; www.riskcompliance.it
(2) G. Fera, “I revisori dei conti degli enti locali”, in W. ANELLO, M. BALDUCCI (a cura di), La Performance nella Pubblica Amministrazione Locale: Cosa si può imparare dagli altri, Milano, 2021, Franco Angeli open access, scaricabile gratuitamente a questo link
(3) M. Balducci “La performance come adempimento”, in W. ANELLO, M. BALDUCCI (a cura di), La Performance nella Pubblica Amministrazione Locale: Cosa si può imparare dagli altri, Milano, 2021, Franco Angeli open access, scaricabile gratuitamente a questo link
(4) SOLVIT (Soluzione ai problemi sui tuoi diritti europei) | Unione Europea
Lucchesi Antonio Gino Replica
Tanto interessante che stimolerei Balducci & C. Di dare corso ad un libretto di utilità che si possa comprare dal giornalaio oltre che in libreria. La prevalenza del diritto comunitario anziché quello nazionale mi ha molto aiutato in occasione di attività pubblica che ho svolto nei lontani anni ‘novanta del secolo scorso. Ricordo che i miei dirimpettai antagonisti non ne avevano neanche sentito parlare. Grazie Balducci !!!! Agl