La Corte di Cassazione con la sentenza 31017/2023(1) affronta una questione molto interessante che fino ad oggi ha avuto pochi precedenti in sede di legittimità, ovvero in quali occasioni i membri del CdA che non hanno sottoscritto la dichiarazione fraudolenta con false fatture, rispondono in concorso del reato con l’amministratore che invece l’ha firmata?
I fatti oggetto della contestazione penale:
La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di due membri del CdA di una s.r.l. per il reato di cui all’articolo 2 Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e, operata la riduzione per il rito, li aveva condannati alla pena di un anno di reclusione, condizionalmente sospesa.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, i due imputati nella qualità di soci amministratori di una società a responsabilità limitata, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA, avrebbero indicato elementi passivi fittizi per un importo complessivo di 318.483,22 Euro nella dichiarazione Mod. Unico presentata il 24 settembre 2016, con riferimento all’anno 2015, utilizzando ventiquattro fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti emesse da una società cartiera.
La società emittente le false fatture era stata coinvolta in un ampio giro di c.d. “frodi carosello” e nel caso di specie nell’anno 2015 aveva emesso ventiquattro fatture in favore della società di cui i due imputati erano membri del CdA, per il consistente importo complessivo di € 318.483,22.
La particolarità della vicenda riguarda la circostanza che, nel procedimento penale venivano coinvolti per violazione dell’articolo 2 del D.lgs. 74/2000, non solo l’amministratore della società che aveva sottoscritto la dichiarazione, ma anche gli altri due membri del CdA dotati di poteri sociali disgiunti differenti
Avverso la sentenza di conferma della condanna in appello gli imputati presentavano ricorso per cassazione.
La soluzione giurisprudenziale della Suprema Corte:
il punto nodale di interesse ai fini del presente commento, analizzato e, risolto dalla Suprema Corte riguarda le figure dei due amministratori i quali contestavano l’affermazione della loro responsabilità, deducendo che la stessa sarebbe fondata solo ed unicamente sulla circostanza della carica da essi ricoperta nella società, senza tener conto né, dell’attribuzione di poteri disgiunti ai tre amministratori né, della sottoscrizione della dichiarazione ritenuta mendace ad opera dal solo amministratore.
Difatti, nel caso di specie la questione giuridica attiene alla individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti agli amministratori di una società i quali non abbiano sottoscritto o, presentato la dichiarazione.
I giudici della Suprema Corte nel motivare la sentenza precisavano che, ravvisavano un unico precedente specifico massimato in tema di reati tributari, avente ad oggetto il delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli altri amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392 c.c. (così Sez. 3, n. 30689 del 04/05/2021, Cerbone, Rv. 282714-01, proprio in tema di delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti).
Gli ermellini precisavano che, il citato precedente giurisprudenziale si poneva in linea con un altro precedente orientamento consolidato in materia di bancarotta fraudolenta.
Ed invero, per costante giurisprudenza di legittimità, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento (cosi’, tra le tantissime, Sez. 5, n. 33582 del 13/06/2022, Benassi, Rv. 284175-01, e Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E., Rv. 273925-04).
A fronte di quanto innanzi esposto la Cassazione con la sentenza in commento ha ritenuto di mutuare il proprio consolidato orientamento espresso con riferimento ai reati di bancarotta fissando un nuovo principio di diritto, ovvero che, la responsabilità degli amministratori, privi di delega, per omesso impedimento dell’evento, è configurabile a due sole condizioni, che sia provata:
- l’effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli o quanto meno di segnali di allarme;
- la volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento.
Il succitato principio di diritto si collega, alla disciplina fissata dall’articolo 2392 c.c., secondo cui, gli amministratori di una società non rispondono delle violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto in relazione a fatti commessi da “colleghi” nell’esercizio “di attribuzioni del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori” (comma 1), salvo essere “solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (comma 2).
Di conseguenza, prendendo spunto da questo dato normativo, gli ermellini hanno ritenuto che, gli amministratori senza delega rispondono per i fatti pregiudizievoli per la società commessi in violazione di legge o di statuto da uno di loro nell’esercizio di funzioni al medesimo attribuite “in concreto”, solo se ne erano a conoscenza e non hanno fatto il possibile per impedirne il compimento.
Conclusioni:
A fronte di ciò, sembra ragionevole ritenere che gli amministratori di una società i quali non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, perché vi avrebbe provveduto un altro di essi nell’esercizio di funzioni a lui attribuite anche “in concreto”, rispondono in concorso del reato di cui all’articolo 2 Decreto Legislativo n. 74 del 2000 solo se abbiano avuto conoscenza dell’inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedirne l’indicazione nella dichiarazione o per impedire la presentazione di questa.