di Fabio PRESUTTI
Mi chiedo qual è, teleologicamente, la spinta a realizzare reati quali: bancarotta fraudolenta, corruzione, false comunicazioni sociali, truffa e malversazione, passando per le pubblicità ingannevoli e le frodi alimentari.
C’è solo il profitto di mezzo? Il profitto fuori di dubbio rileva come conseguenza della condotta, ma quale spinta o pulsione spinge a porla in essere?
Le condotte criminose summenzionate, sono concretate nell’ambito e nell’esercizio dell’attività d’impresa e seppure non meno violente di altri reati, sono percepite distanti dall’opinione pubblica, mentre purtroppo rappresentano il portato di operazioni illecite poste in essere dai decisori/vertici aziendali per conseguire i propri obiettivi di business o talvolta anche personali, che producono rilevanti, e in certi casi, devastanti, conseguenze per tutta la società civile. Proprio nelle conseguenze si palesa l’enorme brutalità che i predetti reati realizzano contro la collettività ed in alcuni casi contro l’ambiente.
Il presente articolo si propone di indagare il “lato oscuro” di alcune gestioni aziendali che, come dimostrato dagli scandali di cronaca, sono tutt’altro che responsabili ed eticamente orientate. Una riflessione questa, dal carattere gius-filosofico che si propone di indagare l’elemento soggettivo delle condotte criminose a vario titolo poste in essere nelle escalation dei casi più eclatanti degli ultimi decenni, come per esempio quello delle banche popolari di alcuni anni fa, passando per il “dieselgate” e per gli history cases quali il crack di Parmalat(1) e Cirio, ma prima di Enron e Worldcom, ai quali recentemente si è aggiunto anche il caso del “crack” Alitalia, nella versione SAI, nel quale, in questi giorni, si vedono coinvolti 21 figure tra i vertici dell’azienda a vario titolo indagati per:
- bancarotta fraudolenta aggravata,
- false comunicazioni sociali e
- ostacolo alle funzioni di vigilanza.
Dissesti succedutisi negli anni che hanno rinnovato l’interesse, da parte degli operatori giuridici e della generalità dei consociati, verso lo stretto legame tra:
- l’attività d’impresa, che non manca di mostrare i propri risvolti illegali, e
- l’articolazione dei controlli interni alle organizzazioni, quali strumenti cui fare ricorso per fronteggiare e prevenire certi tipi di accadimenti che altrimenti troverebbero ampia repressione nel diritto penale dell’impresa e della criminalità negli affari(2).
Protagonisti delle gestioni dissennate che hanno provocato e continuano a provocare scandalose frodi aziendali sono i “colletti bianchi”(3). L’apporto di Sutherland alla criminologia si rivela di tale importanza da ridimensionare le teorie del comportamento criminale, perché mette in evidenza come la delinquenza non sia confinata esclusivamente tra le maglie dei ceti socioeconomici inferiori e meno abbienti.
L’interrogativo è: come si sono potute originare storture sistemiche e sistematiche di tal genere e da quali comportamenti hanno tratto origine?
Il tema è certamente insidioso e scottante, ma sulla spinta di un cambio di passo che inizia a farsi sentire trasversalmente nella società odierna, dei primi decenni di questo primo secolo del terzo millennio, sempre più desiderosa di legalità e trasparenza, è utile indagare quello che appare essere il filo comune delle predette vicende, ciò in ottica antibatterica. Ovvero per dotare il sistema dei necessari anticorpi contro i tentativi di frode. Perché sembrerebbe che le lezioni del recente passato di cui abbiamo fatto esperienza non siano state ancora ben comprese e sufficientemente interiorizzate. Ciò che si è verificato ha rappresentato una tragedia umana e sistemica, sia rispetto al top management e ai chief officers delle aziende coinvolte, che dei cittadini.
Per molto tempo, infatti, l’amministratore d’impresa è stato considerato come un superuomo, dotato di speciali capacità e pochi (o quasi assenti) difetti. L’identikit emergente dall’immaginario comune in merito ai manager d’azienda è, infatti, quello di un professionista competente, orientato al bene dell’impresa e, di conseguenza, dall’agire del saggio decisore, ciò proprio perché consapevole della centralità del ruolo delle imprese, quali corpi intermedi all’interno dello Stato. Se quanto appena enunciato fosse stato universalmente vero, come potrebbero essere spiegati i vari scandali d’impresa (es. Enron) e ‘bolle’ speculative (es. ‘dotcom’ – subprime – banche popolari in Italia) che hanno tragicamente influenzato l’intero sistema economico-finanziario mondiale negli ultimi anni?
Le risposte vanno ricercate nei comportamenti dei decisori.
Potrebbe supporsi non in maniera azzardata che alla base dei predetti misfatti ci sono stati vizi e bramosia di potere, insomma la possibile natura narcisistica del dirigente e/o amministratore d’impresa. Alla base dei reati perpetrati dalle rispettive amministrazioni societarie c’è stato il fallimento del sistema dei controlli interni multilivello nonché di quelli esterni di certificazione del buon andamento dell’impresa e della veridicità dei dati iscritti a bilancio. Essi non hanno funzionato perché ciascuno dei soggetti coinvolti ha visto soddisfatti, al giusto prezzo, altri tipi di interessi. L’effetto dell’esercizio di tale potere ha conseguentemente creato il disfacimento sociale di gruppi di individui: investitori, dipendenti, cittadini e pensionati, che né informati né tutelati hanno perso molto se non praticamente tutto ciò che erano riusciti a costruire durante la propria vita.
Nella prevenzione dei rischi aziendali si ragiona su base statistico-probabilistica, su modelli predittivi matematici di enterprise risk management facendo riferimento anche alle serie storiche. Tuttavia questo funziona meno in relazione ai rischi operativi, figuriamoci rispetto al fattore umano, il quale sfugge di per sé stesso a qualsiasi metrica, rappresentando di fatto la variabile incalcolabile oggettivamente e da presidiare con altro genere di funzione aziendale, quella per esempio dell’internal audit. Infatti, è proprio a causa di un malfunzionamento nelle attività di audit, ivi comprendendo i report esplicativi delle non conformità da trattare, che una nota azienda automobilistica si è causata un danno reputazionale ed economico senza precedenti, laddove l’azienda non ha saputo immunizzare se stessa rispetto alle frodi.
Dunque, a questo punto occorre chiedersi: qual è stato il grado di tenuta del sistema dei codici di autodisciplina (per le società quotate), delle norme sia cogenti che autoregolamentari(4)? Bisogna forse supporre che siano mere prescrizioni con le quali bisogna essere compliant a livello formale?
Certamente il Legislatore, laddove predispone dei set di regole come quelli del tipo di cui sopra, non aspira certo ad imporre una qualsivoglia forma di rigore etico/morale, la finalità è semmai quella di responsabilizzare e tutelare gruppi di soggetti a vario titolo coinvolti nell’attività d’impresa, beninteso, potendo le condotte contrarie ai precetti essere duramente sanzionate, con sanzioni così tanto onerose da azzoppare la reputazione dell’azienda, nei casi meno gravi, ed espungere l’intera azienda dal mercato nei casi più gravi, come quello della bancarotta fraudolenta di Enron(5). In ogni caso però i maggiori costi sono sempre a carico delle minoranze o dei soggetti deboli. Enron, multinazionale americana dell’energia e Parmalat, multinazionale italiana a carattere “familiare” sembravano a prima vista molto differenti per natura. Da un’analisi più minuziosa, emergono, però, alcune forti similarità. Entrambe le società hanno conosciuto una crescita costante in termini di ricavi e guadagni, tuttavia le due aziende si sono distinte nei decenni precedenti all’esplosione della bolla fraudolenta per comportamenti socialmente irresponsabili che hanno distrutto tutte le aspettative dei loro stakeholder, vale a dire:
- aggirare con successo le normative Antitrust;
- celare magistralmente ingenti debiti;
- evitare il declassamento ad opera degli analisti finanziari;
- ottenere con grande facilità credito dal sistema finanziario.
È dunque possibile immunizzare un’azienda dalle “frodi”? E cosa si intende per frode?
In senso atecnico e nell’accezione generale, il termine frode sta ad indicare un comportamento ingannevole con scopi appropriativi. L’aspetto più rilevante all’interno del concetto di frode è quello della condotta, che non deve necessariamente riguardare la modalità commissiva diretta, ma anche tutta una serie di comportamenti preliminari o successivi volti a favorire la commissione dell’illecito o ad occultarne le tracce. Dunque l’inganno.
L’inganno rappresenta l’essenza del comportamento fraudolento. Può assumere svariati volti e molteplici forme, può dunque minacciare almeno due o più beni giuridici meritevoli di tutela ed integrare molteplici fattispecie incriminatrici. Tornando al “dieselgate” per i costruttori automobilistici coinvolti è emerso che in ballo non vi era un difetto di progettazione o un evento infausto ed accidentale rispetto al prodotto e al suo sviluppo, ma si è verificata un’altra circostanza, è sfuggito il fattore umano nella sua esplicitazione sotto forma di circostanza intenzionale: qualcuno ha agito (attivamente) in modo deliberato per trovare una scorciatoia rispetto alla rigida normativa ambientale sulle emissioni e ha colto egoisticamente l’opportunità per dare una spinta alla propria carriera. Detto scandalo ha però coinvolto alcune multinazionali del settore con migliaia di dipendenti, Shareholders, Stakeholders e centinaia di migliaia di consumatori nel mondo. È un caso emblematico, ove sotto “accusa” non ci sono soltanto i dipartimenti di risk management e compliance, ma anche i sistemi di auditing interno. Non può sottacersi l’importanza vitale di un efficace, efficiente ma soprattutto indipendente dipartimento di internal audit in funzione di prevenzione.
Qual è dunque il presupposto dell’agire?
Viene così alla luce il concetto di tensione latente: da una parte abbiamo il proponimento della volontà, il suo fine, che indirizza l’azione; dall’altra abbiamo il mondo circostante, le forze esteriori in preda alle quali accade l’azione stessa, che il soggetto può conoscere, o sbaglia a conoscere nel caso dell’errore umano. La volontà, la facoltà del volere; potere insito nell’uomo di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati, o, più genericamente, disposizione a fare qualche cosa. La natura della volontà costituisce un tema di riflessione annoso per la filosofia, sia in quanto questa si propone di comprenderne la struttura interna, sia in quanto si propone di prospettare la questione del rapporto della volontà con le altre forme e attività dello spirito.
In forza della volontà può darsi la possibilità di imputare l’agente, di attribuirgli una responsabilità sulla base dell’indagine del proponimento teleologico dell’azione. Ciononostante, sussiste in ogni caso il carattere ambiguo dell’azione, il suo essere in bilico tra il presente, il mondo come è fatto e il futuro, il mondo come verrà trasformato dall’azione. Hegel ci ricorda che abbiamo colto soltanto un lato del processo: quello delle conseguenze o quello del proponimento. Abbiamo tentato di definire giusta e buona un’azione soltanto prendendo in considerazione vuoi le prime, vuoi il secondo. Certo è che l’interiore homine è imperscrutabile, ed il tema centrale è appunto quello del determinismo contro la libertà.
Ed allora, senza scomodare troppo la filosofia e tornando su un piano pratico, più consono ai ritmi della società moderna, una strada per comprendere le motivazioni che inducono alla frode impongono di prendere in considerazione ed analizzare un altro aspetto, quello dei bisogni. Come si è avuto modo di apprendere dai business cases citati, emerge il concetto di potere e talvolta anche di vizio personale.
La piramide dei bisogni di Maslow ci offre le coordinate concettuali corrette per, quantomeno, individuare la radice del problema che del resto è impossibile risolvere in maniera tombale, ma quantomeno ci offre un supporto d’indagine. Ebbene Maslow afferma che: « l’individuo si realizza passando per vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo» Bene, emerge chiaramente che non sempre e non solo la pressione economica può essere la sola molla scatenante di comportamenti criminosi in soggetti per esempio apicali, ma vi sono molteplici spinte di altra natura ivi compresa la realizzazione personale e l’ambizione. Mentre, come i casi sopra menzionati testimoniano, l’opportunità è fornita da una lacunosa declinazione dei sistemi di corporate governance e dei controlli interni che invece dovrebbero prevenire e proteggere da qualsiasi genere di circostanza astrattamente lesiva dell’integrità dell’impresa.
Concretamente dunque per arginare le frodi aziendali, ma anche sociali, è utile nonché opportuno focalizzarsi sulla cultura, cristallizzando i valori aziendali, nonché interrogarsi sulle migliori e più calzanti procedure da adottare nell’organizzazione. In particolare una procedura deve, allo stato, essere ancora strutturata, e faccio riferimento a quella di denuncia dell’abuso e/o delle anomalie nei meccanismi gestionali riscontrate a tutti i livelli aziendali: dalla linea di produzione per arrivare fino al board of directors, faccio riferimento alla procedura di denuncia anonima, ovvero il c.d. whistleblowing, nonché mediante l’adeguata organizzazione del personale, fondamentale per il bilanciamento dei poteri dei vari organi societari nonché per la corretta articolazione dei riporti gerarchici.
Bisogna tener ben presente che a livello di addebito penale non sfugge alla lente degli organi inquirenti la responsabilità anche omissiva degli amministratori non esecutivi, ove emergono come ulteriori poli d’indagine la posizione di garanzia e controllo dei consiglieri privi di delega, il nesso di causalità tra il flusso informativo, base dell’agire informato degli amministratori, e l’inerzia degli stessi rispetto ai reati commessi dai delegati o dai dirigenti, ed il coefficiente psicologico che connota le fattispecie incriminatrici in questione.
In conclusione, è possibile affermare che il marketing e la comunicazione esaltano la “forma” e generano revenue, in considerazione del livello di reputazione di cui godono le aziende prima di una possibile escalation, ma se non c’è la “sostanza”, e cioè il rispetto delle regole, anche il miglior brand rischia di precipitare.
La reputazione di un’azienda consiste in un mix complesso di comunicazione, marketing e aderenza alle normative. E spetta a chi è responsabile di quest’ultima funzione, quella della compliance, educare le altre alla correttezza, al rispetto del limite e, soprattutto, all’idea che la reputazione oggi si guadagna non con i proclami o le sole campagne pubblicitarie ma partendo dal rispetto delle norme e dunque dall’agire orientato alla legalità.
Non dimenticando che compliance significa letteralmente conformità, conformità al complesso di norme giuridiche ed etiche che governano l’agire dell’impresa nei rapporti con altre aziende e con l’intera collettività.
Intervento del Dott. Fabio PRESUTTI, Avvocato d’Impresa & Consulente privacy
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Bank of America nel 2004 denunciò che non esiste il conto da 3,9 miliardi di Euro della Bonlat (Parmalat). Da qui si scoprì un buco da 14 miliardi di Euro e un pari indebitamento del gruppo, poi commissariato.
(2) Di grande ispirazione per lo svolgimento di tale ricerca è stato, oltre al diritto penale dell’impresa, il documentario “The smartest guys in the room” di Alex Gibney tratto dal best seller dal medesimo titolo dei giornalisti Bethany McLean e Peter Elkind, in uno studio su uno dei più grandi scandali finanziari nella storia americana.
(3) L’espressione white-collar crime fu coniata da Edwin H. Sutherland per identificare gli illeciti commessi in campo economico, politico e professionale da imprenditori e soggetti appartenenti agli strati più elevati della società . Invero, il criminale dal colletto bianco può essere definito come «quella persona con un alto stato socio-economico che viola le leggi designate a regolare le sue attività occupazionali».
(4) I principali driver di compliance sono: il D. Lgs. n. 231/01 (ha permesso di istituire un approccio risk-based a tutti i livelli aziendali relativamente al rischio di commissione di specifiche ipotesi di reato), il D.Lgs. n. 81/08 (tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), art. 2428 c.c. (relazione amministratori sui rischi cui l’organizzazione è esposta), GDPR Reg. EU n. 2016/679 (privacy: trattamento dati personali e data protection), Codice di autodisciplina (società quotate). A cui si aggiungono normative specifiche a seconda del settore di business.
(5) Capitalizzazione Enron, il colosso energetico texano dal 97 al 99 avrebbe gonfiato gli utili per 2,6 miliardi di $.