Trasformazione delle banche pubbliche in S.p.A.
Nel 1936 in Italia si realizzò una completa riforma bancaria che ha disciplinato il sistema creditizio italiano fino agli inizi degli anni 90. Tale riforma contemplava il principio della specializzazione temporale del credito e distingueva gli istituti bancari che operavano a breve termine (max 18 mesi) dagli istituti di credito di diritto speciale che invece svolgevano attività di intermediazione unicamente a medio e lungo termine. La separazione dell’esercizio del credito mirava soprattutto a proteggere gli interessi dei risparmiatori rafforzando la stabilità delle banche per evitare i dissesti finanziari verificatisi negli anni precedenti all’approvazione della legge. La riforma del ‘’36 concepiva un modello di banca che, oltre a separare l’esercizio del credito ordinario da quello a media e lunga scadenza, vietava agli istituti bancari di possedere partecipazioni azionarie nelle imprese industriali.
Le banche, erano divise in:
• Istituti di credito di diritto pubblico (Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena e Banco di Sardegna);
• Banche di interesse nazionale (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma e Credito Italiano);
• Casse di risparmio;
• Monti di credito su pegno;
• Aziende di credito ordinarie;
• Casse rurali e artigiane;
• Banche popolari.
Gli Istituti di credito di diritto pubblico, le Banche di interesse nazionale, le Casse di Risparmio, i Monti di Credito su pegno e gli Istituti di credito di diritto speciale, rientravano nella categoria di banche pubbliche.
L’esigenza di recepire nell’ordinamento bancario nazionale regolamenti e direttive comunitarie, rese necessaria una radicale revisione delle norme che disciplinavano l’attività delle aziende di credito. Inoltre, le banche italiane, per reggere il confronto con le concorrenti aziende creditizie europee sul mercato unico bancario, avevano bisogno di migliorare l’efficienza, accrescere la competitività e perseguire la riduzione dei costi d’esercizio. Occorreva, pertanto, rinnovare l’intero sistema creditizio nazionale conferendogli un definitivo quadro europeo e le risposte legislative che ne seguirono, portarono alla trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni perché, secondo i legislatori, la forma societaria prescelta consentiva la despecializzazione temporale e operativa dell’attività bancaria, permetteva di utilizzare lo strumento azionario per aumentare la patrimonializzazione e favoriva le operazioni di accrescimento dimensionale attraverso partecipazioni, fusioni o incorporazioni.
La trasformazione in società per azioni delle aziende di credito pubbliche poteva realizzarsi direttamente, oppure scorporando l’impresa bancaria dall’ente originario e facendola conferire in una società per azioni già esistente o appositamente costituita. Questa seconda procedura di trasformazione degli enti creditizi pubblici in società per azioni, fece nascere le Fondazioni di origine bancaria.
La normativa sulle Fondazioni di origine bancaria
Le Fondazioni di origine bancaria hanno subito profonde modifiche rispetto alla prima comparsa nel sistema creditizio italiano e la loro evoluzione è dovuta principalmente a leggi, riforme e direttive che si sono succedute dalla loro introduzione nell’ordinamento bancario avvenuta negli anni 90. Le primarie normative che ne hanno consentito la nascita, che le hanno regolamentate nel corso degli anni e che tuttora disciplinano le Fondazioni sono le seguenti:
• Legge Amato-Carli: L. 218/90 e D.Lgs. 356/90
• Direttiva Dini: L. 474/94 e Direttiva 18/11/94
• Legge Ciampi: L. 461/98 e D.Lgs. 153/99
• Riforma Tremonti: L. 448/2001
• Corte Costituzionale: Sentenze n. 300 e n. 301/2003
• Carta delle Fondazioni
• Legge di stabilità 2015: L. 190/2014
• Protocollo Intesa ACRI-MEF
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