di Mauro PRADELLA
L’Ospedale di Comunità è definito come “una struttura di ricovero breve che afferisce al livello essenziale di assistenza territoriale, rivolta a pazienti che, a seguito di un episodio di acuzie minori o per riacutizzazione di patologie croniche, necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica potenzialmente erogabili a domicilio, ma che vengono ricoverati in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio stesso (strutturale e/o familiare) e necessitano di assistenza/sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa, anche notturna, non erogabile a domicilio(1).”
La letteratura medico-scientifica è solita accomunare il concetto di Community Hospital con quello dell’Intermediate Health Care.
Cure intermedie, dunque, vale a dire interventi che hanno il fine di evitare inappropriati ricoveri negli ospedali ordinari, garantendo al contempo un’adeguata assistenza al paziente nell’ambito della propria patologia.
Non è da oggi che, nel nostro Paese, si parla di Ospedali di Comunità; il concetto era stato introdotto addirittura dal Piano Sanitario Nazionale 2006/2008. Tuttavia, è a causa della pandemia da Covid-19 che il tema è ritornato con forza d’attualità, poiché il Covid ha fatto emergere una serie di limiti e criticità del Sistema Sanitario nel dare pronta risposta alle esigenze assistenziali dei cittadini.
Per come lo si intende oggi, l’Ospedale di Comunità va a coprire una fetta di bisogno della popolazione scarsamente presidiata. Si pensi ai pazienti con oltre 60 anni d’età che hanno difficoltà nell’affrontare i propri bisogni sanitari al domicilio, magari anche in condizioni sociali disagiate o anche solo fragili. L’Ospedale di Comunità è destinato ad inserirsi in un contesto variegato, collocandosi tra l’assistenza domiciliare, l’Istituto Ospedaliero e la RSA.
Proprio a seguito della Pandemia da Covid-19, grazie alle opportunità portate dal PNRR, il prosperare degli Ospedali di Comunità ha subito una forte accelerazione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si pone come obiettivo quello di rafforzare l’assistenza territoriale spingendo sulle Cure Intermedie.
Il Dipartimento Affari Sociali del Servizio Studi della Camera dei deputati ha censito, nel 2020, 163 Ospedali di Comunità, per complessivi 3.163 posti letto. Il PNRR si pone come obiettivo di realizzarne 381 entro la prima metà del 2026, con un investimento pari al miliardo di euro. Numeri di questa portata sono tali da stravolgere letteralmente il nostro sistema sociosanitario: i posti letto complessivi diventeranno addirittura 10.783.
In un sistema rodato come quello sanitario, introdurre un’innovazione di questa portata ha delle pesanti ripercussioni sul funzionamento del sistema stesso. Mi riferisco all’integrazione delle strutture nel contesto attuale e alle professionalità richieste per la loro efficiente gestione.
- Chi dirigerà gli ospedali di comunità?
- Che complessità dovranno gestire queste strutture?
- Ci sarà un efficace presidio dei rischi insiti nella fornitura di servizi sanitari e sociosanitari?
Queste domande introducono dei temi delicati e quanto mai attuali: è necessario cercare le risposte oggi per non incorrere in situazioni potenzialmente molto complesse domani, anche dal punto di vista della sostenibilità finanziaria del Sistema.
Ma per rispondere a questi interrogativi è necessario partire dall’analisi dei numeri e del modello organizzativo al momento ipotizzato.
Se gli obiettivi del PNRR saranno raggiunti, nel 2026 avremo 10.738 posti letto negli Ospedali di Comunità. Il Piano prevede una precisa distribuzione delle strutture regione per regione, ma in questo momento procediamo con una marco-analisi sul Sistema Paese.
Il PNRR ipotizza un investimento di 2.280.000 euro per la realizzazione di ogni Ospedale, oltre a 342.000 euro per tecnologie. La stima è stata realizzata considerando un costo di 2.300 euro/mq, ipotizzando una superficie di 57 mq a posto letto e una struttura dotata di ingresso, zona d’attesa per i visitatori, sala da pranzo, soggiorno, un ambulatorio, spogliatoi, sala per la riabilitazione, magazzini e poco altro.
Sempre per il conteggio dell’investimento, nel PNRR è previsto un supporto tecnico a disposizione delle regioni: un Project Manager, due tecnici senior e 11 intermedi, per un costo complessivo di 1.018.000 euro.
Fatto 1 miliardo di euro l’investimento complessivo previsto per la realizzazione degli Ospedali di Comunità:
- i costi strutturali sono finanziati per € 868.680.000,
- i costi per le tecnologie per € 130.302.000 e
- i costi per il supporto operativo in € 1.018.000.
In primo luogo, pare insufficiente la previsione d’investimento per il supporto operativo. Supportare da un punto di vista tecnico e manageriale un investimento in 381 nuove strutture richiede uno sforzo che va oltre la previsione del Piano. Ma è soprattutto guardando al futuro che nascono ulteriori perplessità. Nell’Ospedale di Comunità lavorerà un medico per almeno 4 ore al giorno, 6 giorni su 7, oltre a una media di nove infermieri (per 20 posti letto) e sei OSS a tempo pieno. Tutto questo a partire dalla seconda metà del 2026 o dalla prima metà del 2027.
Il costo del personale per ciascuna struttura ammonterà a circa 630.000 euro, con un costo complessivo del personale dei 381 ospedali di comunità stimato in circa 240.000.000 euro.
Secondo una recente analisi(2) “se la stima del costo degli Ospedali di Comunità fosse corretta, la giornata di degenza costerebbe solo 86 euro al giorno, un importo non verosimile tenendo conto che la tariffa media non ponderata delle RSA italiane è di 112,60 euro e che la tariffa media degli ospedali di comunità attualmente funzionanti è di 132 euro al giorno”.
A questo punto, è doveroso porsi il problema del Management delle strutture. La stima di costo della giornata media di degenza si ponte, infatti, ben al di sotto della tariffa di costo medio di una RSA, nonché al di sotto della tariffa media necessaria al funzionamento degli Ospedali di Comunità attualmente esistenti. Ne consegue che, al fine di rendere efficiente il sistema, o quantomeno “sostenibile”, sarà necessario un investimento, da parte del Sistema Socio-Sanitario, in competenze manageriali elevate, che garantiscano, tra le altre cose, l’efficiente gestione e l’adeguato presidio alle politiche di gestione del rischio, che ha un indubbio impatto sull’economicità del modello organizzativo.
Il Risk Management, peraltro, è argomento molto dibattuto. Con la recente DGR 6387 del 1616 maggio 2022(3), Regione Lombardia ha puntato molto sul tema. In particolare, si prevede espressamente che “la necessità di passare ad un nuovo paradigma nell’ambito del monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario e dello sviluppo di strategie di sicurezza delle cure deve tenere conto di logiche di evoluzione del modello di risk management verso un modello di Enterprise Risk Management (ERM)”. Tali precisazioni vengono fatte nell’ambito delle indicazioni per la gestione dell’emergenza Covid-19, ma hanno senza dubbio una portata più generale e devono essere interpretate in modo estensivo, per garantire la stabilità dell’intero sistema.
La stessa DGR prevede che “nel corso dell’anno 2022 ai Risk Manager saranno fornite indicazioni per la gestione delle crisi e per la visione integrata della resilienza organizzativa in sanità anche attraverso incontri di condivisione/formazione e adozione di idonei strumenti di business continuity e crisis management”.
Ma la Delibera regionale non si limita a queste indicazioni, in quanto riserva un intero paragrafo alla funzione di Internal Auditing. Regione Lombardia “raccomanda di rafforzare il necessario commitment da parte della Direzione Generale, affinché la Funzione di Internal Audit possa esplicare appieno le sue potenzialità a sostegno del ruolo di guida e governo della Direzione stessa, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi aziendali”, aggiungendo che “in parallelo gli Enti dovranno potenziare la formazione aziendale, prevedendo all’interno dei propri piani formativi aziendali, una formazione specifica e continua, sia teorica sulla funzione del Responsabili Internal Audit con specifico riguardo all’ambito sanitario ed al processo di risk assessment, sia pratica sulla conduzione degli audit e gli strumenti operativi a supporto”.
Emerge con forza, dunque, che la gestione del rischio clinico nei contesti di cura è argomento più che mai attuale e in continuo aggiornamento. La nuova normativa prevede, oltre a strumenti di rilevazione dei rischi, l’introduzione di Modelli Organizzativi specifici alle singole realtà, concretamente calati nei contesti delle singole strutture.
È dunque fondamentale investire in professionalità elevate ed adeguate, sviluppare conoscenze e competenze sul processo di gestione del rischio, clinico e “industriale” nel senso lato del termine, in linea con le specificità e le concrete esigenze delle strutture sanitarie e sociosanitarie, con una particolare attenzione da riservare agli Ospedali di Comunità, per l’impatto che questi avranno sul nostro Sistema Sanitario. In altri termini, la gestione degli Ospedali di Comunità, per essere efficiente, non potrà prescindere dall’individuazione di personale con solide competenze di Management e fortemente orientato alle politiche di gestione del rischio, ad ogni livello.
Intervento di Mauro PRADELLA, Weeen – Compliance & Temporary Management
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Definizione contenuta nell’Allegato A dell’Intesa del “Patto per la salute 2014-2016” della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Treno e Bolzano; Documento del Ministero della Salute, Direzione generale della programmazione sanitaria, Ufficio II, titolato “Presidio sanitario di assistenza primaria a degenza breve / Ospedale di Comunità”.
(2) Franco Pesaresi, “Gli ospedali di comunità nel PNRR: grande sviluppo e qualche problema”, 24 giugno 2021.
(3) Regione Lombardia, Delibera Giunta Regionale, DGR 6387 del 16 maggio 2022