di Fabio NEROZZI
“Il rischio maggiore non è quello di vedere la mafia dappertutto, ma di non vederla affatto”.
Il nuovo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, “Una cosa sola” (Mondadori), è uscito nelle scorse settimane proseguendo il percorso tracciato dai due autori nella divulgazione sui temi dell’antimafia e della lotta alla criminalità organizzata.
L’idea di fondo è ancora una volta semplice ma necessaria: per poter giocare questa partita, occorre innanzitutto conoscere a fondo l’avversario, le sue nuove dinamiche, le sue evoluzioni.
Con questo saggio, Gratteri e Nicaso ci consegnano un lavoro che affonda le sue radici nella storia delle mafie e ne esplora i passi effettuati per diventare, oramai, una componente globale e strutturale del sistema economico e politico contemporaneo.
Il libro si apre con una premessa che pone immediatamente il lettore di fronte a una realtà che molti non hanno colto, travolti dai numerosi messaggi veicolati dai media, e che risulta quanto mai inquietante:
- la morte di Matteo Messina Denaro, ultimo boss delle stragi, segna la fine di un’era di violenza eclatante, ma non la fine delle mafie.
Al contrario, come denunciano gli autori, siamo di fronte a un panorama in cui queste organizzazioni prosperano grazie a un sistema economico e politico sempre più permissivo, incapace di reagire adeguatamente, e anche alla possibilità di utilizzare strumenti sempre più efficaci, che già erano stati ampiamente illustrati nella precedente pubblicazione, “Il Grifone”.
Pur andando progressivamente ad eliminare la violenza tangibile, visibile e talvolta scomposta del passato, le mafie continuano a rafforzarsi attraverso:
- la corruzione,
- il riciclaggio di denaro e,
- la collusione con la finanza internazionale e le istituzioni politiche: una forma per alcuni versi più raffinata e per questo altrettanto pericolosa. Non a caso, Gratteri e Nicaso mettono in luce un paradosso che ben sintetizza il contesto: il rischio maggiore non è quello di vedere la mafia dappertutto, ma di non vederla affatto. Le trame della criminalità vanno sempre più a tessersi con la vita quotidiana, anche quelle della politica, diventandone drammaticamente parte.
Questa invisibilità, alimentata dunque dal silenzio (quello consapevole e quello inconsapevole) e da una spaventosa normalizzazione, permette alle mafie di radicarsi ulteriormente, operando indisturbate nel tessuto economico e sociale. È una criminalità organizzata che, pur mantenendo il controllo territoriale, ha saputo trasformarsi in un attore globale, rendendosi, appunto, “una cosa sola” con il sistema economico mondiale. Un attore dello stesso, nascosto e invisibile ma non per questo poco potente e influente.
Questo libro ci racconta innanzitutto l’excursus storico di questa grande transizione. Esplora dunque le origini del potere mafioso, analizzando le prime forme di criminalità organizzata in Italia: gli autori ci riportano al XIX secolo, con le bande criminali a Bologna, dimostrando come già allora il fenomeno mafioso fosse radicato nella relazione con lo Stato e il tessuto sociale. Episodi come il maxiprocesso della banda della Balla Grossa di Bologna nel 1864 rivelano che, sebbene le mafie abbiano poi trovato la loro massima espressione nel Sud Italia, la loro influenza non era limitata a una specifica area geografica. Nel Meridione, tuttavia, il controllo del latifondo e l’integrazione nelle classi dominanti hanno consolidato il legame tra politica e criminalità, gettando le basi per il potere delle mafie moderne.
La lettura offre lo spunto per una riflessione sulle caratteristiche distintive delle mafie italiane rispetto ad altre organizzazioni criminali globali, come le triadi cinesi, il Primeiro Comando da Capital brasiliano o il Cartel de Jalisco messicano. Quello che emerge è una capacità unica delle mafie italiane, e in particolare della ’ndrangheta, di intrecciare legami profondi con il tessuto economico e politico locale, estendendo al contempo il proprio raggio d’azione a livello globale. Questo dualismo, radicamento locale e presenza transnazionale, rappresenta una vera e propria chiave del loro successo, proprio come succede con molte multinazionali perfettamente legali. C’è una strategia ed è fatta di piccole e grandi azioni, di piccoli favori e grandi trame.
Fenomeni come l’abigeato, i sequestri di persona e il contrabbando hanno costituito le prime basi del potere economico mafioso, che oggi si esprime attraverso il narcotraffico, il riciclaggio e il controllo di settori strategici come la finanza e le infrastrutture. La ’ndrangheta, in particolare, ha saputo capitalizzare sulla globalizzazione per estendere la sua influenza, diventando una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo, capace purtroppo anche di attirare nella malavita professionisti e competenze tecniche, si pensi ad esempio al tema delle truffe online e della digitalizzazione.
Dalla lettura del libro emerge inoltre la straordinaria capacità relazionale delle organizzazioni criminali, che sono riuscite a superare non solo i confini geografici, ma anche quelli naturali e culturali, creando un vero e proprio network globale che tocca settori e ambienti diversificati e diffusi. In questa filiera “criminale” a livello mondiale, ogni gruppo ha un compito specifico, ben distribuito, che massimizza l’efficienza e ottimizza i guadagni, senza lasciare sostanzialmente niente al caso. La cooperazione tra le organizzazioni criminali permette loro di ridurre i rischi per ciascun attore coinvolto, mantenendo al contempo un livello di redditività senza precedenti. Questa strategia collaborativa, basata sulla specializzazione e sulla complementarità delle competenze, è un ulteriore segno della trasformazione delle mafie in imprese globali capaci di sfruttare le logiche del mercato per consolidare il proprio potere. Ancora una volta, non possiamo non notare quanto ci sia tragicamente utile il linguaggio del business, e come sia facile ritrovarsi ad accostare le strategie di crescita mafiosa a quelle di una vera e propria multinazionale del mercato libero.
Il narcotraffico continua comunque ad essere la principale fonte di reddito delle mafie. Gli autori sottolineano come le organizzazioni criminali abbiano costruito cartelli internazionali che superano le barriere etniche e culturali, operando come vere e proprie multinazionali del crimine. Secondo Europol, solo in Europa sono attive 821 reti criminali, mentre il volume d’affari globale del crimine organizzato è stimato tra i 3,6 e i 4,8 trilioni di dollari, cifra che sale a 12 trilioni se si includono i proventi del cybercrimine. Questi numeri testimoniano non solo l’enorme portata economica delle mafie, ma anche la loro capacità di integrarsi nel sistema globale.
Le mafie moderne non si limitano più ai metodi tradizionali, poiché hanno compreso che il piatto è molto più ricco: hanno integrato la tecnologia nelle loro operazioni, sfruttando strumenti come criptovalute, darkweb e piattaforme crittografate per gestire traffici e transazioni anonime. Gratteri e Nicaso descrivono come il cyberspazio sia diventato una nuova frontiera per il crimine organizzato, con mafie che utilizzano il metaverso e l’intelligenza artificiale per automatizzare attacchi informatici e creare malware polimorfici. Questo salto tecnologico non sostituisce però il controllo territoriale, che rimane fondamentale per consolidare il loro potere economico e sociale, mantenere una rete, rafforzare le mura del proprio castello.
Gratteri e Nicaso arrivano dunque a denunciare il ruolo della politica, spesso più incline a ignorare il fenomeno mafioso che a combatterlo. Le riforme che:
- limitano l’uso delle intercettazioni o
- indeboliscono il potere giudiziario
non fanno che alimentare l’espansione delle mafie, creando un ambiente favorevole alla corruzione e alla collusione. Il libro sottolinea come l’indifferenza dello Stato e della società civile sia il più grande alleato delle mafie, che continuano a prosperare in un sistema incapace di reagire, di rafforzare gli anticorpi e anzi di prepararsi con strumenti all’avanguardia.
Una cosa sola non è solo un’analisi accurata del fenomeno mafioso, ma un invito alla responsabilità. Gratteri e Nicaso ci chiedono di aprire gli occhi su una realtà che, se ignorata, rischia di diventare irreversibile. La loro opera è un monito a non abbassare la guardia, a riconoscere la gravità del problema e a impegnarsi per contrastarlo. Il libro ci ricorda che la mafia non è un fenomeno lontano o confinato a un passato oscuro, ma una forza presente, radicata e globale, che richiede una risposta collettiva e decisa per proteggere il futuro delle nostre istituzioni e delle nostre società.
Questo libro è, a mio avviso, un’opera straordinaria per il suo rigore e la sua chiarezza. Non solo andrebbe letto da tutti (classi dirigenti e classi politiche comprese), ma meriterebbe di essere adottato come testo nelle scuole per la sua capacità di fare luce su una realtà complessa e troppo spesso ignorata.
Desidero infine esprimere il mio profondo apprezzamento per Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, autori di straordinaria competenza. La loro dedizione alla giustizia e alla divulgazione è fonte di ispirazione, così come la loro capacità di unire impegno e umanità. A loro va tutta la mia gratitudine, non solo per ciò che fanno, ma per ciò che sono: fari di integrità in un mondo che troppo spesso si lascia avvolgere dall’ombra.
In esclusiva, l’intervista agli Autori
In conclusione, ecco in questa intervista esclusiva, l’opinione condivisa di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso.
La trasformazione delle mafie in imprese globali e il loro crescente ruolo nell’economia digitale e globale sono aspetti centrali del vostro libro. Quali strategie di contrasto ritenete più urgenti per affrontare questa nuova dimensione transnazionale e tecnologica delle organizzazioni criminali, soprattutto nel contesto di una globalizzazione sempre più permissiva?
Bisognerebbe annullare le asimmetrie normative, globalizzare l’azione di contrasto, incrementare la collaborazione internazionale con l’idea di sequestrare e confiscare ovunque i beni illegalmente conseguiti. La sfida non è soltanto giuridico-ordinamentale ma anche tecnologica. Bisognerebbe attrezzarsi per combattere le mafie anche nel dominio digitale, nell’Internet sommerso, dotandosi di competenze multidisciplinari, ma soprattutto informatiche. Bisogna capire che il mondo intero è ormai un solo luogo. Per dirla con Roland Robertson, il locale e il globale non si escludono. Al contrario, il locale deve essere compreso come un aspetto del globale. Pertanto, non possono esserci giurisdizioni opache o zone franche in cui la legislazione contro le mafie sia meno affliggente.
Nel libro evidenziate la straordinaria capacità relazionale delle mafie, che ha permesso loro di superare confini geografici e culturali per creare una rete globale efficiente e altamente redditizia. Come possiamo, secondo voi, spezzare questa filiera “criminale” e ridurre la cooperazione tra gruppi criminali internazionali, considerando l’alto livello di complicità tra economia legale e illegale?
È una sfida che bisogna cogliere. Oggi il denaro delle mafie entra nell’economia legale con una facilità impressionante. Bisogna capire che questi investimenti alla lunga finiscono per inquinare l’economia, alterando le regole del mercato. Bisogna partire dalle basi, dalle nuove generazioni, insegnare loro l’importanza del bene comune, dello studio come vocazione, passione, impegno civile. Mi vengono in mente le parole di Pietro Calamandrei, scritte nella prefazione al libro La Mafia di Ed Rei (Firenze 1956); Calamandrei annotava: Bisogna che i governanti italiani (…) cerchino di scoprire e di individuare soprattutto nei ceti altolocati, i legami occulti (…) Sono questi i legami di alta classe che bisogna recidere per togliere al mostro la vitalità che gli deriva da una inafferrabile organizzazione tentacolare (pp. XI-XII). A capire l’importanza di recidere questi tentacoli non dovrebbero essere solo i governanti italiani (anche se auspicabile), ma anche quelli di tutti gli altri paesi che devono fare i conti con fenomeni criminali simili a quelli a cui faceva riferimento Calamandrei.
Dalla vostra analisi emerge chiaramente che la normalizzazione del fenomeno mafioso rappresenta uno dei rischi più gravi, con le mafie che diventano sempre più invisibili agli occhi della società e delle istituzioni. Quali interventi ritenete necessari, sul piano culturale ed educativo, per sensibilizzare l’opinione pubblica e prevenire che le mafie diventino una componente irreversibile del sistema economico e politico globale?
Bisogna innanzitutto, far capire a chi ci governa che la lotta alle mafie non deve passare solo dalle manette e dalle sentenza. C’è da investire nello studio, nell’istruzione, nella ricerca, ma soprattutto bisogna liberare i territori dalla paura e dai bisogni.
Questo articolo è pubblicato nella Serie “Osservatorio della Domenica“.
Intervento di Fabio NEROZZI, AML Specialist
Carli Alessio Replica
Entusiasmante e a dir poco percetto
enrico Replica
Caro Fabio,
il livello di moralita’ pubblica (segno della forte diminuzione del livello di sensibilita’ privata ai fenomeni della corruzione, dell illegalita’ e in senso lato dei sistemi mafiosi) non lascia sperare niente di buono in merito.
Il prosperare di fonti informative con proliferazione di fake e commistioni di interessi legali e no, fanno il resto.
Speriamo bene e che il libro non venga bollato come opera di “professionisti dell antimafia’.
Carli Alessio Replica
Un elogio alla recensione di Nerozzi per la complessità ottenuta con tale documento redatto per argomenti molto particolari