Greenhushing la paura di comunicare

Greenhushing: la paura di comunicare

20 maggio 2024

di Alessandro MICOCCI

Negli ultimi mesi, con l’entrata in vigore della nuova direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), si è molto parlato del tema della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa, il quale non nasce con questa normativa recente, ma che sta assumendo sempre più un ruolo maggiore.

Molte imprese, infatti, sia che risultino obbligate dai dettami normativi, sia che li applichino in maniera volontaria, stanno implementando progressivamente i fattori ESG all’interno della propria organizzazione, al fine di ridurre gli impatti sull’ambiente dei propri prodotti o servizi.

È notizia recente, ad esempio, il template messo a disposizione da Consob alle PMI per aiutarle nell’implementazione dei fattori di sostenibilità.

Tra le normative direttamente collegate vi è la cosiddetta normativa green claims, che mira a tutelare il consumatore, contrastando tutte le pratiche di marketing scorrette attraverso le quali alcune imprese cercano di compensare i mancati investimenti sul tema sostenibilità, rispetto ai propri concorrenti. Un’attività di contrasto svolta anche dall’ESMA (Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati), che sta tentando di realizzare strategie significative anche in ambito finanziario al fine di tutelare gli investitori. Un’analisi che nel corso del 2023 ha riguardato ad esempio i termini ESG nelle denominazioni riguardanti i nomi e la documentazione accompagnatoria ai fondi di investimento UE.

Le suddette pratiche scorrette rientrano nel c.d. fenomeno greenwashing (definito dalla Treccani come “Strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”), seppur la tematica riguardi indirettamente anche le imprese che investono seriamente nella sostenibilità e che rimangono coinvolte nel fenomeno greenhushing; quest’ultime, per il timore di esporsi negativamente verso i consumatori, optano per omettere ogni tipo di risultato, con il rischio altresì di vedersi vanificare gli sforzi e gli investimenti sostenuti (a vantaggio delle società meno virtuose) o di non essere scelte dai consumatori che basano le proprie preferenze su un’economia sostenibile.

In altri termini, riducendo le informazioni fornite, viene meno la possibilità di comparare le imprese virtuose da quelle che lo sono di meno. Spesso, le principali imprese che decidono di optare per questo comportamento sono principalmente le PMI in quanto, essendo meno strutturate, preferiscono non rischiare, perdendo così buone possibilità di posizionarsi in alto sul mercato. Inoltre, il greenhushing è possibile considerarlo come un fenomeno con conseguenze negative anche per la collettività, in quanto potrebbe spingere verso il basso le azioni a favore dell’ambiente e del sociale, secondo la logica che per non commettere errori, si evita di procedere.

A differenza del Greenwashing, che rientra nelle fattispecie della concorrenza sleale e di cui si era già precedentemente trattato in altra occasione(1) (nella quale si faceva riferimento, a titolo di esempio, all’articolo 515 del Codice Penale – Frode nell’esercizio del commercio o al modello 231 del 2001), il greenhushing sembrerebbe essere:

  • un atteggiamento prudente, che
  • non comporta rischi (questa condotta omissiva non è infatti perseguita giuridicamente), ma che,
  • come anticipato, rende nullo il vantaggio competitivo di chi nella sostenibilità investe seriamente.

Si riducono le possibilità di aprire nuove opportunità di mercato, di incontrare la domanda di consumatori attenti a determinate tematiche e, di conseguenza, di generare fiducia nei consumatori. Si potrebbe quindi dire che la penalità di questo comportamento omissivo non rientra tanto nelle sanzioni commisurate, quanto nel minor valore generato e da un non ritorno, in termini economici, degli investimenti sostenibili.

Eppure, per le aziende virtuose, le soluzioni non sono poche. La più importante è sicuramente un coinvolgimento molto attivo e ampio con tutti gli stakeholder identificati nel processo iniziale. L’individuazione dei loro interessi, delle loro esigenze, è fondamentale per comprendere quali sono gli impatti generati, dal business dell’impresa, sulle comunità ove opera. È importante sottolineare come il concetto di business vada inteso in senso più ampio, cioè considerando non solo l’interno del perimetro aziendale (processi e prodotti), ma anche lungo tutta la sua catena del valore (supply chain), soprattutto alla luce della nuova direttiva recentemente approvata dal Parlamento Europeo. Il dialogo con gli stakeholder permetterà quindi di individuare i temi rilevanti oggetto di analisi per la doppia materialità (tema che sarà trattato con un successivo approfondimento) e, dopo condivisione con il management, la predisposizione della matrice di analisi. Tutti step che possono portare alla redazione di un report di sostenibilità con dati certi e verificabili, attraverso il quale esporre in maniera trasparente il proprio posizionamento rispetto agli obiettivi di sostenibilità che l’impresa si è posta e, di conseguenza, i propri progressi in tal senso.

Soprattutto nel primo periodo, l’impresa sarà quindi chiamata ad investire tempo e denaro:

  • sia per la fase di raccolta delle informazioni,
  • sia per la fase comunicativa,

che assumerà sempre più un ruolo fondamentale.

Una comunicazione sia verso l’esterno, come anticipato, sia verso l’interno, in quanto l’attenzione verso la sostenibilità è un fattore che dovrà coinvolgere tutta la piramide organizzativa: la responsabilità sociale è infatti un fattore che riguarda la cultura d’impresa. Sarà quindi importante coinvolgere sia il management, sia tutti i livelli inferiori dell’asset aziendale, facendo comprendere come l’attenzione verso la sostenibilità che viene comunicata all’esterno non è solo di facciata, bensì reale, supportata da azioni concrete.

Un ulteriore meccanismo che potrebbe incentivare le imprese a pubblicizzare i propri progressi potrebbe pervenire dal Legislatore comunitario attraverso l’emanazione di normative chiare, alle quali le imprese possano considerarsi compliance senza onerosi investimenti. Sotto questo punto di vista, il fenomeno del greenhushing a cui si sta assistendo nell’ultimo periodo, potrebbe essere considerato come transitorio:

  • le imprese infatti stanno smettendo di rendicontare, in attesa di un quadro normativo definitivo, evitando di incorrere nel greenwashing che come anticipato ha, invece, dei risvolti giuridicamente rilevanti.

Inoltre, proprio in merito al quadro sanzionatorio, è importante notare come lo stesso non è adeguatamente proporzionato alle difficoltà oggettive relative alla raccolta dei dati sulla sostenibilità (come avviene invece per i dati finanziari), creando in quanto modo ulteriore incertezza e paura.

Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente all’Autore e non impegnano in alcun modo la responsabilità di Fintecna S.p.A.-Gruppo CDP


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1) A. MICOCCI (2023), “Greenwashing e green claims”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it



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