La sostenibilità è senz’altro uno dei temi più innovativi e rilevanti degli ultimi anni, complici anche le recenti e numerose normative emesse dalle istituzioni europee nell’ambito del settore dell’economia. In economia, infatti, la sostenibilità è divenuta materia ispiratrice di nuovi mercati, nonché anche di nuove procedure.
Nel corso degli anni le imprese, sempre più consapevoli della propria responsabilità socio-economica, sono state inclini, indirettamente o direttamente, alla predisposizione di un bilancio di sostenibilità, un proprio rendiconto tramite il quale comunicare al mercato, in primis, i propri resoconti, volti a migliorare non solo le aziende stesse, ma anche l’intero mercato in cui sono coinvolte.
Un iter sempre più strutturato ed obbligato però, in seguito all’emanazione di nuove normative in materia, come la recente C.S.R.D. (“Corporate Sustainability Reporting Directive”), che entrerà in vigore dal 2024 per alcune imprese di maggiori dimensioni e di cui ho avuto modo di trattare in passato in altri scritti di settore[1].
Non solo le imprese, quindi, ma anche i consumatori e gli investitori hanno poi contribuito a rendere sempre più fondamentali le informazioni fornite in questi bilanci di sostenibilità che, a partire dal prossimo anno, assumeranno un sostanziale riconoscimento al pari dei bilanci societari, grazie alla certificazione da parte di un revisore contabile, come richiesto dalla nuova normativa.
- La certificazione del revisore contabile ed,
- i principi di rendicontazione,
sono alcune delle novità della nuova normativa, attraverso le quali il Legislatore europeo punterà a rendere maggiormente confrontabili le informazioni comunicate dalle singole imprese.
Vi è però un altro fronte sul quale necessita soffermarsi: le Istituzioni europee stanno operando contemporaneamente per contrastare il rischio che vengano effettuate pratiche di marketing scorrette, attraverso le quali alcune imprese potrebbero cercare di colmare il divario con le imprese più performanti in termini di risultati di sostenibilità. Rientrano in questo percorso, la necessità di modificare la normativa relativa alla tutela del consumatore e una nuova, inerente alle dichiarazioni ecologiche (“green claims”). Anche l’ESMA (Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati) sta tentando di realizzare strategie significative volte ad individuare e contrastare il greenwashing (la Treccani lo definisce “Strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”) in ambito finanziario e, nel corso del secondo semestre del 2023, ha condotto uno studio che analizza l’uso dei termini ESG nelle denominazioni riguardanti i nomi e la documentazione accompagnatoria ai fondi di investimento UE.
Seppur queste pratiche scorrette possano comportare dei rischi per i consumatori ed investitori, in questo articolo ci focalizzeremo principalmente sui rischi per le imprese che, volontariamente o tramite un controllo poco efficiente, possano attuare pratiche poco ecologiche, in termini di sostenibilità, da quanto dichiarano pubblicamente:
- Il primo rischio è sicuramente quello reputazionale. Con un’attenzione sempre più marcata da parte dei consumatori all’immagine dell’impresa, il rischio che emerga una realtà lontana da quanto dichiarato, diventa sempre maggiore. La perdita di credibilità è un rischio molto alto per l’Azienda, in quanto il suo costo potrebbe mettere in serio pericolo anche la continuità aziendale.
- Correlato al punto precedente, vi è sicuramente il rischio di subire perdite finanziarie, la cui entità non è sempre prevedibile a causa del comportamento di consumatori o investitori.
- La perdita di investitori, invece, potrebbe avere conseguenze non solo strettamente finanziarie, ma anche legate alla catena del valore. Infatti, alcuni di questi investitori, potrebbero essere anche loro soggetti interessati a svolgere un ruolo di partner dell’impresa e, per non rischiare di essere a loro volta colpiti dalla perdita di immagine, potrebbero decidere di recidere qualsiasi rapporto commerciale.
- In termini più vicini all’ambito legale, attuare comportamenti poco sostenibili, potrebbe comportare una denuncia da parte di associazioni o singoli consumatori. Ciò avrebbe come conseguenza, per l’impresa, quella di trovarsi ad essere oggetto di indagine e, potenzialmente, essere condannata per truffa o concorrenza sleale. Una eventuale denuncia potrebbe basarsi sull’errata comunicazione e sull’aver fornito informazioni false o quantomeno fuorvianti. Nel corso dell’anno, ad esempio, la DWS Investment Management Americas Inc., una filiale della Deutsche Bank AG, è stata condannata dalla SEC (Securities and Exchange Commission) per aver effettuato dichiarazioni erronee sul suo processo di investimento ESG. La condanna ha portato ad un costo di circa 19 milioni di dollari.
Rimanendo in Italia, il corpo normativo del Bel Paese mette a disposizione una serie di opzioni:
- Frode nell’esercizio del commercio, ex articolo 515 del codice penale: un prodotto comunicato come green senza averne le caratteristiche è un prodotto “consegnato volontariamente all’acquirente una cosa mobile diversa da quella dichiarata o pattuita, per origine, provenienza, qualità o quantità”.
- D. Lgs 8 giugno 2001, n. 231 (Mod. 231): la frode in commercio non solo comporterebbe una responsabilità in capo ai soggetti operanti nell’interesse dell’impresa, ma anche verso l’impresa stessa e questo perché si sarebbe violato 25-bis.1. Delitti contro l’industria e il commercio.
- Ai punti precedenti si potrebbe inoltre considerare il meccanismo della truffa contrattuale. Per comprendere come si potrebbe applicare al fenomeno del greenwashing, conviene considerare la linea di principio indicata dalla Corte di Cassazione, Sez. II, con la sentenza n 39810 del 05/11/2021: “In materia di truffa contrattuale, il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p.”
Come già anticipato, al fine di sanzionare comportamenti scorretti da parte delle imprese, sarà importante l’approvazione (si presume nella metà del 2024, con entrata in vigore teoricamente nell’anno successivo) della nuova direttiva europea “green claims” che, oltre a fornire una definizione del messaggio che viene comunicato al mercato, introduce anche una serie di divieti (ad esempio esibire marchi di sostenibilità non certificati o asserzioni ambientali generiche) e doveri (attestazione, requisiti di comunicazione, revisione, verifica e certificazione).
Importante sottolineare come questi rischi non debbano essere considerati come alternativi tra di loro, bensì possano manifestarsi anche congiuntamente. Inoltre, anche le imprese affidabili potrebbero subire gli stessi rischi. Infatti, il timore di essere accusate di pratiche scorrette potrebbe portare a ridurre i dati forniti e, paradossalmente, esporsi negativamente verso i consumatori, manifestando il cosiddetto greenhushing, un fenomeno in cui si evincono per l’appunto casi di informazioni mancanti, non certificate da enti riconosciuti o troppo generiche.
Due questioni che non sono trattate in questo articolo, ma considerate similari, sono quelle del pinkwashing o del rainbow washing, cioè il comportamento per distinguersi, in maniera fraudolenta, tra le imprese con un’alta attenzione alle tematiche sociali ed in particolare all’emancipazione femminile o lgbt.
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[1] A. MICOCCI (2023), “Il bilancio di sostenibilità e le nuove sfide degli Internal Auditors”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it