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I Profili Elusivi del Trust

31 luglio 2020

di Simone MAZZONETTO

Il trust è stato concepito come uno strumento giuridico atipico con particolari caratteristiche al fine della protezione del patrimonio di un soggetto.  Il trust originariamente è nato sotto forma di una consuetudine medievale diffusa tra i nobili e i vassalli inglesi i quali dovendo partire per le Crociate, affidavano fino al loro ritorno, le proprietà a dei soggetti di fiducia il quale incarico era di gestire e custodire il patrimonio ricevuto.

Solo grazie alle prime sentenze dalla Cancelleria Regia inglese la quale interveniva per risolvere i contrasti che sorgevano in virtù di questo primordiale rapporto fiduciario, il trust da essere una sola consuetudine ottenne forza di legge e gli fu riconosciuto a tutti gli effetti lo status di negozio giuridico.

Tuttavia, a differenza dei Paesi di Common Law, per quelli di Civil Law, compreso lo Stato Italiano, non fu così semplice identificarlo come uno degli strumenti giuridici previsti dal ordinamento a causa della sua atipicità caratteristica.

Ciò nonostante, per gli altri caratteri di riservatezza e di adattabilità che lo contraddistinguono, si sarebbe così diffuso da indurre la redazione di un testo normativo di carattere internazionale-privatistico nel 1985: la Convenzione dell’Aja(1).

I Paesi sottoscrittori riconoscono il trust come un rapporto giuridico istituito dal disponente (o settlor) per atto tra vivi o mortis causa purché il fiduciario (o trustee) che abbia il compito di gestione del patrimonio trasferito dal primo lo svolga in maniera diligente, nell’interesse di uno o più beneficiari o per un fine predeterminato.

1)  La combinazione del diritto legale del trustee con la conservazione del patrimonio e,

2)  l’obbligazione fiduciaria del trustee nei confronti del beneficiario

sono i principi fondanti di questo particolare rapporto fiduciario.

Dal 1992 l’istituto del trust è stato riconosciuto nell’ordinamento italiano sebbene l’Italia ancora oggi non preveda una legge speciale che lo definisca. Lo strumento si afferma in conseguenza a una sorta di concorrenza legislativa che si venne a creare tra i vari ordinamenti giuridici dei Paesi affinché si agevolasse il riconoscimento della sua operatività, i suoi effetti economici e finanziari previsti dal testo di diritto internazionale e privato della Convenzione dell’Aja del 1985.

L’Italia sarebbe stata il secondo Paese, dopo il Regno Unito, a ratificare la suddetta Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, con la Legge 16 ottobre 1989, n. 364(2), impegnandosi così, ai sensi dell’art.11 della stessa convenzione, a riconoscere nel proprio ordinamento gli effetti dell’istituto giuridico del trust che si istituisce su base volontaria, provata per forma scritta e conforme ai tratti rilevanti enunciati nell’art. 2 della stessa convenzione.

Nel tempo si sono sviluppate diverse figure di trust, nate per conseguire finalità come quella originale di conservazione del patrimonio personale e di beneficenza. Recentemente però si sono affermati gli sham trust, ovvero quei trust fittizi che sfruttando gli aspetti di riservatezza, di opacità dello strumento giuridico e di regimi fiscali privilegiati di Paesi esteri, si sarebbero costituiti per perseguire delle finalità illecite, come di evasione ed elusione fiscale.

Secondo il Rapporto sull’abuso degli strumenti societari per finalità illecite dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (O.E.C.D.) pubblicato nel 2001 (O.E.C.D., Rapporto sulle misure da adottare contro cooperative, trust, fondazioni e società a responsabilità limitata impiegate per la realizzazione di scopi illeciti), già all’epoca, il trust è stato riconosciuto come uno strumento societario potenzialmente in grado di originare vantaggi al disponente o al beneficiario per un miglior trattamento fiscale ovvero per un risparmio sul reddito dei beni in trust prodotti all’estero.

La ragione per la quale il legislatore sarebbe intervenuto in materia fiscale a regolare la disciplina dei trust ricade nel fatto che il trust potenzialmente si possa rilevare come un negozio giuridico facilmente utilizzabile per conseguire anche degli scopi illeciti.
Le argomentazioni che sostengono questa asserzione riguarderebbero gli elementi caratterizzanti lo strumento giuridico quali l’alto livello di privacy che un trust garantirebbe ai soggetti coinvolti, l’autonomia nella gestione dei beni in trust.
Si evidenzia come ai sensi dell’art. 19 della Convenzione dell’Aja, rimane di competenza degli Stati sottoscrittori, l’applicazione delle norme speciali in materia fiscale alla disciplina dell’istituto giuridico del trust.

Si puo considerare come prima norma antielusiva applicabile al trust il d.p.r. n. 600/1973(3), a cui l’art 37-bis il quale disponeva l’inopponibilità all’Amministrazione finanziaria di atti posti in essere per aggirare gli obblighi o i divieti dettati dall’ordinamento tributario italiano.

Per lo più, già la giurisprudenza, in una sentenza della Corte di Cassazione del 2005, sosteneva la teoria dell’impossibilità di riconoscere come valido un negozio giuridico costituito come scopo per ottenere un risparmio d’imposta aggirando la normativa fiscale, ma come in precedenza illustrato, il concetto generale di elusione fiscale, introdotto implicitamente nel d.p.r. n.600/1973, sarebbe poi stato riconosciuto espressamente nel art. 10-bis dello Statuto del contribuente(4) e ancora dall’Agenzia delle Entrate nella Circ. n. 16/E/2016(5) equiparandosi al concetto di abuso di diritto cioè il principio secondo cui non sono leciti quei benefici ottenuti prefissandosi lo scopo di agevolazione fiscale.

La norma innovativa in materia sarebbe stata la Legge 27 dicembre 2006, n. 296 conosciuta anche come “Legge finanziaria del 2007”(6) che avrebbe ampliato il suo campo di applicazione ai trust, provvedendo indirettamente a riconoscerli come un ente giuridico differente rispetto ad altri. La legge finanziaria ha apportato delle modifiche all’art. 73 del testo unico delle imposte sui redditi (T.U.I.R.), ammettendo il riconoscimento delle possibili tipologie di trust, a partire da quelli:

  1. residenti nello Stato italiano e aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio dell’attività commerciale, o
  2. residenti nello Stato ma con un oggetto esclusivo o principale diverso dall’attività commerciale, o
  3. ancora per quelli solo non residenti nello Stato italiano.

Sempre nello stesso articolo, il legislatore avrebbe specificato i requisiti per dimostrare che un trust (o un istituto analogo) sia assoggettato al sistema tributario italiano, sebbene sia stato istituto in uno dei Paesi indicati nell’elenco stabilito dal decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze (Paesi di White List) oppure nei Paesi a sistema fiscale agevolato (di Black List o paradisi fiscali)(7) prevedendo, per quest’ultimi, dei presupposti differenti dai primi per il riconoscimento della loro residenza fiscale.

Visto ciò, sono solo le Autorità competenti in grado attraverso indagini e controlli, di verificare l’esistenza di eventuali presupposti che rimandino a potenziali attività illecite di elusione o di evasione fiscale nei trust, e cioè di dimostrare che a seguito della creazione di questo negozio giuridico un soggetto coinvolto abbia conseguito un risparmio di imposta illegittimo.

 

Intervento di Simone MAZZONETTO, Chief Audit Executive Banco delle Tre Venezie Spa – Adjunct Professor Ca Foscari University of Venice – Chairman and Senior Partner AML LAB

 


Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Convenzione dell’Aja

(2)   Legge 16 ottobre 1989, n. 364

(3)   D.P.D.R. 29 settembre 1973, n. 600

(4)   Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente)

(5)   Circolare n. 16 del 28/04/2016  –  Agenzia delle Entrate

(6)   Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria del 2007)

(7)   Paesi Black Listed

 



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