di Gianfranco Rucco
da Il Sole 24 Ore, 16-04-2018
Un approccio consapevole alle Pubbliche amministrazioni che intenda renderle “funzionali” e “funzionanti”, piuttosto che sottoporle a continue riforme che richiedono altre riforme, deve rispondere alle domande sulla natura e lo scopo delle Pa. Queste domande hanno avuto nel tempo risposte diverse, ma è possibile individuare due punti di svolta, il primo dei quali è rappresentato dal passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, con un processo riformatore iniziato con le leggi 142 e 241 del 1990 e culminato con il Dlgs 29/1993.
Il processo è avvenuto in un contesto caratterizzato dalla fiducia che l’incipiente globalizzazione avrebbe determinato un ciclo virtuoso con migliori opportunità a costi più bassi per le economie, dall’integrazione europea sentita come prospettiva di sviluppo e dalla la convinzione che una ritrazione dei pubblici poteri avrebbe liberato le capacità produttive. «Meno Stato, più mercato», con uno slogan.
Le leggi 142 e 241 del 1990 hanno dettato i principi dell’organizzazione della Pa per importare parametri operativi espressione di criteri di razionalità “economica” mutuati dal sistema delle imprese. Ma un aspetto del processo di riforma ne ha ridotto l’efficacia. Pur nel riconoscere infatti un ruolo strategico alla funzione di controllo, è importante affermare l’esigenza di un allineamento “valoriale” tra la mission e il controllo, poiché il controllo esercita un’importante funzione di orientamento; un controllo orientato prevalentemente all’adempimento rischia di produrre effetti paralizzanti senza riuscire a garantire la legalità. Nello stesso tempo, si è assistito a una deriva della funzione valutativa che ha perso la funzione di valorizzazione dei risultati per quella di avallo delle politiche retributive; è quindi opportuno ripristinare una sorta di “catena del valore” per responsabilizzare (prima di premiare) il presidio reale del ruolo in funzione dei fini istituzionali. Paradossalmente i principi di imparzialità e buon andamento, che la Costituzione ha voluto sinergici, si sono trovati a essere quasi antinomici e per le Pa si sta generando un dilemma paradossale: adempiere o funzionare.
La linea improntata a razionalità “economica” ha visto il suo culmine con la tutela costituzionale del pareggio di bilancio. Questa scelta, fatta alla vigilia del passaggio tra la seconda e la terza Repubblica, opera in un contesto nel quale la severità della crisi sta determinando un aumento del bisogno di protezione sociale, una riduzione del livello della tutela assicurato da un welfare oggi considerato non più sostenibile, la percezione dell’Ue come poco capace di rispondere ai bisogni della situazione e la critica verso una globalizzazione sentita come causa della contrazione del lavoro.
In quest’ottica è fondamentale il principio fissato dalla sentenza 275/2016 dove la Consulta afferma che «è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». La sentenza ricorda che le Pa hanno doveri costituzionali cui adempiere, e nel contesto attuale solleva domande chiave anche sull’organizzazione della Pa per l’esplicazione di questi doveri in relazione al valore sociale della loro attività.
In questa prospettiva è nata l’idea di costituire l’Associazione culturale e professionale «Articolo 97», che sarà presentata il 21 aprile a Roma, il cui scopo è di promuovere percorsi di riflessione condivisi con le realtà analoghe del settore dai quali far emergere, «da dentro e dal basso», possibili soluzioni a problematiche delle Pa da portare all’attenzione delle istituzioni quale contributo propositivo di dirigenti pubblici che si chiedono non cosa l’amministrazione possa fare per loro, ma cosa possano fare loro per l’amministrazione.
LINK: Convegno di presentazione