di Alberto CATALANO
Premessa
Pur se stretto nella morsa tra i rigori della normativa antiriciclaggio e le incertezze interpretative ed applicative di quella fiscale, il trust si accinge a vivere una seconda vita.
Lo slancio deriva, in primo luogo, dal recente documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate (Circolare 34/E del 20 ottobre 2022)(1) che ha fornito, o almeno ha tentato di farlo, un riassetto complessivo ed unitario della relativa disciplina fiscale. Ma si fonda, anche, su un esame sostanziale e sistematico dei presidi che il dispositivo di prevenzione antiriciclaggio riserva, in vari punti e sotto diversi profili, a questo particolare istituto.
Certo non mancano alcuni aspetti di perdurante problematicità che attraversano, impietosi, i due ambiti, tributario ed antiriciclaggio.
La complessità e l’ampiezza del tema non consentono una ricognizione puntuale ed esaustiva ma esiste un terreno sufficientemente emblematico in relazione al quale provare a formulare alcune sintetiche riflessioni: quello della interposizione fittizia del trust. Ma andiamo per ordine.
L’istituto
Quanto alla sua natura, l’Amministrazione finanziaria ritiene che il trust identifichi un “rapporto giuridico fiduciario mediante il quale un soggetto definito disponente (o settlor) – con negozio unilaterale, cui generalmente seguono uno o più atti dispositivi – trasferisce ad un altro soggetto, definito trustee, beni (di qualsiasi natura), affinché quest’ultimo li gestisca e li amministri, coerentemente con quanto previsto dall’atto istitutivo del trust per il raggiungimento delle finalità individuate dal disponente medesimo”.
È a tutti noto, e soprattutto agli eventuali creditori personali dei soggetti in causa, come l’effetto principale dell’istituzione di un trust sia la segregazione patrimoniale in virtù della quale i beni conferiti costituiscono un patrimonio separato e autonomo rispetto:
- al patrimonio del disponente,
- del trustee e
- dei beneficiari.
Diversificate sono poi le finalità che, suo tramite, possono essere perseguite, così come gli assetti strutturali e di funzionamento. Dal trust di scopo – istituito per il perseguimento di uno specifico fine individuato dal disponente – a quello familiare – particolarmente appetibile anche in ottica successoria; dal trust auto dichiarato – il disponente riveste anche la carica di trustee – a quello discrezionale – il disponente si riserva la facoltà di nominare in un momento successivo i beneficiari ovvero rimette al trustee o ad un protector l’individuazione degli stessi.
In ambito fiscale, particolare rilievo assume la distinzione tra trust opaco e trasparente (a seconda che i beneficiari siano “individuati” o meno). Non sfugge come, allo stato, l’ordinamento giuridico italiano non presenti una disciplina organica dell’istituto.
Pillole di disciplina fiscale
Sul piano fiscale, il documento di prassi in precedenza citato ha fornito regole specifiche in relazione a diversi aspetti, tra i quali e senza pretesa di esaustività, quelli attinenti al trattamento fiscale delle attribuzioni reddituali a favore di soggetti residenti da parte di trust opachi (nonchè degli «istituti aventi analogo contenuto») stabiliti in giurisdizioni a fiscalità privilegiata, alla irrilevanza, ai fini delle imposte sulle successioni e donazioni, della dotazione in trust di beni e diritti, agli obblighi di monitoraggio fiscale per i beneficiari italiani di trust opachi non residenti. Pregevoli alcuni chiarimenti attesi da tempo. Non poche le tematiche che richiederanno la (e verranno messe alla) prova delle prassi applicative.
L’interposizione fittizia: ambiti, contenuti ed effetti.
Per quel che qui ci interessa, non ancora particolarmente chiarito lo spinoso tema della possibile interposizione fittizia del trust. Ed anche su tale versante continuano a cogliersi alcuni aspetti di particolare problematicità che acuiscono quello stato di “asfissia” che – ad oggi – pare circondare l’istituto.
La Circolare considera interposti, in primo luogo ma non solo, i trust nei quali il disponente o il beneficiario mantengano un controllo effettivo sul trust, escludendo o limitando significativamente la gestione del trustee ma nulla dice in merito al “trattamento” civilistico della interposizione fiscale. Sul punto, verrebbe da dire – non senza tuttavia registrare talune (perduranti) diversità di vedute – che un trust interposto civilisticamente possa (ma non debba) considerarsi tale anche sul terreno fiscale mentre può ben accadere che un trust valido sul piano civilistico possa ritenersi (solo) fiscalmente interposto. I due ambiti devono (o dovrebbero) ritenersi distinti ed autonomi sebbene non sia difficile ipotizzare che una declaratoria di interposizione da parte del Fisco (con la conseguenza che il reddito di cui appare titolare il trust è assoggettato ad imposizione direttamente in capo all’interponente, ove residente in Italia) sia in grado di dispiegare conseguenze tutt’altro che marginali anche in campo civilistico. Con una possibile caduta di robustezza, efficacia e, dunque, di appeal dell’istituto.
In un solo triennio (2021 – 2023) l’Amministrazione finanziaria si è occupata in più di dieci occasioni del tema giungendo a soluzioni interpretative non sempre univoche e, talvolta, caratterizzate da una sorta di “accanimento terapeutico”. Ai fini del presente contributo, merita particolare interesse la risoluzione 176/2023(2) che, ai fini delle imposte di successione, ha considerato “inesistente” un trust interposto (di talchè i beni conferiti in trust devono farsi rientrare nell’asse ereditario del de cuius/disponente). Ecco che, in relazione a tematiche di assoluta delicatezza come quelle successorie, emerge, plasticamente, il pericoloso incrociarsi di due dimensioni contigue ma non sovrapponibili: quella civilistica e quella fiscale con dirette, immediate e facilmente intuibili ricadute anche in riflesso alla normativa antiriciclaggio.
Numerosi gli interrogativi che una simile impostazione ha sollevato. Ci si è chiesti, innanzitutto, se l’Agenzia delle Entrate possa disconoscere gli effetti civili di un istituto in assenza di una norma generale che gliene riconosca la legittimazione e, parallelamente, in presenza di disposizioni (art. 37, comma 3, d.P.R. 600/73) che dovrebbero operare solo sul terreno fiscale. Ci si è interrogati su quali debbano – o possano – essere le conseguenze in ordine alla titolarità formale dei beni conferiti in trust nel caso di declaratoria di interposizione. E non secondarie, ci si è domandati quali siano le implicazioni che quest’ultima può generare in merito all’adempimento degli obblighi antiriciclaggio (di adeguata verifica della clientela ma, anche e soprattutto, di segnalazione delle operazioni sospette).
Auspicare un intervento chiarificatore, magari di segno normativo, per evitare ambiguità interpretative e distonie applicative, appare, dunque, necessario.
Il dispositivo di prevenzione antiriciclaggio
Il rigore che la normativa antiriciclaggio riserva all’istituto è ben noto agli addetti ai lavori. Da esso, talvolta mal inteso dai soggetti obbligati, nascono quotidiane contese interpretative tra le società che si occupano professionalmente dell’amministrazione di trust e gli intermediari bancari e finanziari che non nascondono, in verità, resistenze e ritrosie alla apertura o al mantenimento di relazioni contrattuali ove sia presente un trust come cliente diretto o nella catena partecipativa.
I rigori riguardano sia la profilatura della clientela e dei rapporti/prestazioni – imponendo ai soggetti obbligati di adottare misure di adeguata verifica proporzionali all’entità dei rischi (concretamente rilevati) di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo – sia la gestione delle misure di due diligence – quanto alla loro intensità e profondità – prescrivendo che (art. 24 del D. Lgs. 231/2007) nell’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica della clientela si tenga conto della presenza di strutture qualificabili come veicoli di interposizione patrimoniale. Ma, anche e soprattutto, i criteri per la determinazione della titolarità effettiva (art. 22 del decreto antiriciclaggio) estesi al punto tale da attrarre tutti i soggetti di interesse. Nelle maglie della due diligence antiriciclaggio devono, infatti, ricadere disponente, trustee, guardiano e, ovviamente, beneficiari.
Le eventuali incompletezze o inesattezze in grado di pregiudicare la corretta individuazione degli stessi producono conseguenze ad alto impatto sia in merito alla impossibilità di ritenere utilmente svolto il processo di verifica (con conseguente attivazione dell’obbligo di astensione) sia in relazione alle valutazioni di sospettabilità delle operazioni. La produzione, magari a stralcio ed in forma omissata, del trust agreement (ove adeguatamente redatto) può certo fugare ogni tipo di problematicità e, aggiungerei, può, addirittura e legittimamente, spegnere i citati rigori applicativi (e le conseguenti contese) che circondano l’istituto.
La piena disclosure informativa dei dati di interesse è, infatti, di per sé idonea a consentire l’adeguata comprensione e mitigazione dei rischi connessi alla presenza dell’istituto, con una tendenziale trasposizione di rilevanza dal piano soggettivo a quello della concreta operatività. Soluzioni interpretative differenti si fondano (e favoriscono) una applicazione formalistica delle norme e non rendono merito alla pronta collaborazione del cliente le cui legittime aspettative non dovrebbero risultare mortificate da impostazioni pigre, superficiali – o peggio ancora poco competenti – dei soggetti obbligati.
Conclusioni
Forte di una capacità inclusiva unica ed irresistibile, la normativa antiriciclaggio, come quella fiscale, può, dunque, snodarsi in modo virtuoso sulla base di assetti contrattuali chiari e sapientemente progettati, oltre che opportunamente integrati, in modo organico, all’interno dell’ordinamento giuridico. Ed è solo attraverso questa via che uno strumento importato dalle indubbie e non ancora esplorate potenzialità può incrementare la propria capacità attrattiva liberandosi da una sorta di asfissia applicativa che – fino ad ora – lo ha caratterizzato. Ne risulterebbe utilmente accresciuto e modernizzato lo strumentario operativo a disposizione dell’intero sistema per il perseguimento di finalità – non solo economico/finanziarie – sempre più impellenti.
Intervento di Alberto CATALANO, Consulente e formatore di corporate governance e compliance programs \ Docente di Forensic Accounting e Fraud Auditing – Università Liuc
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Agenzia delle Entrate, Circolare N. 34/E, Disciplina fiscale dei Trust, 20-10-2022
(2) Agenzia delle Entrate, Risposta n. 176/2023, Applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni