La fine del 2021 è stata caratterizzata, tra l’altro, da una notevole attenzione dei media agli incidenti sul lavoro che nel nostro Paese sono molti, troppi. Questo fenomeno viene imputato, non tanto a difetti della legislazione, quanto alla insufficienza dei controlli.
A tale scopo il Governo si sta attivando per reclutare nuovi ispettori.
Ma assumere nuovi ispettori migliorerà la qualità dei controlli? Ne dubitiamo. Al massimo servirà per complicare gli adempimenti burocratici delle imprese e, temiamo, aumenterà lo spazio per azioni di corruzione.
Gli ispettori sono una sorta di controllori che basano la loro azione sulla loro presunta “professionalità”. Più che di “ispettori” c’è bisogno di auditors, tecnici abili nel verificare la compliance delle prassi lavorative in essere con protocolli precodificati.
Quindi non c’è bisogno di professionisti della sicurezza (cioè di ispettori) quanto di professionisti dell’auditing e della compliance. C’è bisogno di tecnici che sappiano controllare la corrispondenza delle prassi in essere nelle aziende con standard precodificati messi a punto da super-esperti nella sicurezza.
Questo comporta un cambiamento radicale dell’intera organizzazione del lavoro. Si tratta di passare ad una organizzazione del lavoro basata sui processi. Qui non vogliamo soffermarci sulla differenza tra una organizzazione basata sui processi e una organizzazione basata sulla gerarchia(1) Qui vogliamo andare oltre la semplice indicazione formale dell’imperativo di dotarsi di una organizzazione per processi.
Dobbiamo invece chiederci come si possa promuovere la cultura dell’organizzazione per processi.
Una affermazione non sporadica e a macchia di leopardo della cultura del lavoro per processi richiede che venga modificato radicalmente il meccanismo della formazione. Il nostro sistema formativo si concentra presso che esclusivamente sugli aspetti teorici, su quello che nella gergo del management delle competenze viene definito come “sapere” (nel caso della medicina, ad esempio, la conoscenza dell’anatomia, della patologia etc.). Per passare ad una organizzazione per processi è necessario integrare la formazione sui “saperi” (che deve rimanere in background) con una formazione che dà un grande spazio ai “saper fare” (nel caso della medicina, ad es. saper usare il bisturi, saper misurare la pressione etc.). Si tratta di una rivoluzione culturale vera e propria. Vediamo cosa si può/deve fare, prendendo spunto da esperienze di altri paesi.
Innanzi tutto va notato che la formazione che dà spazio ai “saper fare” (e che, quindi, apre la strada all’organizzazione basata sui processi) si articola in due percorsi differenti, a seconda che ci si riferisca al settore dell’impresa privata (o parapubblica) o al settore della pubblica amministrazione.
Nel settore dell’impresa privata la formazione che dà spazio ai “saper fare” si realizza già a livello di sistema scolastico (sia di livello di scuola media superiore che di livello universitario). Il sistema, di origine germanica, si articola nel modo seguente. A livello nazionale le associazioni datoriali e i sindacati concordano un elenco di profili professionali di base (in Germania sono ca. 250, in Svizzera ca. 600). Per ogni profilo viene dettagliato l’inventario dei “saperi” e dei “sapere fare” necessari(2). In questo modo le prove di esame sono delle vere e proprie verifiche di compliance o “certificazioni“ con quanto previsto dagli inventari precodificati. Il sistema germanico sta diventando il sistema attraverso cui la UE sta creando un vero e proprio mercato del lavoro europeo, attraverso il metodo lo European Qualifications Framework(3).
L’Italia è inadempiente per quanto riguarda gli obblighi dello European Qualifications Framework. Questo non solo ci esclude dal mercato europeo del lavoro (i nostri ingegneri che vengono in Olanda non trovano certo lavoro alla Philips ma come baristi o pizzaioli). Il fatto che i nostri imprenditori lamentino la mancanza di forza lavoro qualificata è riconducibile a questa inadempienza.
Nel settore dell’amministrazione pubblica la formazione orientata al “saper fare” si realizza sostanzialmente accoppiando reclutamento con formazione. La maggior parte dei “mestieri” della pubblica amministrazione sono mestieri specifici al mondo pubblico. Anche i “mestieri” che il pubblico ha in comune con il mondo privato, nel settore pubblico vengono declinati in maniera specifica riconducibile all’imperativo di garantire il pubblico interesse.
Il saper fare, nella nostra amministrazione pubblica, viene acquisito lentamente dopo il superamento del concorso, on the job, per affiancamento. Interessanti, anche se preoccupanti, le difficoltà che il Ministro Brunetta sta incontrando per reclutare il personale indispensabile alla realizzazione concreta del PNRR. Riferiamo qui rapidamente due casi.
Il primo caso riguarda la legge 178 del 30/12/2020 (in particolare il comma 179 dell’art. 1) ci si proponeva di reclutare a tempo determinato 2.800 funzionari da impiegare nei governi regionali e locali del Sud per l’impiego delle risorse che la UE si stava apprestando a convogliarci per rispondere alla crisi determinata dalla pandemia dovuta al Covid 19. Questa procedura prevedeva una pesante valutazione dell’esperienza maturata che diventa un requisito di ammissione. Proprio questa caratteristica ha portato, al momento del bando, alla necessità di una marcia indietro. L’esperienza maturata non è più stata considerata un requisito di ammissione, a seguito delle pressioni dei candidati e dei sindacati. Al momento della stesura di questo contributo il concorso si è rivelato un flop perché i candidati sono troppo pochi rispetto ai posti messi a concorso! Sembra ragionevole ipotizzare che nel mercato del lavoro non esistono le professionalità necessarie.
Il secondo caso lo abbiamo quando, vista questa esperienza, si è trattato di fornire risorse umane qualificate alle Regioni per affrontare la realizzazione del PNRR. Il Ministro ha abbandonato la strada del concorso e ha fatto ricorso, in questo caso, alla ricerca di professionisti ed esperti., sulla base dell’art 9 del DL 80 del 2021 (convertito con la L.113/2021). Ma anche qui il meccanismo non funziona. Il Dipartimento della Funzione Pubblica non è stato in grado di inventariare le competenze che gli esperti dovrebbero avere. Questo ha due conseguenze. Da una parte gli esperti reali mi stanno dicendo che, quando si incontrano con i selezionatori delle regioni, non riescono a dialogare con i selezionatori stessi perché questi non capiscono quale siano le competenze degli esperti. Dall’altra parte i membri delle commissioni di selezionatori mi dicono che gli esperti non conoscono affatto il mondo della pubblica amministrazione e, una volta selezionati, avranno bisogno di essere guidati per poter interagire fruttuosamente con le amministrazioni.
Sopra le Alpi la selezione viene accoppiata alla formazione al “saper fare” sulla base di liste di mestieri della pubblica amministrazione declinate in dettagliati elenchi di saperi e saper fare. Per chi volesse avere un’idea di queste liste e di questi inventari invitiamo a prendere visione, a mo’ di esempio delle liste e relativi inventari delle tre amministrazioni francesi(4). Un ulteriore esempio interessante è quello del Belgio dove i profili della funzione pubblica sono inventariati e declinati in un apposito dizionario(5).
La assenza di organizzazioni per processi e di una formazione orientata sul “saper fare” – e che tenga il “sapere” nel dovuto conto ma in background- sta infettando tutta la realtà produttiva dell’Italia, sia pubblica che privata. Rende difficile la ricerca delle competenze necessarie (e certificabili con i metodi della compliance) e rende difficile le attività di controllo. Senza processi precodificati l’attività di controllo si rifà alla logica dell’ispettore -detentore unico delle buone regole- e non a quella della compliance, dove auditor e sottoposti alla verifica condividono i processi da rispettare.
La carenza di processi sta rendendo problematica la sicurezza sul lavoro. Ma sta anche rendendo problematica la realizzazione concreta del PNRR, perché determina la carenza delle competenze necessarie e rende difficile i controlli antifrode.
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Rimandiamo chi fosse interessato a questo argomento ad un nostro contributo pubblicato su questa piattaforma cfr. M. Balducci (2020), “Processi, compliance e Covid19: c’è una lezione da apprendere?“; www.riskcompliance.it
(2) Può essere interessante andare a vedere sul sito svizzero, declinato anche in italiano, come il sistema è articolato (cfr. www.orientamento.ch).
(3) ESCO, European Skills/Competences, qualifications and Occupations
(4) Amministrazione francese: per la funzione pubblica statale cfr. Le portail de la fonction publique; per la funzione pubblica locale cfr. Répertoire des métiers territoriaux, Fonction publique territoriale; per la funzione pubblica sanitaria cfr. Le Répertoire des métiers de la Santé et de l’Autonomie, Fonction publique Hospitaliere
(5) Amministrazione belga: cfr. Le dictionnaire des compétences de l’Administration fédérale
Giuseppe Nucci Replica
Complimenti. Prospettive innovative illustrate con la consueta chiarezza!
Emmanuele Di Fenza Replica
Condivido pienamente.