di Fabio ACCARDI ed Emiliano DI CARLO
Premessa
Il dibattito sul finalismo aziendale, ossia sullo scopo di esistenza delle organizzazioni, vede da sempre coinvolti studiosi, manager e, in generale, una pluralità di attori che si interessano ai temi di economia e management.
Le motivazioni di questo interesse sono profonde e riconducibili alla crisi che il sistema capitalistico sta attraversando e che ha reso obsolete le teorie incentrate sulla sola capacità delle imprese di creare un plusvalore economico in termini di marginalità tra le risorse utilizzate come materie prime/utilità, forza lavoro e gli output in termini di prodotti/servizi.
Il costante maggiore utilizzo e saturazione delle risorse in termini ambientali (materie prime /utilità) e sociali (forza lavoro) e la progressiva partecipazione ai consumi di fasce più ampie di popolazione rendono il solo parametro della profittabilità della singola organizzazione produttiva non sostenibile a livello di comunità globale.
Per questi motivi, dalla metà dello scorso secolo abbiamo assistito ad una transizione da una concezione prevalentemente focalizzata sul soddisfacimento dei desideri dei soli azionisti (shareholders theory) ad una visione che vede le organizzazioni al servizio di una pluralità di portatori di interessi per i quali il profitto non è l’unica dimensione rilevante (stakeholders theory).
Nel dibattito che vede contrapposti i sostenitori delle due teorie, negli anni più recenti assistiamo all’affermarsi di una visione alternativa che cerca di soddisfare le esigenze che i significativi cambiamenti ai quali stiamo assistendo richiedono. Ci riferiamo alla visione che vede l’interesse primario aziendale (IPA) come principio guida che va perseguito distintamente da quello specifico dei suoi azionisti e portatori di interessi che hanno il dovere (anche morale) a che questo interesse sia perseguito. Tale interesse consiste nel soddisfare i bisogni dei clienti/utenti attraverso la produzione di beni e servizi utili, creando valore sostenibile per l’azienda stessa, i suoi stakeholders, la sua comunità. Questo approccio, elaborato ed approfondito da Di Carlo(1), ha carattere multidimensionale in quanto richiede che il processo decisionale tenga conto, simultaneamente, dell’aspetto economico e di sostenibilità (sociale e ambientale), contrastando quei fenomeni psicologici che impoveriscono le scelte delle persone che si concentrano in prevalenza su una dimensione, sia essa economia o sociale. In tal senso, coniugando la sopravvivenza del contesto globale con quella della singola unità, appare il più completo per essere inglobato nella missione aziendale e quindi condiviso da tutti gli attori: proprietà, organi di governance, management, e naturalmente le funzioni interne di assurance. Quindi, dopo aver approfondito questa visione in termini di implicazioni e recenti sviluppi, cercheremo di evidenziare quanto essa sia importante per ben inquadrare i temi inerenti al governo e controllo dei rischi, enfatizzando il rilevante ruolo che gli attori della governance dei controlli interni possono svolgere ai fini del suo perseguimento.
La teoria dell’IPA: dall’Azienda Strumento all’Azienda Persona con un suo interesse a contribuire al bene comune
Nell’ambito delle teorie sul finalismo aziendale, la teoria dell’interesse primario dell’azienda si pone come terza via al dilemma shareholder vs stakeholder, collocandosi nell’ambito delle teorie che considerano l’azienda come un’entità reale (o istituto) con un proprio interesse (Di Carlo, 2021)(2).
In particolare, seguendo l’approccio istituzionalistico, tipico della dottrina economico-aziendale italiana, e della teoria dell’entità legale – proposta, tra l’altro, dalla dottrina giuridica statunitense nell’ambito del diritto commerciale – l’IPA considera l’azienda come un’entità con un proprio interesse, distinto rispetto a quello di tutti i suoi stakeholder, dove economicità e socialità si posizionano sullo stesso livello, guidando, di volta in volta, nella scelta degli stakeholder da privilegiare e/o eventualmente sacrificare nel processo di creazione di valore.
L’azienda diviene essa stessa uno stakeholder responsabile con un proprio interesse – espresso da una governance competente, autonoma e indipendente – alla durabilità, che possa tener conto, simultaneamente, delle dimensioni economiche e sociali. Nessuno stakeholder è, di fatto, portatore di un interesse che riesca a tener conto, in modo autonomo e indipendente, di tutte le dimensioni da prendere in considerazione per fare in modo che l’azienda possa sopravvivere e svilupparsi in modo sostenibile, contribuendo cioè al bene comune. Proprio questo suggerisce di considerare l’azienda come un vero e proprio stakeholder, con un interesse multidimensionale, espresso appunto dalla governance, che sia in grado di orientare verso tale bene.
L’idea di azienda come stakeholder, portatrice di un interesse superiore riferito al bene della collettività in cui essa vive e opera, consente di comprendere l’importanza di creare valore non solo per i suoi stakeholder primari e secondari, ma anche per l’azienda stessa; solo in questo modo, infatti, essa può contribuire al benessere della più ampia comunità.
L’interesse primario aziendale (IPA) risponde alla domanda sul perché esiste l’azienda, ossia qual è la sua ragion d’essere, il suo ruolo nell’economia, cosi come ampiamente discusso in precedenza. L’azienda viene appunto considerata come una persona reale che ha interesse a “servire il bene comune presente e futuro”. L’IPA comprende due elementi interdipendenti: lo scopo (comunemente definito purpose) del “soddisfacimento dei bisogni (anche inespressi) dei clienti/utenti attraverso la produzione di beni e servizi utili”, ossia il perché l’azienda esiste, perché realizza certi beni e servizi; una condizione di sopravvivenza e sviluppo, riassunta con il termine “creazione di valore sostenibile”, che considera l’azienda come un sistema dinamico atto a perdurare, tendente a servire in modo durevole il bene comune. Nell’IPA, economicità e socialità, business e compliance, sono posizionati sullo stesso livello, assumendo la medesima importanza. Ciò mitiga il rischio di ideologizzazione dell’una o dell’altra, come peraltro raccomandato da più parti nell’ambito degli studi economico-aziendali.
Il raggiungimento dell’equilibrio ottimale da parte dell’Azienda Virtuosa: le responsabilità della Governance
L’azienda virtuosa, ossia l’azienda che prendendosi cura di se stessa e del prossimo serve il bene comune, è quella che raggiunge l’equilibrio complessivo ottimale. Tale equilibrio si persegue quando, date certe forze interne ed esterne, non è possibile migliorare una delle singole condizioni di equilibrio (economico, finanziario, monetario e di interessi) senza peggiorare, nel lungo termine, la condizione di sopravvivenza e sviluppo (quantitativo e/o qualitativo) dell’azienda. Si può anche affermare che l’equilibrio complessivo è un sistema di equilibri particolari (di equazioni), ossia un insieme di quattro equilibri, tra loro interrelati, che la soluzione del sistema (sopravvivenza e sviluppo sostenibile dell’azienda nel lungo termine) deve soddisfare simultaneamente. Proprio la presenza delle forze interne ed esterne – che esprimono interessi di varia natura – richiede che l’azienda sia condotta avendo come bussola il principio-guida dell’IPA che, favorendo la sua continuità nel tempo, compatibilmente con il benessere degli stakeholder e della comunità, consenta di volta in volta di scegliere quali di tali forze accogliere e quali, invece, neutralizzare o eliminare.
Per assegnare alle persone una responsabilità morale verso l’IPA è fondamentale non solo che esse abbiano chiaro cos’è e come perseguire l’IPA, ma siano anche in grado di valutare come le proprie azioni (o inazioni) si ripercuotono sugli equilibri economico, patrimoniale, monetario e di interessi, dell’azienda.
Il passaggio dalle teorie tradizionali (shareholder e stakeholder) all’IPA richiede quindi due cambiamenti culturali significativi: le aziende devono essere riconosciute come persone reali (istituti) con responsabilità giuridiche e morali per le proprie azioni; tutti gli stakeholder, incluse le aziende, devono essere considerati non solo come portatori di interessi, ma anche di responsabilità e devono essere guidati dall’etica delle virtù (in inglese, dagli stakeholders ai responsible holders).
Il concetto di responsible holders pone enfasi non solo sui diritti, come tipico della teoria degli stakeholder, ma anche sui doveri. Questo aspetto è cruciale perché mentre nel concetto di “stakeholder” c’è il rischio che si dia prevalenza ai diritti (appunto dei portatori di interessi), portando a conseguenze indesiderate o non previste, nel concetto di “responsable holder” sia i diritti che i doveri (non solo contrattuali ma anche morali) sono considerati con uguale importanza e peso. Questo approccio equilibrato implica un’assunzione di responsabilità più ampia e completa, che può contribuire a garantire azioni più consapevoli e coerenti, promuovendo risultati più sostenibili, sia dal punto di vista economico che sociale. Il responsible holder non si limita a chiedersi cosa l’azienda può fare per lui, ma anche cosa egli può fare per l’azienda. Tale aspetto assume un particolare rilievo nella individuazione e gestione dei rischi.
Sebbene la teoria degli stakeholder stia guadagnando crescente riconoscimento sia nel mondo accademico sia in quello professionale, numerosi studi evidenziano l’importanza di limitare le richieste di quegli stakeholder che, talvolta senza rendersene conto, aspirano a una ricompensa (non solo finanziaria) superiore al loro contributo, ovvero vantano pretese che portano a gradi anche elevati di biasimo morale(3). Seguendo la logica dell’etica delle virtù, alla base dell’IPA, l’etica aziendale si valuta, tra l’altro, non tanto con i risultati perseguiti quanto con le azioni che l’azienda e le persone mettono in campo per perseguire l’IPA, ovvero per ridurre il gap tra l’interesse che essa attualmente esprime e l’interesse primario che la legittima nei confronti della collettività.
Responsabilità della governance, e più in generale della leadership, è quella di creare le condizioni della virtuosità aziendale per consentire alle persone di esprime al meglio le proprie virtù, ovvero per mitigare comportamenti viziosi.
IPA e Governo e Controllo dei Rischi (Risk and Control Governance – RCG)
Affermata la rilevanza della governance aziendale ai fini dell’IPA, ne consegue che la Governance dei Rischi e dei Controlli (Risk and Control Governance -RCG), che ne costituisce il presupposto ai fini della sua efficace attuazione, assume un ruolo cruciale. Chiediamoci allora in che termini la RCG vada strutturata per questi fini e quale ruolo possono svolgere le funzioni interne di assurance?(4). Per illustrare il primo aspetto può essere utile ricorrere ad una citazione del filosofo Vito Mancuso(5) che esprime come l’ethos significhi in primo luogo “dimora” e evidenzi come la nostra prima dimora sia il corpo il quale è abitato da una logica di armonia relazionale tra le varie parti. Questa metafora è estendibile anche alle organizzazioni che, al paridegliorganismi viventi, dovrebbero essere dotati di adeguati sistemi immunitari. Tali sistemi consistono in un insieme di organi che hanno il compito di difendere l’organismo da agenti che possano causare infezioni.
Declinando in termini aziendali, potremmo considerare tali agenti come i rischi mentre gli organi considerarli assimilabili agli attori interni che presidiano il sistema dei controlli e la compliance, e specificamente le funzione interne di assurance. In tal senso, si palesa la rilevanza del ruolo di garanzia che tali funzioni svolgono affinchè i rischi aziendali siano adeguatamente presidiati a livelli di disegno ma anche in termini di effettività dei comportamenti. A rafforzare questa tesi contribuisce la considerazione relativa al fatto che il ruolo di garanzia storicamente demandato ai controlli “esterni” si è rivelato in passato non sufficiente, essendo stati gli stessi attori esterni dei controlli responsabili, in taluni casi, di gravi carenze e inadempienze che hanno generato danni e perdite a livello di sistema.
Va evidenziato che ulteriori distorsioni sono derivate nei casi in cui gli enti ai quali sono demandati i controlli non hanno seguito logiche orientate ai rischi ma hanno appesantito le loro strutture accrescendo controlli burocratici onerosi e di nessuna utilità. Accrescere il peso dei controlli interni orientati a prevenire e mitigare i rischi è una precondizione perchè si possano orientare tutti gli attori a comportamenti effettivamente virtuosi e non solo apparenti e di facciata. In che modo? Qui possiamo richiamare quanto richiamato come asse portante dell’ IPA il concetto ben espresso da S. Zamagni(6) di “prendersi cura” ben evidenziato nel paragrafo precedente. Similmente al concetto di compassione, recentemente oggetto di approfondimento anche nelle discipline manageriale(7), questo approccio favorisce un dialogo tra persone basato sulla capacità di compenetrarsi nell’altro, che non significa mera accettazione acritica o pietà ma consolidamento di un senso di relazione e comunanza con tutti gli attori con cui si interagisce. In tal senso opera in direzione della creazione di relazioni virtuose tra organizzazioni ed persone favorendo il dialogo e la condivisione di visioni comuni in termini di responsabilità ed interessi condivisi come proprio il perseguimento dell’IPA richiede. Questa capacità di dialogo con tutti gli interlocutori rappresenta certamente la principale sfida futura sul quale gli attori della governance dei controlli interni alle organizzazioni dovranno confrontarsi. Anche per loro vale la necessità di evolversi da stakeholder interni a responsible holders come “campioni aziendali” nell’agire in modo etico e virtuoso.
Intervento di:
Fabio ACCARDI, Docente per le aree Risk, Governance, Compliance & Internal Auditing – Dottore Commercialista – RUC – Membro Organismi di Vigilanza ex D.lgs.231/01.
Emiliano DI CARLO, Professore Ordinario di Economia Aziendale | Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Di Carlo E. ( 2017) “Interesse Primario dell’ Azienda come Principio-Guida e Bene Comune” – G. Giappichelli Editore
(2) Di Carlo E. ( 2021) Il bene dell’azienda come terza via al dilemma shareholder vs stakeholder, Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, (9-10-11-12), pp. 278-295
(3) Kaptein, M. (2023). Stakeholder Ethics: Defining The Ethical Responsibilities of Stakeholders to and for Companies. Available at SSRN 4659253
(4) temi affrontati nel testo di Fabio Accardi in tema di Governo e Controllo dei Rischi , recentemente alla seconda edizione: Accardi F. ( 2024 ) “Governo e Controllo dei Rischi .Manuale per scelte consapevoli e sostenibili – Metodologia, Casi e Applicazioni”. Franco Angeli Editore
(5) Mancuso V. ( 2019) “La forza di essere migliori”. Garzanti Editore
(6) Zamagni S. ( 2019) ”Responsabili,come civilizzare il mercato”. Ed.Il Mulino
(7) Seppala E. (2015)” Why Compassion Is a Better Managerial Tactic than Toughness” Harvard Business Review