di Antonio BARONE e Italo PARTENZA
Una breve riflessione sull’odierno valore giuridico delle polizze assicurative di responsabilità ambientale deve prender le mosse dal concetto di «responsible governance» del rischio ambientale, nell’ambito del quale tutti gli operatori, pubblici e privati, sono attori fondamentali, al di là delle tradizioni contrapposizioni autorità-libertà e pubblico-privato.
Questa prospettazione teorica ha oggi un solido fondamento costituzionale.
Infatti, in base all’art. 41, 2° comma Cost. come recentemente modificato dalla legge costituzionale n.1/2022, l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Nella dimensione costituzionale sicurezza umana, salute e ambiente, si presentano come “standard valutativi” capaci di condizionare ogni azione giuridicamente rilevante, indipendentemente dalla soggettività pubblica o privata dell’attore. Non a caso, in base all’art. 3 ter del Codice dell’Ambiente (D.Lgs n. 152/2006), la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche, pubbliche o private.
Il dovere di monitorare l’effettivo rispetto della sicurezza umana, della salute e dell’ambiente, pertanto, travalica il riferimento esclusivo ai soggetti pubblici, costituendo impegno inderogabile anche per i principali produttori dei rischi ambientali: le imprese. Esse sono, più di ogni altro, in grado di monitorare costantemente le conseguenze dei processi di produzione, alla luce di quell’evoluzione tecno-scientifica che viene implementata per (legittimi) scopi di profitto.
Questo comporta il superamento delle logiche esclusive di command and control, in base alle quali l’impegno green dell’impresa è strettamente circoscritto alle indicazioni contenute nelle varie autorizzazioni amministrative ambientali (autorizzazione ambientale integrata, etc.).
Gli ordinamenti giuridici europeo e nazionale prevedono diversi casi di obblighi di co-gestione del rischio ambientale gravanti sulle imprese a prescindere dalle indicazioni provenienti dalle pubbliche amministrazioni. Si pensi, ad esempio, all’attuazione delle misure di prevenzione ed alle indagini preliminari che il responsabile dell’inquinamento è tenuto a svolgere nell’ambito della procedura di bonifica (art. 242 del Codice dell’Ambiente), la cui omissione è oggetto di apposita sanzione. Del resto, in base all’art. 304 del Codice dell’Ambiente, quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.
Gli obblighi di co-gestione del rischio gravanti sulle imprese:
- consentono interventi immediati che le PA spesso non sono in grado di assicurare;
- tendono a colmare quella asimmetria informativa che non di rado investe le PA rispetto alle imprese.
Emerge quindi una tendenza ordinamentale a far ricadere la prevenzione dei rischi ambientali (e non solo) anche sugli operatori economici. Ciò non significa certamente sostenere la natura pubblica dell’attività d’impresa; sono piuttosto maturati i tempi per un più aggiornato apprezzamento giuridico dell’agire d’impresa, che tenga conto del differente contesto storico-economico-sociale in cui operano le aziende.
La prospettiva delineata, peraltro, trova ulteriore conferma nel diverso ma correlato tema della responsabilità sociale d’impresa. L’impresa socialmente responsabile, infatti, si sforza spontaneamente di porre al centro della propria azione le esigenze collegate allo sviluppo sociale, alla tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, 4° comma, Cost.).
A differenza degli evidenziati modelli obbligatori di co-gestione del rischio, la responsabilità sociale d’impresa risulta subordinata ad una scelta volontaria dell’operatore economico. Ci si riferisce, in particolare, alle certificazioni volontarie (ad esempio) sulla sicurezza ambientale (ISO 14001, EMAS, UNI Ambiente Protetto); certificazioni che se da un lato importano pesanti conseguenze sul fronte dell’organizzazione d’impresa, dall’altro possono determinare importanti vantaggi anche sul fronte della semplificazione delle procedure amministrative in materia ambientale.
La scelta volontaria è altresì alla base dei compliance programs previsti dal D.Lgs. n. 231/2001, grazie ai quali l’impresa può essere esonerata dalla responsabilità amministrativa, connessa ai reati posti in essere nel suo interesse dalla propria struttura di vertice, provando che «l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi». Ciò anche con riferimento ai c.d. reati ambientali.
La tematica assicurativa ambientale si inserisce a pieno titolo nel percorso evolutivo qui brevemente delineato.
La rilevanza pubblica dell’attività d’impresa nella prevenzione e gestione dei rischi ambientali proietta una diversa luce sulle polizze assicurative di responsabilità ambientale, che possono tingersi anch’esse di una inedita colorazione pubblicistica quanto meno in termini di responsabilità sociale di impresa e quindi di sussidiarietà orizzontale. La copertura assicurativa, infatti, può assicurare la sostenibilità economico-finanziaria dell’esecuzione degli obblighi di co-gestione del rischio gravanti sulle imprese. Le polizze di responsabilità ambientale, al contempo, diventano elemento caratterizzante dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOG) adottati dagli operatori economici che decidono di aderire alle previsioni del D.Lgs. n. 231/2001, contribuendo a schermare l’impresa dalle responsabilità connesse (tra l’altro) ai reati ambientali.
Si tratta solo di alcuni esempi che sono tutti scrivibili alla logica della responsible governance del rischio ambientale, nell’ambito della quale la tematica assicurativa ambientale non può più essere ricondotta esclusivamente all’ambito dei rapporti privatistici tra assicurato e assicuratore, dovendo invece aprirsi al diverso ruolo oggi assunto dall’attività d’impresa, che trova diretto fondamento negli artt. 41, 2° comma e 118, 4° comma, della Costituzione italiana.
A questo proposito è bene evidenziare che, come per tutti i rischi di responsabilità, anche quello relativo al danno ambientale è assicurabile: ciò avviene mediante una copertura che da un lato tiene indenne l’assicurato dai danni che possono derivare ai propri beni (ad esempio, il sito aziendale) da una contaminazione e, dall’altro, manleva il proprio Cliente dei costi che possono essergli posti a carico dalla Pubblica Amministrazione o dallo Stato per porre in essere tutte le necessarie attività finalizzate al ripristino dei luoghi, o delle spese da sostenere per risarcire i danni a terzi provocati dall’inquinamento, ovviamente nei limiti di volta in volta previsti dalle singole coperture.
E del resto, la perfetta riferibilità della normativa ambientale – anche comunitaria – al sistema di responsabilità civile appare indiscussa e la stessa natura di compensatio in forma specifica della bonifica e del ripristino ambientali non è di alcun ostacolo alla sua indennizzabilità da parte delle compagnie di assicurazione.
L’assicurazione del rischio ambientale, in questo modo, non soltanto diviene una strategica soluzione per affrontare e gestire i rischi che possono esporre un’impresa a pregiudizi economici di particolare rilievo, ma rappresenta altresì uno strumento di primaria rilevanza sociale. Ciò in quanto rende possibili interventi riparatori in favore del bene ambiente, che per il loro costo rischierebbero altrimenti di gravare sulla collettività e, non di meno, contribuisce a una efficiente selezione di imprese virtuose, escludendo dalla propria manleva coloro che mettono a rischio l’ambiente scegliendo deliberatamente di ridurre l’attenzione prevenzionale, per improvvide politiche di contenimento dei costi.
Nel contempo, l’assicuratore di responsabilità civile non diviene mai un supporto dell’inquinatore ma anzi, al contrario, il sistema assicurativo diviene il migliore strumento per vagliare le aziende potenzialmente pericolose e per allontanarle dal mercato – negandola copertura e il conseguente indennizzo – allorché emerga la disinvolta e pericolosa gestione del rischio da parte dell’assicurato.
Non è questa una scelta del mondo assicurativo che possa cambiare nel tempo, bensì è il dettato codicistico che lo impone: l’art. 1900 del codice civile, primo comma, esclude, infatti, che la copertura assicurativa possa estendersi ai rischi provocati volontariamente o con colpa grave dell’assicurato, salvo che, per quanto riguarda la colpa grave, sia stato pattuito diversamente (Cass., 14.10.2019, n. 25785).
La volontarietà nel provocare il rischio (anche se l’evento non fosse oggetto di volizione), secondo la Suprema Corte rappresenta, dunque, un qualcosa di diverso rispetto alla colpa grave, che in sé sarebbe compresa dalla copertura di responsabilità civile. La volontaria provocazione di un rischio costituisce, piuttosto, l’espressione del dolo prevista dall’art. 1900 I comma c.c., poiché provocare e aumentare un rischio per scelta deliberata e consapevole altera l’alea contrattuale, anche qualora l’assicurato si auguri che il rischio aggravato non abbia a concretizzarsi in un evento dannoso. L’intenzionalità, dunque, di una condotta è in sé causa di non assicurabilità, poiché il rapporto di buona fede fra assicurato e assicuratore risulta alterato da un “moral hazard” che per l’assicurato rappresenta un vantaggio economico, mentre per l’assicuratore diviene una significativa e ingiustificata mutazione in pejus del sinallagma.
Accanto ed a supporto del ruolo dei pubblici poteri, non vi è, dunque, figura professionale e commerciale migliore per trattare un rischio aziendale e sociale come quello ambientale, sia nell’ottica della natura privilegiata del contratto di assicurazione come strumento di trattamento del rischio, sia sotto il profilo sociale, poiché, attraverso tale garanzia, si vigila allo stesso tempo sulla correttezza dei comportamenti imprenditoriali e sulla effettiva solvibilità nella riparazione del danno involontariamente cagionato.
Intervento di:
Antonio BARONE, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo all’Università di Catania – Avvocato cassazionista – www.baronestudiolegale.com
Italo PARTENZA, Avvocato cassazionista – Titolare studio legale ITC Law – www.itclaw.it
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
A. Barone, Il diritto del rischio, Giuffrè, Milano, 2006.
U. Beck, Risikogesellshaft. Auf dem Wegin eine andere Moderne, Franfkfurt, 1986, trad. it. a cura di W. Privitera, La società del rischio. Verso unaseconda modernità, Carocci, Roma, 2000.
M. Libertini, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa, in Riv. società, 2009, pag. 1-33.
I. Partenza, V. Nucci, L’assicurazione del rischio ambientale, Cacucci, Bari, 2024.