Il punto di svolta in tema di responsabilità degli enti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro si è avuta con la famosa ed oramai arcinota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sul caso ThyssenKrupp la n. 38343/2014(1), con la quale è stato stabilito come debbano essere intesi i requisiti di interesse e vantaggio in riferimento ai delitti colposi di cui all’art. 25-septies, d.lgs. n. 231 del 2001(1).
Si è chiarito che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 all’interesse o al vantaggio, sono:
- alternativi e concorrenti tra di loro,
- e devono essere riferiti alla condotta anziché all’evento, pertanto,
- ricorre il requisito dell’interesse qualora l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, mentre
- sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.
La citata sentenza può definirsi lo spartiacque tra il passato ed il futuro in tema di responsabilità in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quel punto in poi le sezioni semplici della Cassazione hanno individuato nell’obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori, uno dei principali oneri gravanti sul datore di lavoro, ed in generale sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro(2).
La violazione degli obblighi inerenti “la formazione e l’informazione dei lavoratori” integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l’incolumità dei lavoratori permane nel tempo e, l’obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto(3).
Il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche e, soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle(4).
Si afferma pacificamente in giurisprudenza, infatti, che il datore di lavoro risponde dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte(5).
È infatti tramite l’adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti(6).
Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell’infortunio occorso al lavoratore, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento.
Non può infatti venire in soccorso del datore di lavoro il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati.
Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi(7).
Si è poi ulteriormente specificato che, l’obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro(8).
Ciò in quanto l’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro(9).
Di recente, è stato ribadito che, il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi(10).
Più in generale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che, sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle(11).
In tema di sicurezza sul lavoro, ai sensi del D.Lgs. 81/08, art. 73, comma 1 e comma 2, lett. b), il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dei rischi propri dell’attività cui è preposto e di quelli che possono derivare dall’esecuzione di operazioni da parte di altri, ove interferenti, ed è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, per ciascuna attrezzatura, ogni informazione e istruzione d’uso necessaria alla salvaguardia dell’incolumità, anche se relative a strumenti non usati normalmente(12).
La giurisprudenza della Suprema Corte, ormai in maniera univoca, ritiene infatti che, in tema di causalità omissiva, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non possa ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma debba essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva(13).
Di contro, quanto ai lavoratori, come costituisca ius receptum che anche un’eventuale colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore: la Suprema Corte nel motivare alcune sentenze ha elencato una serie di casi a cui rifarsi a titolo esemplificativo (cfr. ex multis: Sez. 4, n. 16397 del 5 marzo 2015, Guida, Rv. 263386 che ha escluso l’abnormità della condotta del lavoratore, il quale, impegnato nell’installazione di un ascensore, era caduto mettendo il piede in fallo, così battendo la testa e decedendo, dopo essersi sganciato dall’imbracatura di sicurezza per meglio eseguire i lavori di sua competenza, atteso che le modalità esecutive da lui adottate rientravano nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quanto ritengono di aver acquisito competenza ed abilità nelle proprie mansioni; Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità – in ordine al reato di cui all’art. 590 c.p., comma 3, – dell’imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere; Sez. 4, n. 23292 del 28/4/2011, Millo ed altri, Rv. 250710 che ha precisato essere abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli).
Costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l’osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile.
Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente(14).
IL RISCHIO INTERFERENZIALE
Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e, tale logica, riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatrici, a lavoratori autonomi all’interno dell’azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito del ciclo produttivo dell’azienda medesima.
Grava sul datore di lavoro, committente, l’obbligo di valutare i rischi derivanti dalle possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono in successione o contestualmente all’interno di un’area.
Molto spesso si genera confusione tra il DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) ed il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali).
In realtà, pur avendo degli elementi in comune, soprattutto per quanto riguarda il fatto che entrambi si basano sulla valutazione dei rischi presenti sul luogo di lavoro, ciascun documento ha caratteristiche, peculiarità e campi di applicazione differenti.
Il DUVRI fa riferimento all’art. 26 del D.Lgs 81/08, inerente gli obblighi legati ai contratti d’appalto, d’opera o di somministrazione.
Nello specifico, si tratta di un documento che deve racchiudere le misure da adottare per evitare o ridurre al minimo i rischi da interferenze (quindi non riguarda direttamente i rischi legati all’attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo).
Il Documento di Valutazione dei Rischi Interferenziali va allegato al contratto d’opera o di appalto ed è un documento dinamico:
- va adeguato in base all’evoluzione dei lavori/servizi svolti e condiviso con tutti i soggetti coinvolti (sia in fase di avvio che, durante il progetto nel caso di variazioni).
Il DUVRI è un documento obbligatorio quando le attività dell’appaltatore avvengono nello stesso luogo e nello stesso momento in cui si stanno svolgendo le attività aziendali (sincronia spaziale e temporale).
L’obbligo non si applica, invece, a:
- appalti di servizi di natura intellettuale;
- forniture di materiali o attrezzature;
- lavori o servizi di durata non superiore a cinque uomini/giorno, a meno che non comportino rischi di incendio di livello elevato o presenza di agenti cancerogeni, biologici o atmosfere esplosive.
La redazione del DUVRI è responsabilità del datore di lavoro committente dell’appalto, che raccoglie le informazioni dai singoli contraenti ed elabora un documento da trasmettere poi ai vari destinatari.
Nel caso in cui il datore di lavoro non coincida con il committente, è il soggetto che affida il contratto che deve occuparsi di redigere il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali.
A differenza del DVR, infatti, il DUVRI non è associato a un’azienda ma ad un’attività specifica (che coinvolge più soggetti).
Cambiano, dunque, anche le modalità di aggiornamento del documento, visto che per i rischi interferenziali andranno adeguati a seconda dell’andamento dei lavori o dei servizi.
Il Documento di Valutazione dei Rischi, invece, va rivisto in funzione delle modifiche e cambiamenti legati ai processi produttivi aziendali o, in caso di valutazioni specifiche con scadenza prefissata (come i rischi fisici – ad esempio rumore o vibrazioni – il cui aggiornamento va svolto ogni 4 anni).
Diversi sono, inoltre, anche i soggetti responsabili della redazione dei due documenti:
- per il DVR è sempre il datore di lavoro (che non può delegare tale attività, ma semmai affidarsi alla consulenza di un tecnico specializzato);
- per il DUVRI è il committente dell’appalto, che può coincidere o meno con il datore di lavoro.
La Suprema Corte ha precisato che, ai fini dell’attività di valutazione di coordinamento e cooperazione connessa al rischio interferenziale, ex art. 26 del D.Lgs. 81/08 occorre avere riguardo, inoltre, non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro – contratto di appalto, d’opera o di somministrazione, ma all’effetto che da tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza e coesistenza – come nella specie, di più organizzazioni, che genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni(15).
IN CONCLUSIONE
Il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro è assolutamente centrale e di primaria importanza per i risvolti che ha assunto in ambito societario, economico, sociale e giudiziario.
Da un decennio a questa parte, in conseguenza dell’aumento degli incidenti con esiti nefasti, le Procure della Repubblica (in particolare quelle più grandi e strutturate) si sono organizzate con l’istituzione di sezioni specializzate per il contrasto agli infortuni sul lavoro.
Ma, purtroppo, la repressione da sola non basta anzi, quando interviene la magistratura significa che si è verificato un reato ed è oramai troppo tardi.
Le associazioni di categoria, da parte loro, stanno facendo molto per sensibilizzare le imprese e diffondere la cultura della prevenzione unica vera arma di risoluzione del problema.
Bisogna evidenziare che, quando si parla di infortuni o malattie professionali dietro ogni evento si generano delle vere e proprie tragedie che ricadono non solo sui lavoratori ma, anche e soprattutto, sulle loro famiglie.
Inoltre, gli infortuni o le malattie professionali hanno ripercussioni sull’intera collettività che deve farsi carico delle cure e dell’assistenza ai lavoratori e alle famiglie dei superstiti.
Un infortunio genera costi diretti e indiretti:
1) I costi diretti sono la diretta conseguenza dell’incidente, dell’infortunio o della malattia professionale:
- costi medici per l’infortunato (spese ospedaliere, consulti medici, riabilitazione, medicinali);
- integrazione dei salari per la quota non coperta da assicurazioni;
- danni subiti dai mezzi di produzione (macchinari, attrezzature, edifici, veicoli);
- valore della produzione per le interruzioni causate da incidenti;
- eventuale perdita di produttività del lavoratore infortunato dopo il suo ritorno al lavoro.
2) I costi indiretti, invece, sono più difficili da calcolare poiché non sono la diretta conseguenza dell’infortunio ma, si generano in conseguenza dello stesso.
Costi indiretti possono essere:
- la riduzione o il blocco totale della produzione per il sequestro del sito produttivo;
- gli scioperi da parte dei lavoratori quale conseguenza dell’elevata frequenza degli infortuni;
- costi degli straordinari necessari a recuperare il tempo perso a seguito dell’incidente e dell’assenza dei lavoratori infortunati;
- costo delle attività di indagine, compilazione di verbali e rapporti con le autorità di controllo;
- costi delle sanzioni irrogate e degli eventuali processi penali;
- costi di retraining, e di recruiting nel caso in cui ai lavoratori infortunati venga modificata la mansione, a causa dell’elevato turnover del personale che sempre si verifica in ambienti di lavoro poco sicuri.
Tutto ciò dovrebbe spingere gli imprenditori a far sì che la prevenzione diventi la regola ma, allo stato, la sicurezza sui luoghi di lavoro, come del resto tutta la compliance in generale è vista come un inutile appesantimento burocratico, un costo di cui fare volentieri a meno senza pensare minimamente che, lo pseudo-risparmio di oggi potrebbe avere un costo altissimo domani allorquando si dovesse verificare un infortunio.
I tempi sono oramai maturi per dare una svolta concreta al mondo delle imprese e passare dalle parole (industria 4.0.) ai fatti sicurezza, compliance, assetti organizzativi adeguati, modelli 231, se vogliamo che l’impresa di oggi resista ai cambiamenti epocali in atto.
3/3
Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Corte di Cassazione, Sentenza n. 38343 del 18/09/2014 – caso ThyssenKrupp
(1) D. Lgs. 231/2001 – Responsabilità amministrativa degli Enti
(2) Sez. 4, n. 41707 del 23 settembre 2004, Bonari, Rv. 230257; Sez. 4, n. 6486 del 3 marzo 1995, Grassi, Rv. 201706
(3) cfr. in tal senso Sez. 3, n. 26271 del 7/5/2019, Roscio, Rv. 276043
(4) cfr. Sez. 4, n. 27787 del 8/5/2019, Rv. 276241
(5) Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079
(6) Sez. 4, n. 11112 del 29 novembre 2011, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729
(7) Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015, 11Vallani, Rv. 265178
(8) Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016, Morini, Rv. 266860
(9) Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 259219
(10) Sez. 4, Sentenza n. 49593 del 14/06/2018 Ud. (dep. 30/10/2018) T., Rv. 274042
(11) Sez. 4, n. 27787 del 08/05/2019, Rossi, Rv. 276241
(12) Sez. 3, n. 16498 dell’8/11/2018 dep. il 2019, Di Cataldo, Rv. 275560
(13) Sez. Un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222138
(14) Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321
(15) Cassazione penale, sezione IV, sentenza 23 ottobre 2020, n. 29442
in senso conforme:
Cass. pen. sez. IV, 7 gennaio 2016, n. 18200
Cass. pen. sez. IV, 17 giugno 2015, n. 44792
Cass. pen. sez. IV, 22 aprile 2015, n. 24445
Cass. pen. sez. IV, 12 marzo 2015, n. 14167
Cass. pen. sez. IV, 11 luglio 2012, n. 37992