L'ICT nella PA: driver di innovazione o rischio "non governato"?

L’ICT nella pubblica amministrazione: driver di innovazione o rischio “non governato”?

22 settembre 2021

di Giuseppe NUCCI

Nella pubblica amministrazione l’informatica non solo è erroneamente in genere considerata come una semplice “commodity” – e posta in secondo piano rispetto alle logiche dell’adempimento amministrativo – ma, soprattutto, è spesso vista come un “mondo a parte”, popolato da personaggi originali, talvolta strambi, con approcci e punti di vista propri.

«Brave persone, sì, ma purtroppo sono a digiuno di diritto! È come se a discutere sull’ultima finale di Champions League fosse invitato un esperto in… lancio del peso».

Uno degli spettacoli più bizzarri è senz’altro quello di vedere interagire gli informatici con gli altri pubblici interni: linguaggi, schemi logici, approcci operativi, priorità e metodi quasi antitetici. Basta osservare lo sviluppo di una riunione e leggere i successivi meeting report: l’impressione è che ci si stia riferendo a eventi diversi!

Tutto ciò impatta a livello strutturale e sistemico. Per fare un esempio, si parla spesso di tensione al risultato e, in linea di principio, sono tutti d’accordo che si tratta di una pulsione che deve essere condivisa da tutti i componenti di qualsiasi organizzazione. Ma se chiediamo qual è il risultato a cui tendere, scopriremo che il concetto è tutt’altro che condiviso. Per i tecnologi (tranne quelli riconvertiti) è un prodotto da misurare con indicatori predeterminati, per i giuristi è un provvedimento con cui – spesso attraverso il parametro della conformità normativa – trasmettere istruzioni, interpretazioni, valutazioni e decisioni (che, peraltro, non sempre contribuiscono a fare chiarezza).

Per i primi il successo dipende dall’output mentre per i secondi dalliter procedimentale, e cioè dal poter affermare la legittimità dell’operato verificabile in concreto in caso di contenzioso (il “risultato”, in questo caso, riveste un significato secondario).

Questo stato di cose costituisce una delle cause che impediscono, di frequente, alle amministrazioni di operare in maniera adeguata, eliminando sprechi e inefficienze e sostituendo modalità operative risalenti – sicuramente valide all’epoca in cui sono state adottate – con nuovi modi di operare in grado di valorizzare le eccezionali possibilità che l’innovazione tecnologica mette a disposizione.

Al riguardo, però, voglio chiarire che le due famiglie professionali, a mio avviso, sono entrambe essenziali: ciò che manca è l’integrazione tra le due tipologie di saperi.

Ma oltre alla criticità rappresentata dalla difficoltà di conciliare il “diritto amministrativo con il sapere scientifico-manageriale”, è ugualmente significativa quella che in quest’ultimo campo (quello scientifico-manageriale) è costituita dalla contrapposizione tra approccio tecnico-smanettone con quello organizzativo!

Questo vulnus produce i suoi effetti più deleteri nella fase di analisi in cui l’esigenza da soddisfare – da molti definita come il ‘problema’ – è traguardata quasi esclusivamente attraverso un’ottica tecnico-operativa, nella pressoché assenza di altri punti di vista idonei a fornire una visione di alto livello, integrata, di tutti gli aspetti di rilievo, a partire dall’esatta definizione dei bisogni da soddisfare.

E, forse non è un caso che – rispetto all’incapacità di cogliere i vantaggi dell’informatizzazione – più che all’inerzia, la responsabilità deve molto spesso attribuirsi alla diffusa prassi di realizzare, ad esempio, applicazioni informatiche senza sapere esattamente quali sono le esigenze da soddisfare, i vincoli da rispettare, i risultati attesi, le sinergie da realizzare e, cioè, «cosa serve» e, quindi, «cosa dobbiamo fare»!

Di converso, tornando al contesto giuridico, troviamo due ulteriori decisive criticità, riscontrabili peraltro in tutti i settori in cui si manifesta l’agire amministrativo, e cioè la pessima qualità del drafting normativo e la farraginosità delle procedure amministrative.

Mettere a sistema le disposizioni su attori, attività e competenze riguardanti il settore ICT (Codice dell’amministrazione digitale – CAD, Agenzia per l’Italia Digitale – AGID, Consip S.p.A., Codice dei contratti pubblici, Piano triennale dell’informatica nella pubblica amministrazione, ecc.), costituisce un esercizio di particolare difficoltà in quanto le norme:

✓  sono espresse con forme involute e con tecnicismi complessi che determinano una non agevole comprensione;

✓  sono disperse in una miriade di provvedimenti eterogenei e disorganici (vecchie leggi finanziarie, decreti legislativi, decreti ministeriali, linee guida, ecc.), e cioè con modalità ben lontane dalla logica dei testi unici;

✓  contengono procedure, meccanismi e prescrizioni molto farraginose, spesso poco efficienti ed efficaci (sarebbe, forse, meglio dire: inutilmente complicate!).

Inadeguatezza e limiti legati a visioni culturali, ai necessari livelli qualitativi e quantitativi di competenza “aziendale” ed al quadro normativo costituiscono, dunque, le ragioni che impediscono alla pubblica amministrazione di cogliere i benefici di quello straordinario strumento – indispensabile per dare effettività ai concetti di innovazione e di performance – rappresentato dall’ICT.

Per invertire questa situazione, occorre partire dalla necessità di capire «cosa dobbiamo fare», magari con uno sguardo rivolto alle priorità.

Spesso vengono utilizzati criteri eccessivamente empirici ed emergenziali, riconducibili a tre diverse tipologie: le richieste pressanti degli utenti interni – «mi serve…» – tanto più convincenti quanto più elevato è il livello gerarchico del richiedente (!); gli obblighi normativi: «se non lo facciamo siamo nei guai…»; le prassi: «mi ricordo che quando l’ho fatto, ha funzionato!».

In verità c’è un altro inconfessato criterio, purtroppo molto usato anche se nefasto: «forza, che abbiamo soldi da spendere e non sappiamo come!».

Se però vogliamo affrontare la questione in termini corretti, dobbiamo fare riferimento ad una vera e propria metodologia di asset management.

Questo approccio consente di:

✓  definire il sistema informativo target dell’amministrazione in termini di beni e servizi ICT, per lo sviluppo di applicazioni software ed infrastrutture tecnologiche di supporto;

✓  pianificare – attraverso il piano triennale dell’informatica – gli interventi necessari per l’integrale implementazione del sistema informativo target;

✓  avviare e monitorare gli interventi in precedenza definiti anche al fine di assicurare la loro conformità agli obiettivi esplicitati nel piano triennale dell’informatica.

Sotto il profilo operativo, l’asset management utilizza:

✓  un modello concettuale che consente di definire, per ogni oggetto ICT, classi logiche in cui catalogare le informazioni ritenute significative;

✓  un’applicazione informatica che consenta di gestire ed elaborare le informazioni del modello concettuale.

Attraverso il modello concettuale, sostanzialmente, ad ogni oggetto ICT (il c.d. atomo) viene collegata una serie di attributi indispensabili per la sua progettazione e realizzazione.

L’insieme degli oggetti ICT definisce il sistema informativo target e ciò permette di stabilire:

✓  cosa abbiamo;

✓  se quello che abbiamo è adeguato;

✓  «cosa ci manca».

Quindi, finalmente, siamo nelle condizioni di sapere «cosa dobbiamo fare»!

Come già precisato, spesso questa impegnativa e complessa attività – che consiste in una serie di operazioni piuttosto onerose riferite all’acquisizione di dati ed informazioni (attraverso esami documentali, interviste, questionari, ecc.) e, successivamente, alla loro elaborazione ed analisi – viene saltata a piè pari mentre, quando è svolta, genera, come output, un documento.

A questo punto, però, si pone uno dei problemi più diffusi e seri che impattano trasversalmente su ogni attività tesa a razionalizzare e ad organizzare: la manutenzione dei sistemi realizzati, spesso riconducibile all’aggiornamento dei dati e delle informazioni su cui tali sistemi poggiano.

Il documento generato, infatti, nei casi più lungimiranti, è realizzato mediante “fogli mobili”, per favorire una rapida sostituzione delle parti da aggiornare ma, in realtà, tale soluzione risulta insufficiente in quanto questo poderoso supporto in breve termine va ad alimentare la ricca collezione di documenti non aggiornati, e quindi inutili, che vengono poi rapidamente abbandonati in qualche armadio.

Per evitare che questo accada è quindi necessario che si realizzi un applicativo che consenta di superare i limiti del “modello documentale cartaceo” – rappresentati soprattutto dalle modalità di accesso, di aggiornamento e di consultazione basate su una logica sequenziale piuttosto che puntuale e interattiva – in grado di supportare la navigazione ipertestuale e “multidimensionale”, ossia permetta di disporre di viste di interesse aggregate o disaggregate.

Riassumendo, occorre censire, sistematizzare e realizzare un applicativo per avere una situazione sempre aggiornata.

In conclusione, come spero di aver evidenziato con queste sintetiche considerazioni, anche uno strumento di eccezionale potenzialità in termini di efficacia, efficienza ed economicità, può rivelarsi una criticità da gestire come un vero e proprio rischio, con tanto di “piano d’azione” e “follow up”.

Ancora una volta il presidio di controllo più adeguato risulta essere la… capacità organizzativa e manageriale!

 



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