Con il Decreto Legislativo n. 75 del 14 luglio 2020(1) è stata recepita nell’ordinamento italiano, la Direttiva (UE) 2017/1371 (cd. Direttiva PIF) del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017,(2) recante norme per la “lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale”.
L’attuazione della suddetta Direttiva costituisce un ulteriore passo del percorso di armonizzazione delle misure in materia di tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea, iniziato con la ratifica ed esecuzione della legge n°300/2000, attraverso la quale, nel nostro ordinamento, è stata introdotta la responsabilità penale (rectius amministrativa) anche in capo alle persone giuridiche, meglio nota come D.Lgs. 231/2001(3).
Prima di affrontare la questione sotto l’aspetto sia giuridico che, pratico è necessario un breve e succinto excursus per comprendere cosa sia la direttiva PIF.
La direttiva PIF il cui acronimo significa (Protezione Interessi Finanziari) venne definitivamente approvata il 5 luglio 2017 ed ha lo scopo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione Europea. La direttiva UE 2017/1371 si inserisce in un settore – quello della tutela degli interessi finanziari UE – che ha sempre goduto di una particolare attenzione da parte dell’Unione (e, prima, delle Comunità) europea: presidiare il proprio budget risulta essenziale affinché gli obiettivi delineati dai Trattati possano essere validamente realizzati.
A questo fine, è necessario che l’Unione possa proteggere il proprio bilancio da ogni forma di aggressione fraudolenta che comporti indebiti benefici per gli autori di tali reati e un grave vulnus agli interessi finanziari.
Già nel 1995 sono stati adottati, pur sulle diverse basi giuridiche allora esistenti (art. 235 TCE per il regolamento e art. K.3 TUE per la convenzione, ovviamente secondo le versioni dei trattati all’epoca vigenti), due atti di portata assai rilevante:
- nel luglio di quell’anno è stato assunto, dal Consiglio, un atto contenente la proposta di Convenzione relativa alla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee, poi sottoscritta e divenuta nota sotto l’etichetta di Convenzione PIF;
- nel mese di dicembre, invece, il Consiglio ha adottato il Regolamento (CE, EURATOM) n. 2988/95, con cui si stabiliva un sistema di sanzioni amministrative a presidio delle finanze comunitarie.
In particolare, la Convenzione PIF rispondeva allo scopo di lottare, a mezzo di sanzioni penali, contro le azioni criminose e fraudolente consumate a livello transnazionale, ormai notevolmente accresciute per volume, si pensi alle c.d “frodi carosello” in materia di IVA.
Sebbene tale nuovo strumento dettagliasse le condotte e le omissioni che costituiscono frode nei confronti del bilancio comunitario (art. 1) e esigesse (art. 2) almeno nei casi di frode grave – quelle il cui ammontare superi i cinquantamila euro – l’irrogazione di pene privative della libertà personale, per una pluralità di motivi – legati, in particolare, alla natura convenzionale dello strumento adottato – ben evidenziati, nel 2004, dalla Commissione nella sua relazione sull’applicazione di tale atto, ancora non era stato «soddisfatto efficacemente il fabbisogno specifico di tutela penale degli interessi finanziari delle Comunità».
Sin dai primissimi tempi successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Commissione ha palesato, mediante apposita comunicazione, la COM (2011) 293, il proprio intento verso una «politica integrata volta a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea attraverso il diritto penale […] coerente, credibile ed efficace», a fronte del fatto che «l’ampia gamma [di] sistemi giuridici rende particolarmente difficile» la protezione di tale bene giuridico.
Un intervento più penetrante è stato reso possibile dal riconoscimento di più incisive competenze all’UE, non soltanto nel settore del ravvicinamento delle disposizioni di diritto penale sostanziale (art. 83 TFUE), ma, soprattutto, nella specifica materia della protezione degli interessi finanziari dell’Unione (art. 325 TFUE), rispetto alla quale non opera più il divieto di introdurre disposizioni che riguardino l’applicazione del diritto penale nazionale, come in precedenza disponeva l’art. 280, par. 4, TCE(4).
Il Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2020 ha approvato, su proposta del Ministro per gli affari europei Vincenzo Amendola e del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, il decreto legislativo di attuazione della direttiva UE n. 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.
Con questa direttiva si vuole armonizzare il diritto penale degli Stati membri per i tipi di condotte fraudolente più gravi nel settore finanziario e, garantire la tutela degli interessi finanziari dell’Unione ai sensi del diritto amministrativo e del diritto civile.
Di conseguenza, sono sostituite le precedenti convenzioni e inoltre viene modificata la disciplina dei reati tributari sulla responsabilità amministrativa delle società per i reati commessi dalle persone fisiche nel loro interesse o vantaggio.
Tra le maggiori novità con il decreto:
- si prevede di punire anche le ipotesi di delitto tentato (e non solo consumato) per i reati fiscali che presentano l’elemento della transnazionalità, se l’imposta IVA evasa non sia inferiore a 10 milioni di euro;
- si amplia il catalogo dei reati tributari per i quali è considerata responsabile anche la società (ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001) includendovi ora i delitti di dichiarazione infedele, di omessa dichiarazione e di indebita compensazione;
- si estende la responsabilità delle società anche ai delitti di frode nelle pubbliche forniture, al reato di frode in agricoltura e al reato di contrabbando, modulando la sanzione a seconda che il reato ecceda o meno la soglia di 100.000 euro.
Si è ampliato il panorama dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui possono rispondere le società, includendovi il delitto di peculato e quello di abuso d’ufficio.
Infine, il decreto interviene su alcune fattispecie di corruzione, includendovi anche i casi in cui siano sottratti denaro o utilità al bilancio dell’Unione o ad altri suoi organismi, con danno superiore a 100.000 euro con la pena massima aumentata fino a 4 anni di reclusione e si estende la punibilità a titolo di corruzione dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all’Unione europea, quando i fatti ledono o pongono in pericolo gli interessi finanziari dell’Unione.
Da quanto innanzi esposto, si evince in maniera chiara ed incontrovertibile la volontà del legislatore italiano di imprimere una decisa accelerata al contrasto dell’evasione fiscale e delle frodi in ambito tributario anche e soprattutto perché, mutuando una famosa frase “ce lo chiede l’Europa”.
Il recepimento della direttiva PIF, non ha avuto però l’effetto travolgente che ci si aspettava in un primo momento poiché, si è innestata in un solco già tracciato che ha visto un’importante svolta con l’adozione dell’art. 39, comma 1, del d.l. 124/2019(5) convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, che ha elevato le pene della maggior parte dei reati tributari previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74(6).
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Intervento di Cipriano FICEDOLO – Avvocato Penalista d’Impresa
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(4) Fonte: M. Aranci (2017), La direttiva (UE) 2017/1371 del 5 luglio 2017: la protezione degli interessi finanziari UE mediante il diritto penale, www.rivistaeurojus.it
(5) D. L. 26-10-2019, n. 124 – Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili