Il recepimento della direttiva PIF(1), non ha avuto però l’effetto travolgente che ci si aspettava in un primo momento poiché, si è innestata in un solco già tracciato che ha visto un importante svolta con l’adozione dell’art. 39, comma 1, del d.l. 124/2019(2) convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, che ha elevato le pene della maggior parte dei reati tributari previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74(3).
Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000) che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi (di seguito II.RR) o sul valore aggiunto (di seguito I.V.A.), indichi in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, vale a dire registrandoli nelle scritture contabili obbligatorie o detenendoli a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria, è ora sanzionato con la pena della reclusione da 4 a 8 anni (precedentemente la pena era da 1 anno e 6 mesi a sei anni).
Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) che consiste nel fatto di chi, fuori dei casi previsti dall’art. 2, al fine di evadere le II.RR. o l’I.V.A., indichi in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, avvalendosi di documenti falsi (vale a dire registrandoli nelle scritture contabili obbligatorie o detenendoli a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria) o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria ovvero compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila,
è ora punito con la reclusione da tre a otto anni (la cornice sostituita era da un anno e sei mesi a sei anni).
Il reato di dichiarazione infedele (art. 4), che consiste nel fatto di chi, fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, al fine di evadere le II.RR e l’I.V.A., indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a)l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 100.000 euro; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a 2 milioni di euro, è ora punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi (la pena precedente era da uno a tre anni).
Anche la pena del reato di omessa dichiarazione (art. 5), che consiste (comma 1) nel fatto di chi, al fine di evadere le II.RR. e l’I.V.A., non presenti, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a 50.000 euro e (comma 1-bis) nel fatto di chi non presenti, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50.000 euro, è stata elevata la pena è passata da due a cinque anni, contro la precedente da un anno e sei mesi a quattro anni.
Il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), che consiste nel fatto di chi, al fine di consentire a terzi l’evasione delle II.RR o dell’I.V.A., emetta o rilasci fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, valgono le stesse considerazioni svolte con riguardo alla frode tributaria di cui all’art. 2, è ora punito con la pena della reclusione da 4 a 8 anni (la pena precedente era da 1 anno e 6 mesi a sei anni).
Infine, si è inserito il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), che consiste nel fatto di chi, salvo che il fatto costituisca più grave reato, al fine di evadere le II.RR. o l’I.V.A., ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulti o distrugga in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
Anche in questo caso c’è stato un inasprimento delle pene da tre a sette anni di reclusione contro un anno e sei mesi a sei anni di prima.
Ma la novità maggiore è data dal fatto che, i reati tributari sono stati inclusi nel catalogo del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231(4), in particolare nel nuovo art. 25-quinquisdecies (art. 39, comma 2).
In particolare, in relazione alla commissione dei delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, si applicano all’ente:
- la sanzione pecuniaria fino a 500 quote per i reati di cui all’art. 2, comma 1, all’art. 3, all’art. 8, comma 1;
- la sanzione fino a 400 quote per le ipotesi attenuate di cui all’art. 2, comma 2-bis e all’art. 8, comma 2-bis, nonché per il reato di cui all’art. 10 e per i reati di cui all’art. 11.
Se, in seguito alla commissione di uno di tali reati, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo e si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, lett. c (divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio), d (esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi) ed e (il divieto di pubblicizzare beni o servizi). E, come è risaputo, la confisca, anche nella forma per equivalente, è contemplata altresì nei confronti degli enti (art. 19, comma 2, d.lgs. n. 231/2001), in ipotesi di condanna per l’illecito derivante da reato commesso dalla persona fisica nell’interesse o a vantaggio dell’ente medesimo.
Inoltre, con l’introduzione dei reati tributari nel catalogo dei reati presupposto ex D.L.gs. 231/2001, sarà, quindi, possibile procedere:
- alla “confisca diretta” o
- alla “confisca per equivalente” del patrimonio dell’ente ex art. 19 del d.lgs. n. 231/2001, nonché
- al sequestro preventivo di cui all’art. 53 dello stesso decreto.
Da quanto innanzi ampiamente esposto si può notare come il legislatore italiano abbia dimostrato in maniera lapalissiana la concreta volontà di stroncare l’evasione fiscale ed i reati in materia tributaria.
L’inasprimento delle pene edittali, in alcuni casi l’innalzamento dei termini di prescrizione, unitamente alla confisca sia diretta che, per equivalente hanno consegnato ai magistrati ed alle forze dell’ordine, in particolare la Guardia di Finanza, degli strumenti validi ed efficaci per contrastare la lotta all’evasione fiscale ed alle frodi finanziarie.
In ambito societario oggi è divenuto assolutamente necessario adottare un valido modello organizzativo di gestione dell’impresa da non confondere con il classico modello organizzativo ex D.L.gs. 231/2001.
Con la riforma del Codice della crisi d’impresa(5) il legislatore introduce una sostanziale riforma dell’art. 2086 c.c. aggiungendo un secondo comma che statuisce:
- “l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
In buona sostanza, si introduce un vero e proprio obbligo per l’imprenditore di adottare degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili finalizzati a monitorare, ed eventualmente, rilevare situazioni patologiche che potrebbero sfociare anche nella crisi dell’impresa.
Questo nuovo modus operandi è una rivoluzione copernicana in ambito societario giacché, prima d’ora l’imprenditore era definito il capo dell’impresa e da lui dipendevano gerarchicamente i suoi collaboratori; con l’introduzione del comma 2 all’art. 2086 C.C. ai poteri dell’imprenditore si sono affiancanti una serie di doveri di non poco conto, ovvero di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa che non sono solo funzionali a prevenire una eventuale crisi d’impresa.
L’aver previsto degli strumenti di allerta finalizzati a prevenire un’eventuale crisi d’impresa non sono circoscritti al solo ambito economico, come potrebbe immaginarsi ad una lettura superficiale della normativa ma, bensì, coinvolgono le diverse funzioni di controllo aziendali, ove presenti.
Di conseguenza, è quanto mai necessario che l’azienda si strutturi in termini tali da garantire la sussistenza di adeguati flussi informativi, tempestivi, fedeli ed affidabili, che vadano dal titolare del potere di gestione e direzione aziendale all’organo di controllo ed al revisore, giacché la corretta, completa e tempestiva disponibilità dell’informazione è, a ben vedere, elemento imprescindibile per l’efficace esercizio di qualunque attività di controllo e quindi si può ragionevolmente affermare che un assetto organizzativo può dirsi adeguato soltanto qualora consenta un’efficace elaborazione e trasmissione delle informazioni.
Orbene, questo ridisegno della governance societaria per una efficace gestione anticipata del rischio rappresentato dall’insorgenza di una crisi suscettibile di sfociare in una insolvenza non più rimediabile presenta evidenti affinità con l’approccio che caratterizza la disciplina della responsabilità da reato dell’ente prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001(6).
In definitiva, stante la situazione innanzi descritta è assolutamente necessario che le imprese (rectius amministratori, sindaci, management, revisore) si decidano che non possono più fare a meno di dotarsi adeguati assetti organizzativi finalizzati ad una sana e prudente gestione d’impresa.
In mancanza, le sanzioni non tarderanno ad arrivare sia per le persone fisiche che, per quelle giuridiche visto che, il legislatore ha fortemente inasprito le pene e dotato gli organi investigativi di poteri molto invasivi finalizzati a far rispettare le regole.
È giunto il momento di affidarsi a professionisti seri e preparati che possano affiancare gli amministratori per farsi sì che, le aziende adottino una Corporate Governance con regole certe e processi standardizzati al fine prendere le decisioni in un’azienda, fissare gli obiettivi e valutare risultati raggiunti in una prospettiva di lungo periodo.
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Intervento di Cipriano FICEDOLO – Avvocato Penalista d’Impresa
LEGGI QUI l’articolo precedente 1/2, La Direttiva PIF: applicazioni concrete in ambito societario
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Direttiva (UE) 2017/1371 del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale
(2) D. L. 26-10-2019, n. 124 – Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili
(5) D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14
(6) Fonte: C. Santoriello, E. Perusia (2020), Dal modello organizzativo 231 agli adeguati assetti richiesti dal Codice della crisi e dell’insolvenza, www.ilsocietario.it