Con l’avvio della Direttiva Europea 2022/2464 (CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive)(1) ci si avvia, per le imprese coinvolte, all’obbligo normativo di dover dare ampia informativa circa gli impatti da e verso l’ambiente circostante, cioè la cosiddetta analisi della doppia materialità.
Un concetto non completamente nuovo, essendo già inserito implicitamente anche nella precedente normativa NFRD (Non-Financial Reporting Directive – Direttiva 2014/95/EU), e ripreso, sempre implicitamente, anche in altre normative europee, come la c.d. “Supply Chain” (CSDDD – Corporate Sustainability Due Diligence Directive), la quale richiederà alle imprese di valutare gli impatti, lungo l’intera catena del valore, sulle questioni ambientali e sociali.
Inoltre, in un precedente articolo(2), era già stata trattata questa tematica, facendo riferimento all’esistenza, nell’attuale normativa nazionale, dei previsti obblighi per le imprese di analizzare (es. art. 2086 del Codice Civile) e rendicontare (es. art. 2428 del Codice civile) i rischi potenziali che potrebbero riguardare l’organizzazione. È importante ribadire infatti, che la doppia materialità è un concetto strettamente legato alla gestione dei rischi ambientali (cambiamento climatico), sociali (diritti umani, salute e sicurezza, ecc) e di governance (corruzione e rispetto delle normative).
In questo scritto, ci si vuole invece focalizzare sul concetto stesso di doppia materialità, che, insieme al coinvolgimento degli stakeholder, si potrebbe considerare come il punto di partenza di tutto il processo che porterà a redigere un rendiconto di sostenibilità veritiero e trasparente, oltre che dimostrabile e ripercorribile, evitando il rischio greenwashing (anch’esso già trattato in precedenti occasioni)(3) e comporamenti controproducenti come il greenhushing(4). Infatti, l’analisi di materialità non può esimersi dal tener conto del contesto in cui l’impresa opera e, di conseguenza, dei soggetti con i quali essa interagisce, rendendola unica per ogni organizzazione e, in linea generale, non replicabile. Inoltre, il processo dovrà essere continuo al fine di adeguare continuamente l’elenco dei rischi individuati.
Per comprendere meglio il concetto di materialità, conviene far riferimento al principio ESRS 1, che definisce un effetto:
- “rilevante dal punto di vista dell’impatto quando riguarda gli impatti dell’impresa (negativi o positivi, effettivi o potenziali) sulle persone o sull’ambiente a breve, medio o lungo termine” (rilevanza dell’impatto) e/o
- “rilevante da un punto di vista finanziario se comporta o si può ragionevolmente ritenere che comporti effetti finanziari rilevanti sull’impresa” (rilevanza finanziaria).
Inoltre, il perimetro di analisi deve riguardare ogni operazione aziendale, facendoci così rientrare anche tutti i rapporti commerciali (supply chain) o dei prodotti (es. life cycle assessment). Diventa quindi necessario calcolare gli effetti negativi e la probabilità che essi possano effettivamente accadere, così come valutare gli effetti positivi di determinati comportamenti. Tutte queste valutazioni rientreranno in un report finale che riepilogherà tutte le valutazioni effettuate e che verrà inserito all’interno del report di sostenibilità. Un processo assolutamente non semplice e per il quale l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) ha pubblicato già alcune guide, seppur in bozza.
Come già accennato, non esiste (e non potrebbe essere diversamente) un’analisi replicabile per ogni impresa; pertanto, il processo per l’analisi della Doppia Materialità dovrebbe tener conto di alcune fasi da percorrere in linea generale:
Comprensione del contesto di riferimento
In questa prima fase l’impresa dovrà individuare il perimetro entro il quale opera, inclusi tutti i soggetti rientranti nella sua supply chain, oltre che i suoi prodotti e servizi. Questa è forse la fase principale in quanto, se non correttamente delineato il perimetro, l’impresa potrebbe correre il rischio di non individuare potenziali impatti rilevanti. Sarà importante coinvolgere i vertici aziendali e successivamente l’intera organizzazione, ribadendo così il concetto di come la sostenibilità sia prima di tutto un fattore culturale dell’impresa.
Identificazione degli stakeholder e raccolta delle informazioni
Individuato il margine, l’impresa dovrà identificare le categorie di soggetti con i quali si relaziona, instaurando uno scambio continuo per raccogliere le informazioni circa le loro aspettative, la tipologia di rapporto instaurato e relazioni che si sono direttamente o indirettamente costituite.
L’attenzione alle esigenze degli stakeholder sarà molto importante, in quanto permetterà all’impresa di migliorare la qualità del dato raccolto; un processo sicuramente oneroso nel primo periodo, ma che tenderà a migliorare nel corso del tempo.
Importante sottolineare come questi soggetti potranno essere sia esterni (esempio fornitori, clienti, enti locali) che interni (esempio sindacati), così come i metodi di rilevazione potranno avvenire sotto diverse modalità, purché siano idonei a raccogliere dati qualitativamente buoni e verificabili.
Identificazione dei potenziali impatti e rischi
Sulla base delle informazioni raccolte, l’impresa dovrà quindi individuare i rischi potenziali a cui è sottoposta e la loro rilevanza, oltre all’individuazione degli impatti che essa stessa ha nei confronti del suo contesto di riferimento. Potrebbe risultare utile considerare le tematiche indicate dai principi di rendicontazione ESRS (es. cambiamenti climatici, inquinamento, risorse idriche, forza lavoro interna e esterna, condotte commerciali, ecc)
Tutti questi effetti dovranno, come anticipato, essere valutati e calcolati sulla base della loro probabilità di accadimento, danno potenziale e orizzonte temporale. Sarà inoltre necessario fissare delle soglie di rilevanza, oltre le quali un impatto si potrà considerare rilevante.
Considerando i forti legami tra i fattori ESG e altre normative nazionali (mod. 231 o art. 2086 del Codice Civile), l’analisi dei rischi potrebbe essere integrata anche da eventuali analisi già effettuate per altri scopi. Si potrebbe pertanto considerare come un ampliamento del risk management aziendale al fine di includere tutti quei rischi ambientali e sociali che potrebbero comportare impatti sul business dell’impresa.
Redazione della matrice di analisi
Solo al termine dell’analisi dei rischi precedenti, l’impresa sarà in grado di redigere la matrice della materialità e di darne informativa nel proprio rendiconto di sostenibilità. L’informativa dovrà essere chiara, trasparente e completa, sia perché sarà fondamentale per valutare l’importanza dei punti emersi e per agevolare il processo decisionale strategico, sia per dialogare con gli stakeholder circa gli impatti e i progressi in ambito sostenibilità, evitando così il rischio greenwashing. Sotto quest’ultimo aspetto, una matrice chiara e condivisa permette di evitare:
- a) rischi reputazionali, come la perdita di credibilità,
- b) rischi finanziari, dovuti alla riduzione di investitori o clientela, oltre che
- c) rischi legali per sanzioni e denunce.
Conclusioni
Concludendo, l’analisi della materialità si va ad inserire nella più ampia analisi del rischio già svolta dall’impresa. Un’analisi che dovrà focalizzarsi principalmente sui rischi ESG e che aiuterà l’impresa a migliorare la propria resilienza e, di conseguenza, garantendone una continuità futura del business, un migliore accesso al credito e di evitare i rischi legati al greenwashing. In altri termini, la doppia materialità diventerà progressivamente un fattore centrale per le imprese.
Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente all’Autore e non impegnano in alcun modo la responsabilità di Fintecna S.p.A.-Gruppo CDP
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Direttiva UE 2022/2464 – Direttiva Corporate Sustainability Reporting del 14 dicembre 2022
(2) A. MICOCCI (2024), “La sinergia tra ESG e modello 231”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(3) A. MICOCCI (2023), “Greenwashing e green claims”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it
(4) A. MICOCCI (2024), “Ma cosa è il Greenhushing?”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it