Quest’anno la Presidenza italiana del G20 si è posta come obiettivo prioritario la lotta alla corruzione.
L’esigenza improcrastinabile di aver posto tale obiettivo, evidentemente, è stata la conseguenza dell’analisi dei numeri sul fenomeno corruttivo internazionale e nazionale, in seguito alla pandemia da Covid-19.
Infatti, i dati del 2020 fotografano un quadro veramente allarmante tali da far considerare, ormai, il fenomeno nella sua interezza come una calamità sociale che sta mettendo, fortemente, a rischio la produttività e la competitività delle imprese nonché la crescita economica.
In Italia, per il G20, dal 29 marzo al giorno 1 aprile, ha avuto luogo il primo meeting del Gruppo di Lavoro Anticorruzione (ACWG, Anti-Corruption Working Group).
L’ACWG, come è noto, è un Gruppo di Lavoro del G20, a cui nell’alveo internazionale, viene attribuito quasi l’imprimatur di fulcro centrale di riferimento per indicazione delle politiche anticorruzione a livello globale.
Istituito dagli Stati membri del G20 a Toronto nel 2010, fino ad oggi, ha emanato principi e standards, linee guida e compendi sotto forma di policy. Gruppo che come fine precipuo si pone il creare una convergenza di programma di azione tra gli Stati membri al fine di sostenere l’applicazione di standards di comportamenti d’intervento per la lotta alla corruzione.
La Presidenza del Gruppo spetta allo Stato che presiede di volta in volta il G20 affiancato da una copresidenza. Conseguentemente, quest’anno presiede l’Italia con la copresidenza dell’India.
Il Gruppo di Lavoro Anticorruzione nella prima riunione appena trascorsa ha indicato come priorità l’obiettivo di acquisizione di una conoscenza più approfondita della corruzione attraverso metodologie al fine di comprendere le nuove forme di corruzione che si vanno affacciando nel panorama internazionale e nazionale in seguito all’emergenza sanitaria causata dalla Pandemia.
Il Gruppo di lavoro de quo ha ribadito che gli strumenti principali giuridici internazionali da considerare bussole di orientamento in materia di lotta alla corruzione rimangono:
- la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC, United Nations Convention against Corruption) e,
- la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale (UNTOC, United Nations Convention against Transnationa Organized Crime ).
Il Gruppo è coaudiuvato, tecnicamente, dall’OCSE, UNODC, Banca Mondiale, GAFI, FMI.
La presidenza italiana come prossimo atto intende dare l’incipit alla discussione sul Piano di Azione anti-corruzione 2022-2024 che terrà in debito conto i risultati della prossima Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla corruzione.
Inoltre, il G20 analizzerà, un Report specifico sul tema corruzione che è stato stilato nel 2019 da dati Global Forum on Transparency and Exchange of information for tax Purposes. Ovviamente, dati che oggi si dovranno considerare aumentati rispetto al report che è stato stilato nel 2019, in quanto la pandemia ha estremizzato la portata del fenomeno come sopra ricordato.
La pericolosità del fenomeno derivano dall’analisi dei dati dell’European Regional Competitiveness Index che confermano una percezione della corruzione che aumenta in modo preoccupante in tutta Europa, è ancor di più in Italia. Se i dati dell’European Index indicano la percezione del fenomeno, i dati del Word Economic Forum forniscono, invece, quelli reali e nel 2020 individuano che i costi generati dalla corruzione internazionale ammontano a 2.600 miliardi di dollari che rappresentano il 5% del PIL mondiale all’anno. La corruzione è diventata, pertanto, un virus sociale, che porta con sé, la prova assoluta dell’assenza dell’etica in chi la compie, che ottiene come risultato finale una perdita economica notevole perché mina la produttività ostacolando lo sviluppo economico delle imprese colpite, della società tutta, generando sempre di più diseguaglianza ed azzera di fatto i principi democratici.
Si ricorda, inoltre, che il Gruppo di Lavoro su Imprese e Diritti Umani istituito dal Consiglio dei Diritti Umani che a sede a Ginevra, lo scorso giugno ha adottato un report nel quale ha posto un espresso invito agli Stati a garantire attraverso legislazioni specifiche il pieno rispetto dei diritti umani da parte delle imprese per prevenire la corruzione in un periodo di forte crisi causato dall’emergenza sanitaria Covid-19.
Altresì, il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO, Groupe d’États contre la corruption) che è l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa, già la scorsa estate, aveva pubblicato le linee guida rivolta ai 50 Stati al fine di prevenire la corruzione nel contesto dell’epidemia soprattutto nel settore sanitario.
L’ OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – che già nel 1997 ha emanato la Convenzione per la lotta alla corruzione. Convenzione che ha dato origine, tra l’altro, al D.Lgs 231/01 in Italia. È rilevante che proprio l’OCSE, che ha un ruolo tecnico molto importante nel Gruppo di lavoro anticorruzione del G20, per far fronte al fenomeno preoccupante che sta incombendo, ha instituito proprio per la lotta alla corruzione il nuovo programma “Global Law Enforcement Response To Corruption in Crisis Situation”.
In questo panorama cosi inquietante, sta per iniziare l’attività giudiziaria la Procura Europea (EPPO, European Public Prosecutor’s Office) istituita con il Regolamento U.E. n 2017/ 1939, è, ufficialmente operativa dal 28 settembre 2020.
Il compito precipuo di questo organismo giudiziario, secondo la ratio del Regolamento, è quella di potere individuare, perseguire e rinviare a giudizio i reati che ledono gli interessi dell’U.E., tra questi vi è anche le fattispecie di corruzione attiva e passiva. È importante precisare che il Regolamento de quo nel 2017 è stato approvato soltanto da 20 Stati membri dell’U.E che sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Spagna e Slovenia. Nel 2018 hanno chiesto di aderire i Paesi Bassi e Malta. Quindi, oggi, sono membri della Procura Europea 22 Stati. Ma, in futuro, potrebbero aderirne altri a tale cooperazione.
La Procura Europea è un organismo senza precedenti nell’Unione Europea che funzionerà con una struttura molto complessa.
Infatti, questa opererà su due livelli:
- uno centrale con sede in Lussemburgo ed
- uno decentrato nei vari Stati con i vari delegati.
Il funzionamento decentrato, cioè nei vari Stati, agirà attraverso i procuratori nazionali che sono indicati dagli Stati come Procuratori Europei Delegati (PED). Infatti, tra le peculiarità, vi è la doppia investitura, in quanto:
- i PED saranno membri della magistratura dello Stato membro di appartenenza con ogni potere d’indagine, esercizio dell’azione penale ed individuazione del capo d’imputazione, previsto in conformità del diritto nazionale.
- Allo stesso tempo i PED costituiranno parte integrante della Procura Europea con poteri specifici e lo status ulteriore loro conferito alle condizioni previste e disciplinate da Regolamento.
Tutti gli Stati aderenti hanno già designato il proprio PED. Quindi la Procura Europea li ha già nominati.
Formalmente operativa dall’autunno scorso, come sopra indicato, con la nomina a primo Procuratore capo europeo della D.ssa Laura Codruța Kövesi. Magistrato romeno esperta di tematiche di anticorruzione. Interessante, sottolineare, che a guidare questo organismo ex novo, la cui istituzione assume indubbiamente una portata storica, sia proprio un magistrato donna.
Nel gennaio scorso, finalmente, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. nr. 9/2021 avente per oggetto le norme necessarie per potere adattare l’ordinamento giuridico nazionale al Regolamento U.E. 2017/1939. Anche se trattandosi di Regolamento, quindi con valore erga omnes, sarebbe dovuto entrare in vigore negli Stati aderenti al Regolamento senza bisogno di alcuna legge di adeguamento. Però, l’Italia, come altri Stati, ha dovuto legiferare per prevedere l’individuazione della figura del PED che, ovviamente, nel nostro ordinamento giudiziario mancava. Il D.Lgs. in questione ha stabilito, infatti, che la competenza ad individuare e designare candidati a PED sia il Consiglio Superiore della Magistratura.
Il Regolamento europeo in questione stabilisce che sia il Ministro della Giustizia, l’autorità competente a concludere l’accordo con il Procuratore capo europeo per il funzionamento decentrato nello Stato della Procura Europea. Il Ministro della Giustizia Marta Cartabia ha presentato al CSM una proposta dell’accordo con la Procura Europea per il futuro assetto organizzativo, numero, funzionale e territoriale della Procura Europea in Italia. Il Plenum straordinario del CSM, alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella lo scorso 23 marzo ha espresso parere favorevole alla proposta. L’ Accordo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del giorno 1 Aprile 2021.
È importante, sottolineare, però, che la Procura Europea funzionerà senza l’emanazione di un codice di procedura penale dell’Unione Europea.
Gli Stati aderenti si sono mossi in ordine sparso ed in modo disomogeneo tra di loro. Di seguito, alcuni esempi che dimostrano la differenza di adeguamento.
- La Spagna ha previsto una riforma dell’intero codice di procedura penale per adattare il sistema processuale a quello della Procura Europea.
- La Francia ha previsto l’introduzione della figura del PED nel codice di procedura penale.
- La Lituania ha inserito la Procura Europea nel codice.
- In Lussemburgo è stata approvata una modifica al codice di procedura penale per inserire procura europea.
- Altri Stati come l’Italia, Germania, Portogallo, Grecia non hanno previsto alcuna modifica al codice di procedura penale.
La Procura Europea è stata istituita con l’intenzione della difesa degli interessi che ledono l’Unione Europea, infatti, perseguirà i reati previsti dalla Direttiva Pif, reati di corruzione attiva e passiva e reati riciclaggio.
Ma, mancando uniformità tra tutti gli Stati, sorge spontanea una prima riflessione, ovvero se un organismo giudiziario di tale importanza, per funzionare con assoluto coordinamento tra tutti gli stati dell’U.E., non sarebbe stato facilitato dall’emanazione contemporanea di un codice di procedura penale dell’Unione Europea che ad oggi non vi è. Adesso emergeranno le differenze procedurali tra i vari Stati che potrebbero ostare alla speditezza dell’attività della Procura.
Differenze procedurali tra gli Stati all’interno dei loro ordinamenti sono tanti. Per esempio, in Italia vi è l’obbligatorietà dell’azione penale ai sensi dell’art.112 Costituzione, artt. 50 e 405 c.p.p. In altri Stati non è prevista. Per quanto riguarda la denuncia in Italia, in base al D.Lgs. di adeguamento si dovrà presentare in Italia e non direttamente presso la Procura Europea. Altresì, dal momento che sembra un complesso intreccio di competenze tra EPPO e Autorità nazionali, si potrebbe verificare il rischio d’ incorrere in duplicazioni d’indagini e conseguente timore di violazioni del principio del ne bis in idem.
Un altro elemento, ancora, invita alla riflessione. L’interpretazione del Regolamento deporrebbe verso la competenza della Procura, anche, ad indagare sulla responsabilità delle persone giuridiche, quindi non solo persone fisiche. Ma non tutti gli Stati hanno una normativa sulla responsabilità di Enti e Società, come il D.Lgs 231/01 che vige nel nostro ordinamento. Significa che una società o ente destinatari della 231, in Italia, pur non rientrando tra i destinatari e gli obblighi previsti dalla normativa anticorruzione 190/2012, nel nostro ordinamento, potrebbe essere indagata dalla Procura Europea anche per i reati afferenti alla corruzione riguardanti il catalogo ex art 231/01. Quindi, posto che l’interpretazione deporrà, per la conferma della competenza ad indagare anche le persone giuridiche, essendo tale Procura competente ai sensi del Regolamento anche per i reati di corruzione, andrebbero ad assumere rilievo, le modifiche e novità introdotte proprio dalla normativa anticorruzione 13/2019 che ne hanno esteso le condotte da sanzionare nell’art. 25 D.Lgs 231/01. La Procura Europea, quindi, potrebbe indagare, per i reati ai sensi dell’art. 25 della normativa 231, in tutti quei casi, in cui si configura corruzione attiva, quando cioè i soggetti apicali d’impresa di cui ex D.Lgs. 231/01 avrebbero agito come corruttori nei confronti dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi nell’interesse o a vantaggio della società.
Le riflessioni da porre sarebbero infinite, direi mare magnum. Penso che, in questo momento, sia più appropriato, però, usare l’espressione Manzoniana “ai posteri l’ardua sentenza”. Nel senso che sarà il tempo ad indicare, se realmente la Procura Europea riuscirà a funzionare bene, malgrado, questi gap suindicati, e riuscirà, pertanto, a raggiungere il fine per il quale è stata istituita, portando, in questo modo, un quid pluris a tutela degli interessi dell’Unione e nel caso di specie sopra analizzato, un quid pluris alla lotta della corruzione.