Le città del futuro tra pianificazione urbana e benessere sociale

Le città del futuro tra pianificazione urbana e benessere sociale

11 marzo 2024

di Giorgio IRTINO

I modelli urbanistici della maggior parte delle città oggi esistenti nelle nazioni che si sono sviluppate economicamente per prime sono ormai abbastanza datati; risalgono infatti all’epoca dell’industrializzazione (a cavallo tra il XIX e il XX secolo) e della conseguente migrazione dalle aree rurali in cerca di lavoro.

Le città hanno iniziato a sorgere intorno alle prime grandi fabbriche, con l’obiettivo di dare accoglienza alla nascente classe operaia quando ancora non erano disponibili infrastrutture e mezzi di trasporto sufficienti e alla portata di tutti e, quindi, la vicinanza era una necessità.

Successivamente, dopo la seconda guerra mondiale, molte di queste città hanno dovuto affrontare ricostruzioni e rinnovamenti che hanno favorito l’adozione di nuovi approcci alla pianificazione urbana, inclusa una maggiore attenzione alla decentralizzazione, alla creazione di spazi verdi pubblici e a una prima separazione tra aree industriali e aree residenziali e di servizi

In tempi più recenti, il forte aumento della popolazione e la sua concentrazione nelle aree urbane (alimentati anche dai fenomeni migratori contemporanei) hanno portato all’attenzione nuove problematiche legate:

  • alla disponibilità di abitazioni,
  • alla viabilità e al traffico,
  • all’inquinamento atmosferico,
  • alla progressiva deindustrializzazione con conseguente riconversione di aree dismesse,
  • all’aumentata domanda di servizi per migliorare la qualità della vita.

La risposta a queste nuove esigenze è maturata in due fasi successive.

  1. La prima è stata quella del ricorso alla tecnologia con il modello della smart-city, di cui si è cominciato a parlare già qualche decennio fa;
  2. la seconda è stata quella della tutela ambientale con il modello della sustainable-city, approccio che proprio in questi ultimi anni risulta essere di grande attualità.

In entrambi i casi i benefici ottenuti sono stati modesti e non hanno inciso significativamente sul cambiamento radicale dei modelli urbanistici ereditati dal passato.

Città smart e sostenibili: una rivoluzione incompiuta

Il tentativo delle amministrazioni comunali di trasformare le città con l’innovazione tecnologica si è scontrato con le difficoltà strutturali ed economiche che hanno fortemente limitato la diffusione su ampia scala di determinate soluzioni. Sul fronte invece della sostenibilità, i modelli concettuali come:

  • “la città dei 15 minuti”, oppure
  • “la zona 30 km orari”, oppure ancora
  • “la città a zero emissioni”

sono stati vissuti come imposizioni ideologiche che invece di risolvere problemi reali hanno creato forti contrapposizioni sociali complicando ulteriormente la già difficile vita quotidiana dei cittadini. A poco è servito anche il ricorso da parte degli organi politico-amministrativi delle città alle moderne visioni di rigenerazione e di ibridazione dei centri abitati proposte da architetti e urbanisti di fama internazionale, molto suggestive e avveniristiche ma quasi sempre scollegate da una concreta prospettiva di realizzabilità e di effettiva fruibilità funzionale.

Il problema è che una grande città nata e cresciuta secondo certi criteri, abitata da centinaia di migliaia di persone che ogni giorno si muovono per lavoro, per studio, per tempo libero, per necessità personali non può cambiare pelle dall’oggi al domani in modo semplice. Pensiamo soltanto a quanto sia difficile per esempio realizzare una metropolitana in una città dove esistono solo trasporti pubblici di superficie: ammesso che sia fattibile da un punto di vista edilizio e ingegneristico, quanti anni sono necessari per portare a compimento l’opera? A rischio che, quando terminata, le esigenze di trasporto per le quali era stata progettata siano nel frattempo cambiate e le tecnologie impiegate siano diventate obsolete! Senza contare l’ingente costo dei lavori, le lentezze burocratiche, le opinioni discordi e le immancabili polemiche di parte sulla reale utilità e sulle modalità realizzative. 

Il nuovo modello della città pianificata

Comincia quindi a farsi strada l’idea che piuttosto di tentare di trasformare le città esistenti sia più conveniente crearne delle nuove! Non è assolutamente un’idea insensata, anche solo per il motivo che la sopravvivenza di molte delle città attuali potrebbe essere seriamente minacciata dai cambiamenti climatici in atto: l’innalzamento del livello dei mari, per esempio, potrebbe cancellare entro pochi anni molti centri abitati presenti sulle coste. E poi è chiaro che costruendo una città completamente nuova la sua realizzazione potrebbe avvenire secondo i più avanzati modelli urbanistici, tecnologici, economici e sociali. Cosa peraltro in parte già sperimentata nel recente passato se pensiamo a città come Dubai, Shenzhen, Singapore, Hong Kong. Ma questo fenomeno si sta evolvendo in modo inaspettato:

  • oggi si ipotizza la creazione di città “di scopo” pensate e pianificate per rispondere a esigenze specifiche di portatori d’interesse (comunità etniche, aziende, investitori).

Si tratta di nuovi insediamenti urbani che possono sorgere su territori al momento inutilizzati ma favorevoli per posizione e risorse (definiti greenfield): a tale riguardo c’è una particolare attenzione per zone geografiche come l’India, l’Africa e alcune aree dell’America Latina, ma in generale per ogni sito che possegga i giusti requisiti. La progettazione dei centri abitati può prevedere il ricorso alle più avanzate tecnologie di edilizia, di efficienza energetica e di impatto ambientale, di gestione e di manutenzione degli immobili e degli impianti, di mobilità e di comunicazione; la qualità della vita può essere regolata mantenendo un’adeguata proporzione tra numero di abitanti, attività produttive e servizi. Ci sono addirittura studi molto futuristici che prevedono la possibilità di costruire una città galleggiante autosufficiente, in grado di spostarsi sulle acque del mare: il progetto è denominato “dogen city”, ideato dalla società giapponese N-ARK che ne prevede la realizzazione entro il 2030.

La Governance delle nuove città

Ovviamente il modello della città “di scopo” pone un grande problema di governance:

  • chi avrebbe diritto di creare delle città private,
  • da chi dovrebbero essere amministrate e
  • con quali regole?

Per cercare di dare una prima risposta a queste domande, nel 2017 è stato fondato il Charter Cities Institute, organizzazione no-profit la cui missione è quella di promuovere un nuovo modello di città a cui viene assegnata una giurisdizione speciale in grado di favorire uno sviluppo urbanistico innovativo accompagnato da crescita economica e prosperità sociale. Questo modello è stato espressamente pensato per favorire la crescita di un ambiente imprenditoriale competitivo, capace di attrarre investimenti, promuovere l’imprenditorialità e creare più posti di lavoro, gestire la rapida urbanizzazione, migliorare le infrastrutture e accelerare lo sviluppo economico nei paesi più poveri del mondo e, quindi, migliorare i mezzi di sussistenza dei residenti.

Uno scopo filantropico pienamente coerente con il raggiungimento complessivo degli impegnativi obiettivi fissati dall’Agenda ONU 2030 che nel contesto globale delle nazioni industrializzate si fa invece tanta fatica a perseguire, con risultati assai modesti. Bene, quindi, ma c’è un’altra faccia della medaglia che comporta un rischio da non sottovalutare: quello di creare un nuovo mondo accessibile solo a pochi fortunati che potranno permetterselo per privilegio di casta, per disponibilità economica o per competenze professionali, trasformando il vecchio mondo in un ghetto destinato a rimanere abitato dalle fasce di popolazione più deboli. Per evitare questo scenario per certi versi apocalittico bisogna affiancare alle strategie per la governance del nuovo mondo le strategie per il miglioramento di quello attuale, che non scomparirà. 

Si modernizzino pure le città attuali ma una maggior attenzione al benessere di chi le abita sarebbe d’obbligo, magari adottando modelli che possano garantire l’adeguata integrazione e il giusto bilanciamento tra i requisiti minimi di equità sociale (inclusività, accesso alle tecnologie, diritto alla salute, diritto al lavoro, sicurezza), le politiche urbanistiche e la sostenibilità ambientale.



Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnati con *