Delocalizzazioni Autonomia

Le «delocalizzazioni» fra autonomia, identità e mestieri

30 novembre 2022

di Giovanni COSTA

Il tema dell’autonomia regionale, tornato di attualità con il programma del nuovo governo e affidato alle cure del ministro Calderoli, si intreccia con le problematiche della deglobalizzazione e dell’identità.

L’autonomia sembra perdere ogni sfumatura secessionistica e assumere i contorni di un’autonomia differenziata entro la quale la bulimia di competenze viene a patto con un numero ragionevole di attribuzioni. Si lavora sull’idea di implementarle gradualmente una volta definiti i livelli essenziali di prestazione.

In parallelo, una deglobalizzazione ben temprata viene declinata in termini di un accorciamento delle filiere di fornitura senza negare la loro estensione sovranazionale e sovraregionale, favorendo gli investimenti diretti esteri in entrata e in uscita.

Come ha auspicato al recente summit economico italo-tedesco organizzato dalla Süddeutsche Zeitung Andrea Illy con la sua proposta di filiere industriali integrate non solo nell’automotive ma anche nella produzione di energia, nella moda e nell’alimentare. Perdono invece consensi certe versioni estreme del reshoring che, per usare un’immagine abusata ma efficace, sembrano voler rimettere il dentifricio nel tubetto. C’è chi vede nel reshoring un’opportunità di crescita. Dipende. Non esiste un modello unico. Si parla di autonomia differenziata intendendo con questa espressione una modalità di regolare il grado di autonomia secondo le specificità e le vocazioni delle varie realtà regionali.

Ugualmente si dovrebbe o potrebbe parlare di deglobalizzazione differenziata dosando l’estensione delle filiere a seconda del settore, dei mercati di approvvigionamento e di sbocco, delle competenze distintive e così via.

L’identità è sempre in bilico tra regressioni folcloristiche e approfondimenti condotti con gli strumenti dell’antropologia culturale capaci di fare sintesi tra le forme di vita sociale e i sistemi di produzione; tra artigianato, industria e agricoltura; tra conservazione monoculturale e ibridazione internazionale. Riemergono di tanto in tanto come un fiume carsico le ipotesi di introdurre nelle scuole l’insegnamento obbligatorio del dialetto veneto. Si potrebbe fare della facile ironia sulle contraddizioni dei pochi che le sponsorizzano e magari mandano i figli nelle scuole internazionali dove si insegna solo in inglese. Che elogiano l’accento veneto ma sono in prima fila ai corsi di public speaking per toglierselo. Che esaltano le ipotesi di reshoring e quando scoprono che scarseggiano le competenze tecniche operative se la prendono con i ragazzi che preferiscono il liceo e l’università alle scuole professionali che le formano. Che per rimediare sono disposti perfino ad accettare una buona dose di immigrati anche irregolari, salvo auspicare i blocchi navali e votare i partiti che li promettono. Sarebbe un’ironia fuori luogo anche perché ci sono realtà molto diverse.

Il presidente della Regione Luca Zaia nella significativa intervista ad Aldo Cazzullo (Corriere) racconta del nonno paterno emigrato a New York per raccogliere, tra mille difficoltà in ambienti degradati e infestati dalle pulci, un po’ di risparmi da investire al rientro in Veneto in alcuni terreni che gli avrebbero consentito un’esistenza dignitosa. A distanza di quasi un secolo un altro trevigiano, Oscar Marchetto, anima imprenditoriale del Gruppo Somec, costituisce la società «Mestieri Usa» e apre uno showroom sulla Madison Avenue a New York per fornire alle competenze artigianali nella produzione di interni di lusso uno sbocco nell’ambito di una strategia di crescita del suo gruppo internazionale in grado di valorizzarle. Due storie diverse, due epoche diverse un‘unica apertura internazionale.

L’internazionalizzazione non è un’opzione, è una realtà pervasiva e irreversibile entro la quale collocare l’autonomia della Regione e la sua identità.

 


Pubblichiamo questo articolo per gentile concessione dell’Autore. Fonte, CORRIERE DEL VENETO/CORRIERE DELLA SERA  del 26-NOV-2022

Intervento di Giovanni COSTA, Professore Emerito di Strategia d’impresa e Organizzazione aziendale all’Università di Padova. Ha svolto attività di consulenza direzionale e ricoperto ruoli di governance in gruppi industriali e bancari. (www.giovannicosta.it)

 



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