di Daniele CORSINI e Gerardo COPPOLA
Caro Marziano, direbbe Pif, il nostro è uno strano paese perché parlano in tanti e noi spesso nelle nostre sgangherate vicende non capiamo da che parte stiamo, in sostanza se e quanto ci perdiamo o addirittura se ci guadagniamo. Come può accadere? Basta dilatare il tempo di riferimento di un’operazione e tutto magicamente si aggiusta. Vediamo di capirci meglio.
Coloro che avevano pensato che, una volta approvato, con la fiducia, il decreto di intervento pubblico sulle due banche venete, il clima arroventato sulla vicenda si sarebbe un po’ stemperato, hanno dovuto rapidamente ricredersi.
Da quel momento in poi, e in vista dell’avvio della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario italiano, la stampa ha spostato l’attenzione sulle implicazioni istituzionali dei due dissesti, a cominciare dalle responsabilità delle autorità di controllo.
Il clima politico si è fatto ancora più acceso con le affermazioni di chi tempo fa era al governo, e che ora, senza mezzi termini, ha confessato, in un libro che va per la maggiore nella eccezionale calura di questa estate, di aver malamente riposto la propria fiducia in quelle autorità. Un capo del governo che dice di essersi sbagliato a fidarsi del governatore! In altri paesi si tratterebbe di uno scontro istituzionale del massimo livello, con dimissioni rese ed accettate.
Da noi è più facile che lo scarica barile si risolva in un temporale di mezza estate, a meno che la vicenda non trovi il modo di aggrovigliarsi ancora nei prossimi mesi, intorno alla riconferma o meno dei vertici di quelle autorità. Quello che non vorremmo è che nel frattempo si aprissero altre crisi bancarie, come è invece probabile che avvenga.
In attesa di conoscere gli sviluppi, ciò che colpisce è la “nota di lettura al decreto” (divenuta in questi giorni di pubblico dominio), stilata dal servizio tecnico del Senato, in funzione della conversione in legge del provvedimento sulle banche venete.
Nel documento vengono riportate, con analitiche argomentazioni, perplessità non secondarie sul merito e sui costi dell’intervento.
Tanto per citare le osservazioni più macroscopiche, lo studio mette in discussione l’ipotesi eccessivamente ottimistica di recupero dei crediti malati da parte dello stato nella misura del 47%, sulla base della esperienza maturata nel caso della Sga del Banco di Napoli e delle statistiche sul recupero degli Npl in Italia.
Su questa ipotesi di recupero, si badi bene, è basata tutta la costruzione dell’intervento. Se la media è 47, dice lo studio del Senato, le oscillazioni intorno ad essa vanno dal 15 per cento in più e al 15 per cento in meno, cioè un campo di variazione che va dal 62 e al 32, con tassi di recupero che, negli ultimi due anni, si avvicinano più a quelli inferiori che a quelli superiori.
Ci sono poi, nello stesso documento del Senato, interrogativi sulle garanzie, sugli effetti fiscali del provvedimento (riduzione del gettito) e sugli elementi informativi in base ai quali è stata stimata la congruità delle risorse impegnate.
Appare strano che di queste perplessità non si trovi traccia nella relazione di accompagnamento al decreto e nelle note tecniche delle autorità, che si sono prodigate ex post a spiegarne opportunità e convenienze.
Tornando alle previsione dei recuperi, non si può non osservare che l’arco di un decennio per realizzare l’obiettivo equivale, in finanza, a un tempo biblico.
Inoltre assumere i risultati della Sga del Banco di Napoli come benchmark virtuosi, (posto che si possa parlare di virtù quando si tratta di crediti erogati e gestiti per anni con colpevoli tolleranze e costate all’Erario oltre 12mila miliardi di lire dell’epoca), non ci può far dimenticare che i recuperi sono avvenuti per lo più nel decennio 1997/2007, quando i valori delle garanzie reali dei prestiti malati trasferiti sono cresciuti in maniera rilevante al seguito dei prezzi del mercato immobiliare e il passaggio all’euro del 2002 ha prodotto ulteriore inflazione, rendendo più facili i rimborsi in moneta svalutata.
Dobbiamo forse augurarci un’altra bolla immobiliare o un’altra inflazione nascosta per avere la ragionevole certezza che i debitori delle due venete ci assicurino la restituzione dei loro debiti nella misura prevista nel programma di intervento pubblico?
Pochi infine hanno provato a fare il conto della distruzione complessiva di ricchezza provocata dalle due banche.
Tra azzeramenti di capitale (11 mld), aumenti di capitale per coprire le perdite 2014/15 (5 mld), oneri per cassa dell’intervento di Intesa (5,3 mld), impegni per altri 12 verso Intesa, nonché altri oneri da stimare in una cifra non lontana ad un paio di mld, si arriva al bell’importo di 35 mld. Il tutto a fronte di 40 mld di raccolta. In termini di pil si tratta del due per cento.
Siamo davvero sicuri che una liquidazione atomistica avrebbe creato un danno maggiore?
È davvero difficile spiegarti tutti questi comportamenti, caro marziano, che, ignaro di tutto, vuoi sapere come è andata.
La domanda più difficile sarebbe quella della lievitazione del conto finale di banche che erano bollite ormai da cinque anni e che hanno continuato a bollire a fuoco lento, fino a quando non se ne è potuto più. Ma prima le abbiamo portate in Europa come banche sistemiche e sicure, poi le abbiamo riportate in Italia, dicendo che non erano più sistemiche, quindi abbiamo tentato di ricapitalizzarle in via precauzionale, sotto la supervisione europea, poi abbiamo detto che andavano liquidate all’italiana. Cioè con i soldi degli azionisti, degli obbligazionisti, dei contribuenti e delle altre banche.
E l’Europa si è ritirata in buon ordine. E quindi, soddisfatti di aver dimostrato che non c’era aiuto di stato, quando lo stato ci mette una marea di soldi, abbiamo cucinato il piatto per il parlamento italiano: o mangi la minestra o salti la finestra.
Da ultimo abbiamo anche scoperto che alcune tra le massime istituzioni intervenute nel processo decisionale pubblico nutrivano dubbi sull’intero impianto.
Sei sicuro caro marziano che non ti siano già andati in corto i tuoi pur evoluti circuiti?
Sui tempi di recupero dei crediti non performing rimasti allo stato italiano, ci è tornato in mente Leonardo Sciascia, quando diceva che la banca con i suoi mutui a trent’anni e più fa della metafisica, andando oltre la vita dell’uomo.
Non vorremmo che intenda fare metafisica anche il MEF con i suoi tempi di recupero dei crediti non performing da era geologica.
Converrete che non possiamo nemmeno appellarci al pratico consiglio anglosassone del wait and see. Perché, nel frattempo, saremo tutti morti.