di Nunzia RUSSO
Oggi trattiamo il tema dello staking di cryptovalute, che è un metodo per ottenere profitti dalle cryptovalute che sono bloccate per un determinato periodo di tempo sul proprio wallet o su una piattaforma al fine di contribuire alla gestione di una blockchain.
Questo metodo ormai diffuso anche in Italia dall’incirca un paio di anni è, di sicuro, il più popolare e, allo stesso tempo, quello con meno rischi in assoluto arrivando addirittura a rendere il 20% dei profitti annuali.
Alla base del mondo crypto c’è sempre la blockchain, che ha due metodologie di funzionamento: Proof-of-Work e Proof-of Stake.
- Nel primo caso, stiamo parlando di solito di Bitcoin che è la valuta più rappresentativa della categoria. Tramite il meccanismo di consenso del Proof of Work la rete impiega una quantità enorme di potenza di calcolo per risolvere problemi quali ad esempio la convalida di transazioni effettuate da due sconosciuti agli estremi del pianeta.
- Nel secondo caso invece, si “mette in gioco qualcosa” e una volta che metto i miei coin in stake voglio che siano al sicuro per ottenere qualcosa. In sostanza, si tratta di un modo per beneficiare degli asset in proprio possesso, contribuendo al contempo alla sicurezza del sistema e all’efficienza della blockchain. Nello specifico, i blocchi di transazioni vengono aggiunti a una blockchain, una stringa indelebile contenente appunto “blocchi” di transazioni, da parte di coloro che già detengono una certa quota della moneta nativa di questa blockchain. In questo secondo protocollo di consenso le criptovalute possono essere NEO, Stellar, Algorand o ancora Ethereum, che è stata l’ultima major ad entrare in questo protocollo di consenso.
Questo processo è simile al mining, usato per aggiungere blocchi alla blockchain con il sistema PoW (Proof of Work). La differenza sta nel fatto che, nel caso delle blockchain basate su Proof of Stake, il meccanismo è chiamato forging (o talvolta minting), e le persone coinvolte sono chiamate validatori o forger, anziché miner.
Quindi, ricapitolando, se si possiedono delle criptovalute basate su Proof of Stake, si ha la possibilità di guadagnare monete facendo staking: l’ammontare dei guadagni dipenderà dal tipo di criptovaluta e dalle capacità di fare staking.
È possibile anche associare i propri asset a quelli di altri investitori nell’ambito di uno staking pool, condividendo le risorse con altri possessori di monete e con persone che dispongono della potenza di calcolo e delle competenze tecniche necessarie per operare come validatori o gestire il pool. In questo modo, quando il pool guadagna delle ricompense, la quota che si riceve è proporzionale all’entità del proprio contributo.
Inoltre, ricordo che quando si tratta di staking si parla di interesse composto, che è l’interesse che si guadagna investendo in un asset, che comprende sia l’interesse sull’investimento iniziale sia l’interesse guadagnato sull’interesse stesso. Quindi, il concetto di base prevede che vengano messe automaticamente in staking le ricompense ottenute dallo staking stesso (staking automatico delle ricompense), guadagnando in questo modo ulteriori token. Ovviamente non vi è alcuna garanzia perché il processo di staking è randomizzato e bisogna tenere conto delle fluttuazioni dei prezzi.
Perché si dice che lo staking è meno rischioso di altri tipi di investimento?
Innanzitutto, il denaro non lascia mai il proprio wallet ma allo stesso tempo non è possibile prelevare i propri asset investiti durante il periodo di blocco.
L’importo che si guadagna varia a seconda delle condizioni di mercato e della valuta oggetto di staking. Gli investitori generalmente ottengono l’equivalente di rendimenti annuali percentuali (APY) compresi tra il 7% e il 25%, paragonabile a quanto si può sperare di guadagnare sul mercato azionario, senza però mettere a rischio i propri asset. Questo rende lo staking una fonte di reddito passiva molto interessante.
Non voglio fare qui una differenza sulle diverse tipologie di criptovalute che supportano lo staking. Vorrei solo porre l’attenzione al fatto che se un investitore decide di fare staking, deve necessariamente per alcune monete sottostare a determinati parametri, come i “periodi di warm-up” (chiamati anche “vesting” da alcuni progetti) e i “periodi di lock-up” (chiamati anche periodi di lock-in, o blocco).
Ma, a questo punto, quali sono i rischi di fare staking?
- Il valore delle monete investite nello staking non è costante: il prezzo delle criptovalute è infatti spesso altamente volatile e potrebbe crollare da un momento all’altro rendendo l’attività molto meno redditizia
- Alcune criptovalute basate su Proof of Stake impongono dei periodi di “fermo” prestabiliti, durante i quali non si ha accesso alle coin messe a staking.
- A seconda dell’approccio adottato, inoltre, si potrebbe aver bisogno di affidare le monete a un exchange per investirle nello staking, e questa scelta può comportare dei rischi in termini di sicurezza.
Come vengono tassati i redditi da staking?
L’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello nr. 437 del 26/08/2022 afferma che i redditi da staking devono essere inseriti nel quadro RL e sono tassati in base allo scaglione di reddito di appartenenza. Quindi l’aliquota applicabile è tra il 23% e il 43%.
L’interpello precisa che le remunerazioni in criptovaluta percepite dalla blockchain derivanti dall’attività di staking andrebbero riportati nel quadro RL del Modello Redditi Persone Fisiche al netto dell’importo trattenuto a titolo di commissione da parte della Società che gestisce la piattaforma e detraendo eventuali ritenute di acconto da questa applicate.
Nello stesso tempo ricordo che lo staking non è esposto all’impermanent loss come accade nei pool di liquidità.
Ma dal punto di vista regolamentare come siamo messi?
La regolamentazione dei Digital Asset è in evoluzione a livello internazionale, sospinta dalla necessità di definire un sistema organico di regole e controlli atti a disciplinare le interazioni tra i numerosi soggetti che utilizzano le tecnologie decentralizzate della finanza e a presidiare i nuovi rischi.
In Europa sono state pubblicate, nell’ambito della strategia sulla finanza digitale definita dalla Commissione nel settembre 2020, due proposte legislative:
- il Markets in Crypto Assets Regulation (MiCAR) e,
- il Digital Operational Resilience Act (DORA).
Nello specifico la tassonomia dei Digital Asset MiCAR mira a fornire una chiara regolamentazione nel settore dei Digital Asset andando ad uniformare la disciplina applicabile in tutti gli stati membri.
Negli Stati Uniti, abbiamo ricevuto alcuni segnali significativi dalla SEC nel 2023 sul tema dello staking e ci sono diverse azioni legali in atto in merito (es: Kraken, Coinbase, Ripple). Da una prospettiva legale statunitense, è quasi certamente equivalente all’emissione di titoli di debito. Ciò è particolarmente vero per i progetti che emettono rendimenti in criptovalute note ma la SEC ha continuato la sua posizione dura nel 2023 in merito all’emissione di titoli.
Dopo questa discussione non mi dilungo ulteriormente e auguro ai gentili lettori, buon investimento!
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
N26 Blog (2024) | Staking di criptovalute: ecco tutto quello che devi sapere, N26
G. BRAMBILLA | Staking crypto: ottenere rendita passiva, The Crypto Gateway
Tutto quello che devi sapere sullo staking, Bitpanda
D. RODECK, F. POWELL, B. GIULIANI (2024) | Come guadagnare con lo staking crypto, Forbes
PWC report. “Crypto-asset e controlli interni”
H. SLIWOSKI LLP (2024) | The Current Legal Status of Staking in the Crypto World, Lexology