Il termine “burocrazia” deriva della fusione di due vocaboli, il primo “bureau” di origine francese, che vuol dire “ufficio” e il secondo “kratos”, di origine greca, che vuol dire “potere”. Anche se il termine viene coniato intorno al XVIII secolo, non si tratta di un fenomeno moderno. Abbiamo esempi di burocrazie, cioè di funzionari al servizio del sovrano, nell’antico Egitto, nell’Impero cinese, in Persia, in India e nel più vicino Impero romano. Essa nasce dall’esigenza, avvertita dal sovrano, di potere contare su di un apparato che fosse in grado di amministrare, garantendo unitarietà di azione, anche là dove il sovrano non riusciva ad arrivare in modo diretto.
A dire il vero il termine, attribuito a Vincent de Gournay, nasce già con l’intenzione di evidenziare come patologico il “potere dei funzionari”, non sempre allineati con gli indirizzi del sovrano e persino disinteressati del benessere del popolo.
E’ Max Weber che, nei primi decenni del novecento descrive la burocrazia come una necessità ineluttabile per una società organizzata che, con il tempo, tuttavia, avrebbe spinto i sistemi sociali fino a “imprigionare gli uomini in una rete di regole minuziose e a sottometterli alla potenza anonima, irresponsabile e ogni giorno più necessaria degli apparati burocratici”.
Insomma, non commettiamo un grave errore se riveliamo che la “burocrazia”, sin dal suo sorgere, viene avvertita come una sorta di “potere avverso” di cui non ci si riesce a liberare. Le più recenti teorie di origine anglosassone (Public Choice e New public management) considerano la burocrazia come un potere che si autoalimenta, impegnato nella ricerca costante di potere e incrementi retributivi e nel contenimento dei controlli. Ed è sull’onda di quelle teorizzazioni che si adottano tre linee di intervento: lo spoyl sistem, i sistemi di controllo interno e i vincoli di spesa.
Oggi, dopo anni di esperienza, possiamo affermare, a ragion veduta che tutti e tre i rimedi hanno peggiorato la situazione. Lo spoyl sistem (male interpretato), ha portato la politica a interessarsi delle “nomine”, senza alcuna responsabilità sulla gestione e sui risultati, con gravi conseguenze, prima fra tutte, il mercato dei funzionari più “disponibili”; i sistemi di controllo, alimentati da una visione procedurale della funzione pubblica, hanno portato alla misurazione del banale e al rafforzamento degli adempimenti rispetto ai risultati; i vincoli di finanza pubblica, in un sistema disordinato e disomogeneo a cui si aggiunge l’incapacità degli “esperti” che li hanno progettati hanno avuto lo scopo di cristallizzare ingiustizie e limitare lo sviluppo degli enti virtuosi.
La conseguenza è stata paradossale: per combattere la burocrazia, si è pensato di creare vincoli più stretti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ma soprattutto ha generato una nuova conseguenza più grave: alla “burocrazia che produce” è stata aggiunta la “burocrazia che controlla”.
Abituati a pensare al burocrate come all’impiegato in preda alla maniacale meticolosità delle procedure, piuttosto che al risultato della sua funzione, indifferente alle pressioni del pubblico oltre lo sportello, dobbiamo sostituire questa immagine con un’altra figura: quella dell’impiegato che non ha la pressione del pubblico, né il fastidio dello sportello, perché opera all’interno di un palazzo del centro storico della Capitale, lontano dalle esigenze del territorio, che considera un fastidio (o che tratta con sospetto), ma in stretto contatto con altri colleghi di analoghi uffici dell’Unione europea, tutti intenti a scrivere nuove regole, a fissare nuovi vincoli o prescrivere nuove sanzioni.
Il burocrate di un tempo, era padrone delle pratiche che amministrava, aveva esperienza della materia, ma soprattutto era raggiungibile. Probabilmente qualcuno voleva essere contattato “bussando con i piedi”, ma non erano tutti così. Certamente, maggiore è il potere e più elevata la tentazione di usarlo per fini diversi. Ma non possiamo ignorare che il nostro Paese si è salvato e si è unito, proprio grazie alla sua “burocrazia”, quella nobile. A partire dagli alti funzionari che hanno resistito alle tentazioni, fino ad arrivare agli impiegati chini sul loro lavoro, per “senso del dovere” o agli “esecutivi” sempre pronti a servire con semplicità e orgoglio lo Stato e la comunità a cui appartengono.
Quelle figure di funzionari responsabili e disponibili non è affatto scomparsa, ma adesso è sopraffatta dalla nuova burocrazia che si caratterizza per avere un potere regolativo associato a un potere sanzionatorio, senza avere alcuna responsabilità sul funzionamento complessivo del sistema, né sui risultati conseguiti.
Così può accadere che un “burocrate regolatore” stabilisca delle regole, anche in contrasto con le leggi vigenti e il “burocrate attuatore” si trovi costretto ad applicarle suo malgrado. Basti pensare al recente caso di un sindaco, invitato dalla Corte dei Conti, ad acquistare il carburante a un costo più elevato rispetto al prezzo praticato nel territorio, in palese contrasto con il principio di economicità sancito dallo stesso decreto legislativo sugli appalti e richiamato dalla Costituzione.
Per non parlare della situazione scandalosa relativa alla ricostruzione delle zone terremotate, nella quale, anche i burocrati più volenterosi sono stati bloccati da regole e prescrizioni considerate (da altri burocrati “sovraordinati”) prevalenti rispetto a qualsiasi esigenza, anche umana, fino al punto da impedire le azioni di sostegno effettivo a cittadini che ormai, sono considerati abbandonati e senza speranza. Anzi, abbiamo notizia di cittadini “terremotati”, vessati e rinviati a giudizio per avere intrapreso iniziative, vista l’inerzia dello Stato, perché in violazione con i piani urbanistici. Come se il terremoto non fosse un evento così eccezionale da giustificare una nuova visione del territorio, proprio in funzione della sua funzione prioritaria: assicurare dignità e qualità di vita ai suoi abitanti.
C’è dunque un nuovo soggetto burocratico, quello centrale che regola, interpreta, dispone e sanziona, senza alcuna conoscenza diretta né dei territori a cui si indirizza, né delle situazioni amministrative di cui tratta. E’ una nuova forma di potere, lontano, irraggiungibile, freddo e insensibile, che non si scompone per i bisogni della collettività, compresa quella flagellata da sismi o alluvioni, che non si preoccupa della sostenibilità degli atti che produce, che non si cura della coerenza delle circolari che scrive e indirizza, come se fossero atti normativi, rispetto alle leggi che vengono richiamate. Ma soprattutto, che non è investito di alcuna responsabilità sugli effetti della propria azione, anche quando questa consiste nell’appesantire senza alcuna ragione le procedure di altre amministrazioni o persino di bloccarne l’operato.
Ciò che è più grave è che il sistema amministrativo italiano si sta caratterizzando per un modello organizzativo molto “originale” (per non dire irrazionale) che presenta forti vincoli assunzionali e limiti alle dinamiche salariali dei dipendenti pubblici delle amministrazioni che producono servizi alla collettività, ma consente, invece, l’assunzione di nuovi dipendenti nelle amministrazioni deputate al controllo, peraltro, con stipendi di valore molto più elevato.
Il risultato di questa scelta dissennata è un modello in cui aumenta il numero dei dipendenti deputati al controllo (e il loro costo) e diminuisce sia il costo che il numero dei dipendenti a cui compete la gestione amministrativa.
E’ evidente che un modello organizzativo siffatto non potrà mai funzionare, ma in compenso genererà una serie numerosa di confitti e sanzioni a quel numero, sempre più limitato, di funzionari responsabili dell’amministrazione, ma senza risorse e sommersi da vincoli e prescrizioni.
E’ colpa della burocrazia? Certamente sì. Ma di quella “regolativa” che, anche grazie a formule irrazionali come il “soft law” si è dotata di un potere straordinario: quello di legiferare al posto del potere legislativo, di disporre, al posto del potere esecutivo e di applicare sanzioni, al posto del potere giudiziario. E soprattutto, di sentirsi più legata alle indicazioni dei colleghi europei, piuttosto che al rispetto delle norme e delle istituzioni del nostro Paese.
Se proprio si vuole “riformare” il sistema amministrativo, si dovrebbe iniziare da qui, dal rispetto dei ruoli e delle funzioni e dall’assunzione di responsabilità della propria azione, anche nell’esercizio di una funzione di controllo o di regolazione.