di Massimo BALDUCCI, Christiane COLINET, Giorgio NATALICCHI
Una guida per profittare della UE e orientarsi nel dibattito pro o contro la UE
Il dibattito pro o contro UE è in gran parte inficiato da due fattori:
(a) si ha una immagine della UE molto distorta e
(b) per interpretare la UE (realtà completamente nuova, mai apparsa sulla scena della storia) si utilizzano categorie del passato, in particolare la categorie di Stato e di democrazia rappresentativa di stampo ottocentesco.
Questo articolo fa parte di una serie di 4 articoli:
Leggete qui l’articolo successivo, Link 2/4 – Navigare nella UE: Europa Spazio o Europa Super-Stato?
Leggete qui l’articolo successivo, Link 4/4 – Navigare nella UE: il ruolo dell’Italia
Viene anche ignorato che, durante questo dibattito pro/contro UE, il coinvolgimento positivo della società civile nella UE sta aumentando in maniera ininterrotta. In tutta questa confusione si finisce con il perdere di vista le opportunità che la UE offre ai cittadini e alle imprese.
Questo lavoro si propone due obiettivi:
a) Fornire tutta una serie di informazioni per aiutare cittadini e imprese a profittare delle occasioni offerte dalla UE;
b) Contribuire a far chiarezza nel dibattito pro-contro la UE, aiutando a capire che cosa la UE veramente sia al di là di tanti miti.
CHE COSA NON È LA UE
La UE non è, contrariamente a quanto si crede, una enorme burocrazia. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento e la Corte di Giustizia non arrivano a 50.000 dipendenti, lo stesso numero all’incirca dei dipendenti del Comune di Parigi e di Vienna. La UE non è nemmeno una fonte di grandi risorse finanziarie: il budget UE per il 2017 è stato di ca. 150 miliardi di Euro mentre, a mo’ di raffronto, il budget dello Stato Italiano è superiore agli 800 miliardi di Euro.
Anche i simboli hanno la loro importanza. Nella mitologia popolare tra i fondatori dell’Europa un posto di primo piano spetterebbe ad Altiero Spinelli. Altiero Spinelli riuniva il suo gruppo al costosissimo ristorante Le Crocodile di Strasburgo, specializzato nella nouvelle cuisine. Mitterand, Chirac e Kohl si riunivano, invece, nella brasserie popolare Chez Yvonne. Le proposte di Spinelli non hanno mai avuto nemmeno il minimo impatto sulla costruzione europea, mentre le riunioni Chez Yvonne hanno prodotto i due trattati di Maastricht.
Ultima osservazione: non esiste un trattato di Maastricht, un trattato di Amsterdam ed un trattato di Lisbona ma esistono due trattati di Maastricht, due trattati di Amsterdam e due trattati di Lisbona. Uno dei trattati (nel caso di Lisbona il Trattato sul funzionamento TFUE) regolamenta le materie di tipo economico (a partire da Lisbona anche le materie della collaborazione in materia di giustizia e sicurezza interna), le decisioni vengono prese a maggioranza e il loro mancato rispetto viene sanzionato. Il secondo trattato (nel caso di Lisbona il trattato sulla UE) vengono prese all’unanimità e il mancato rispetto non viene sanzionato.
La nostra analisi è influenzata da quegli studi organizzativi che vedono un legame stretto tra la strategia e la struttura [Si tratta dell’approccio situazionale o Contingency Theory cfr. W. Staele, Organisation und Fuehrung sozio-tecnischer Systeme, Stuutgart, Enke, 1975 e dell’approccio di A. Chandler, Strategia e Struttura, trad it. di Strategy and Structure Anchor Books, New York, 1966, Milano, FrancoAngeli 1982] dell’organizzazione e da uno schema familiare agli studiosi di sistemi politici: la distinzione tra funzioni di output e funzioni di input [David Easton, “An Approach to the Analysis of Political Systems”, World Politics, Vol 9, No 3, 1957]. Vedremo, in particolare, che l’evoluzione delle funzioni che le istituzioni comunitarie sono chiamate a svolgere determina il progressivo affermarsi di strutture chiamate a svolgere funzioni di input.
1. UN PO’ DI STORIA “NON AGIOGRAFICA”
Per capire come le istituzioni UE funzionano oggigiorno sarà opportuno ripercorrere rapidamente il cammino che ci ha portato sin qui, per darci un punto di riferimento a livello storico. In questo brevissimo schizzo “combineremo” la storia ufficiale della costruzione europea – tendenzialmente agiografica – con la conoscenza derivante dalla frequentazione diretta delle istituzioni UE. Il filo rosso che guiderà la nostra scelta dei fatti da considerare significativi e la suddivisione in fasi sarà il passaggio da una architettura tendenzialmente top down (in cui prevalgono le funzioni di output) dove la costruzione europea serve prevalentemente per imporre agli Stati Membri degli standards ad una architettura sempre più bottom up, in cui le funzioni di input sono sempre più importanti.
Storicamente il passaggio è marcato dalle seguenti tappe formali:
- elezione diretta del Parlamento Europeo (1979),
- Atto Unico Europeo (1987),
- Approvazione della Commissione da parte del Parlamento Europeo (1992),
- progressiva estensione della procedura di co-decisione tra Consiglio e Parlamento, estensione che ha raggiunto il suo massimo con il trattato di Lisbona (2009).
A tale scopo ci permettiamo di suddividere l’evoluzione della comunità-unione europea nelle seguenti fasi:
a) Fase delle Agenzie di integrazione
b) Fase dei Giudici o dell’Albero (in questa fase l’integrazione comincia ad avere successo, al punto che i pezzi del puzzle che avrebbero dovuto essere integrati, grazie al livello di interazione raggiunta, cominciano a dar vita a iniziative proprie, l’entità integrata inizia ad avere una sua vita indipendente dagli elementi che la costituiscono)
c) Fase della Round Table, nella quale oramai l’entità integrata ha raggiunto un tale livello di autonomia da iniziare a sfidare il mondo circostante.
1.1 LA FASE INIZIALE DELLE AGENZIE DI INTEGRAZIONE
Questa fase (chiaramente espressa nel discorso tenuto da Schuman alla firma del trattato CECA) mira ad evitare che Francia e Germania si confrontino di nuovo per il controllo delle risorse minerarie della valle del Reno. Si può dire che questa fase rientra nella logica della guerra fredda ed è una reazione alla strutturazione dell’Europa comunista.
In questa fase la Commissione e il Consiglio rappresentano le due forze motrici contrastanti, laddove la Commissione gioca il ruolo (sopranazionale) di integratore mentre il Consiglio gioca il ruolo (intergovernativo) di controllore.
Qui si segnala una carenza di meccanismi di input. Seppur disponendo del monopolio dell’iniziativa legislativa, la Commissione non possiede ancora meccanismi che le permettano di raccogliere le istanze della società. Funzione che, tra l’altro, neppure è svolta dal Parlamento – un parlamento “in fieri”, non eletto e con peso decisionale marginale. La Commissione non è approvata dal Parlamento ma è nominata dai governi (non dai parlamenti) degli Stati Membri, i quali nominano come commissari personaggi dalla sicura fede occidentale e atlantica (il che escludeva in questa fase i membri del partito comunista italiano).
Questa fase può essere ricondotta sino all’inizio degli anni ’70 dello scorso secolo.
1.2. LA FASE DEI GIUDICI (O DELL’ALBERO)
È la fase in cui i magistrati della Corte di Lussemburgo forzano, attraverso le loro sentenze, l’estensione del campo di azione della Comunità [cfr. Burley & Mattli, “Europe Before the Court: A political theory of legal integration” , in, International Organization, Vol. 47. No. 1, 1993., Joseph Weiler, “The Transformation of Europe”, Yale Law Journal, 100 (1991), 2403-83; J. Weiler, The Constitution of Europe: ‘Do the New Clothes Have an Emperor?’ Cambridge UP, 1999; Sweet, Alec Stone, “The European Court of Justice and the Judicialization of EU Governance” (2010). Faculty Scholarship Series. Paper 70; Renaud Dehousse. The European Court of Justice: The Politics of Judicial Integration (The European Union Series) 1998]. Nel gergo dei funzionari di Bruxelles questa fase viene chiamata fase dell’albero. A mo’ di esempio, dal principio della libera circolazione dei “lavoratori” viene dedotta la libera circolazione dei “cercatori di lavoro” come pure la “libera circolazione dei famigliari dei lavoratori”; e da qui, gradualmente fino al “mutuo riconoscimento” dei diplomi.
La funzione di input viene svolta in questa fase dalla magistratura comunitaria, a cui si rivolgono attori privati (persone giuridiche e persone fisiche) per chiedere (e spesso ottenere) una interpretazione estensiva dei trattati. Ma è anche vero che è a questo punto che la Commissione inizia a sviluppare contatti con la società civile.
A questa fase va ricondotta anche la così detta giurisprudenza Simmenthal (C-106/77, ECLI:EU:C:1978:49), che afferma che i giudici degli Stati Membri, nel caso dovessero trovarsi di fronte ad una norma interna che non sia in linea con il dettame dell’acquis communautaire, devono disapplicare la norma interna e applicare il dettame comunitario [Come risulta da una giurisprudenza comunitaria consolidata C-106/77, ECLI:EU:C:1978:49), ad evitare questioni di responsabilità risarcitoria, c’è quindi un preciso potere-dovere dei pubblici funzionari di dare alle disposizioni interne una interpretazione conforme al diritto comunitario e di disapplicare atti amministrativi contrari all’acquis communautaire cfr giurisprudenza Frigerio (C-357/06, ECLI:EU:C:2007:818 ) e Ceoli (C-224/97, ECLI:EU:C:1999:212)].
È in questa fase che l’idea di Europa comincia veramente a farsi strada. I giuristi coinvolti nel processo giurisprudenziale della Corte di Lussemburgo si rendono conto che veramente gli Stati Membri hanno un patrimonio in comune di valori incardinati nei sistemi giuridici di ciascun Stato Membro, patrimonio che si basa su principi sostanzialmente coincidenti.
1.3. LA FASE DELLA “ROUND TABLE“
Negli anni ’70 emerge un fenomeno non prevedibile dagli alleati vincitori della seconda guerra mondiale: la velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico cresce a dismisura. Mentre sino a tutti gli anni ’60, per sviluppare un nuovo prodotto e/o un nuovo processo ci volevano molti anni, a partire dagli anno ’70 lo sviluppo di nuovi prodotti e nuovi processi (segnatamente nelle ITC e nella chimica) richiede un tempo molto più limitato, spesso riconducibile a pochi mesi. Questo fatto ha un grande impatto nella sfera economica. Se prima, per assorbire i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e/o processi, un mercato di ca. 50 milioni di consumatori (quale era il mercato di Francia, Regno Unito, Italia e Repubblica Federale Tedesca) era sufficiente, ora serve un mercato interno molto più vasto. Non è un caso se, alla fine degli anni ’70, l’espressione “mercato comune” viene lentamente rimpiazzata dall’espressione “mercato interno”.
Nel 1983, il CEO della Volvo, Pehr G. Gyllenhammar (all’epoca la Svezia non faceva parte della costruzione europea), prese l’iniziativa di convocare una Tavola Rotonda (Round Table) dell’ETUC (European Trade Union Committee) e dell’UNICE (Union des Industries de la Communauté européenne ora Business Europe), a cui, oltre ai maggiori industriali europei, parteciparono anche i Commissari UE Ortolì e Davignon. Lo scopo era di discutere su come affrontare un fatto assolutamente imprevisto nel secondo dopoguerra e cioè il fatto che lo sviluppo tecnologico aveva raggiunto una velocità tale da non permettere più di ammortizzare i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e nuovi processi in mercati interni di circa 50 milioni di abitanti.
La Round Table (RTE) disseminò nei centri decisionali del continente la consapevolezza che fosse indispensabile sviluppare un mercato interno sufficientemente esteso per assorbire i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e processi in un tempo brevissimo (talvolta pochi mesi). La catena: “libro bianco di Delors”, i due trattati di Maastricht, i due trattati di Amsterdam, i due trattati di Nizza ed i due di Lisbona sono il risultato del lievito della Round Table. Qui, sulla consapevolezza di una comunità di valori espressi giuridicamente e basati sull’armamentario concettuale del diritto romano-germanico (Qui va rimarcato che, mentre per gli aspetti economici e per la routine quotidiana la lingua più diffusa è l’inglese, tutta la normativa (segnatamente i trattati) è stesa originariamente in Francese e poi tradotta nelle altre lingue; la Corte di Lussemburgo lavora esclusivamente in francese. La spiegazione non detta risiede nel fatto che l’armamentario concettuale del diritto europeo può ben essere espresso in tedesco e in francese ma non in Inglese), si innesta la chiara volontà dell’affermazione dell’indipendenza economica.
Intervento di:
Massimo BALDUCCI, docente alla Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell’Università di Firenze, esperto del Center of Expertise on Local Government Reform del Consiglio d’Europa
Christiane COLINET, dr. Juris Università di Liegi, Avvocato del Foro di Bruxelles e del Foro di Firenze
Giorgio NATALICCHI, PhD in Political Science, The Graduate Center of the City University of New York (CUNY), esperto nei mercati delle ITC
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