Profili di responsabilità penale del datore di lavoro e di responsabilità ex 231/01 nella ripresa delle attività post lock down
L’adozione dei nuovi protocolli di sicurezza ad opera del Governo Italiano, l’ultimo dei quali pubblicato lo scorso 24 aprile 2020(1), fa emergere alcune importanti questioni relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e i possibili profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
A quest’ultima poi è eventualmente connessa la responsabilità amministrativa della persona giuridica ai sensi del D. Lgs 231/01(2), che, tuttavia, è condizionata non soltanto alla verificazione di un fatto dannoso integrante uno dei delitti presupposto (e quindi di altre normative che sanzionano penalmente tale fatto), ma anche alla circostanza che tale fatto delittuoso si sia verificato nell’interesse o vantaggio dell’ente.
Come noto, il presupposto di fondo della responsabilità del datore di lavoro risiede in quella che è stata individuata come “posizione di garanzia”: il datore di lavoro deve farsi garante della salute e sicurezza dei lavoratori nell’adempimento della prestazione lavorativa.
La posizione di garanzia trova suo fondamento giuridico nell’articolo 2087 del codice civile(3) il quale prescrive che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” e nel Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, il D. Lgs 81/2008(4).
Quest’ultima è una normativa complessa e articolata che prescrive una serie di adempimenti molto specifici per ridurre il rischio connesso all’esecuzione della prestazione lavorativa e rappresenta, ormai da diversi anni, il punto di riferimento di tutti gli adempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tuttavia, l’emergenza sanitaria in atto ha comportato la necessità di affiancare a questo testo una normativa emergenziale emanata dal Governo ed, in particolare, il protocollo anti-contagio del 24 aprile 2020(5).
Quest’ultimo impone una serie di obblighi/raccomandazioni raggruppati in 12 macro categorie:
1. Obblighi informativi;
2. Raccomandazioni sulle modalità di ingresso in azienda;
3. Obblighi sugli accessi in azienda dei fornitori esterni;
4. Obblighi di pulizia e sanificazione dell’azienda;
5. Obblighi in materia di precauzioni igieniche personali;
6. Obblighi in materia di dispositivi di protezione individuale;
7. Obblighi in materia di gestione degli spazi comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori, distributori di bevande e/o snack);
8. Raccomandazioni in materia di organizzazione aziendale (turnazione, trasferte, smart working, rimodulazione dei livelli produttivi);
9. Raccomandazioni in materia di gestione dell’entrata e dell’uscita dei dipendenti;
10. Obblighi in materia di spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione;
11. Linee guida per la gestione di una persona sintomatica in azienda;
12. Obblighi in materia di sorveglianza sanitaria, attività del medico competente e dei RLS.
Al di là dell’attuabilità delle suddette attività raccomandate o rese obbligatorie dal protocollo, la domanda che in molti si stanno ponendo è, ovviamente,:
- se una violazione del protocollo possa far scattare una responsabilità civile o penale del datore di lavoro e,
- se debba aggiornato il documento di valutazione dei rischi includendo il rischio epidemiologico e utilizzando le misure indicate nel protocollo come strumenti volti alla mitigazione del rischio.
La risposta deve ritenersi affermativa in entrambi i casi.
Ed infatti, la violazione del protocollo, è sicuramente sanzionata con la sospensione delle attività – come appunto previsto dal decreto del 26 aprile 2020(6) – e, laddove siano accertate delle malattie professionali che le misure indicate nel protocollo avrebbero (con un ragionevole grado di certezza) evitato, anche con la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso.
Lo stesso vale per il documento di valutazione dei rischi (DVR) che dovrà, quantomeno per il periodo in cui il pericolo di contagio sussiste (e quindi, teoricamente, fino a quando l’emergenza sanitaria non potrà dirsi conclusa) essere aggiornato considerando anche il rischio di contagio da Covid-19 tra quelli che dovranno essere mitigati e adottando le misure di sicurezza indicate nel protocollo e quelle ulteriori che il datore di lavoro riterrà di voler adottare. Questo adempimento potrà essere sicuramente utile per scongiurare il rischio di incorrere in responsabilità del datore di lavoro e della persona giuridica ai sensi del D. Lgs 231/01.
Tutto ciò però pone un interrogativo cruciale per tutti i datori di lavoro e cioè: fin dove dovrebbe spingersi il datore di lavoro nella verifica e tutela degli ambienti con cui il lavoratore dovesse venire a contatto per poter svolgere la propria mansione lavorativa?
La risposta non è assolutamente facile.
Infatti, fino a questo momento il datore di lavoro nel considerare i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori si è affidato a quelli che sono i rischi interni all’azienda (endo-aziendali) mentre l’interrogativo che ci si pone oggi è se dovrà, d’ora in avanti, volgere lo sguardo anche a quelli che sono i rischi esterni all’azienda (eso-aziendali).
Il riferimento è evidentemente alla nuova modalità di lavoro agile (smart working) il cui utilizzo si è repentinamente ampliato e, ovviamente, al rischio legato al c.d. “commuting” e cioè al contagio (o rischio di contagio) derivante dalle attività di spostamento che il dipendente dovrà effettuare per occasioni di lavoro.
In tale contesto, vale la pena ricordare che dottrina e giurisprudenza di legittimità riconoscono un significato normativo esteso all’espressione “occasione di lavoro”, precisando che “essa comprende tutte le condizioni temporali, topografiche e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore”.
È evidente che, laddove si propendesse per una risposta affermativa, in un’ottica di iper tutela del lavoratore, ci troveremmo di fronte alla necessità di dover modificare il vecchio approccio nel processo di valutazione dei rischi (che, come noto, si fermava a quelli che erano gli ambienti di lavoro), ampliandone la portata anche ad ambienti non più solo aziendali ma anche extra aziendali.
In tale contesto, allora, il datore di lavoro sarebbe chiamato a valutare i rischi per le nuove modalità di svolgimento del lavoro, anche al di fuori dal contesto aziendale, considerando tutti i nuovi rischi ad esso associati. Ad esempio, sarà tenuto a verificare e valutare il rischio per i lavoratori che eseguono la prestazione presso le proprie abitazioni (attraverso le modalità di lavoro agile) ovvero attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, ovvero ancora gli strumenti di trasporto utilizzati per occasioni di lavoro.
Questo cambio di prospettiva tuttavia non è semplice e comporta delle valutazioni che possono essere anche enormemente difficili, se non impossibili per il datore di lavoro. Ed infatti mentre in un contesto interno all’azienda è plausibile esercitare un controllo sui rischi cui i lavoratori potessero essere esposti, la valutazione di contesti extra aziendali può risultare davvero complessa, anche per l’impossibilità di accedere a tutte le informazioni necessarie per procedere ad una corretta valutazione del rischio (si pensi, ad esempio, ad una valutazione sulla congruità degli strumenti casalinghi – come sedie, scrivanie e monitor – per svolgere l’attività lavorativa presso il proprio domicilio).
In tale contesto, non può che immaginarsi che la prevenzione degli infortuni passerà necessariamente per la responsabilizzazione dei lavoratori che diventeranno co-responsabili della loro sicurezza. Conseguentemente il compito del datore di lavoro non sarà più quello di procedere alla sorveglianza del lavoratore, quanto piuttosto, quello di provvedere ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi secondo i protocolli emanati e, in ogni caso, aumentare la consapevolezza e responsabilizzazione dei lavoratori, attraverso corsi di formazione e iniziative volte alla sensibilizzazione dello stesso.
Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(2) D. Lgs. 231/2001 – Responsabilità degli Enti
(3) Codice Civile