Reati Tributari

Reati Tributari e Cassazione: in assenza di deleghe rispondono tutti i membri del CdA

18 maggio 2022

di Paola GRIBALDO

Reati tributari: la Corte di Cassazione Penale ha stabilito che in assenza di deleghe rispondono tutti i membri del Consiglio di Amministrazione

Con la sentenza n. 11087 del 4.2.2022 (depositata il 28.3.2022)(1), la Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, si è pronunciata sulla responsabilità dei membri del Consiglio di Amministrazione in ambito penal – tributario, statuendo che in assenza di deleghe la responsabilità per gli illeciti deliberati o posti in essere dal Consiglio grava solidalmente su tutti i suoi componenti.

1. Il caso di specie

Il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Firenze aveva emesso decreto di sequestro preventivo, confermato in sede di riesame, nei confronti del consigliere di amministrazione di un consorzio, sottoposto ad indagini preliminari per la commissione del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
L’indagato ha interposto ricorso per Cassazione, censurando l’ordinanza cautelare laddove aveva ritenuto sussistente il fumus commissi delicti senza indicare gli indizi relativi alla conoscenza o alla conoscibilità da parte del ricorrente del reato ipotizzato.

In particolare, a giudizio della difesa, i giudici del riesame avrebbero fatto un’errata applicazione dei principi stabiliti dall’art. 2392 c.c.: la norma in commento, fondativa della posizione di garanzia degli amministratori delle S.p.A., in seguito alla riforma del 2003, non imporrebbe più a carico degli amministratori non delegati l’obbligo di “generale vigilanza sull’andamento della gestione”.
Facendo leva su tale locuzione, in passato la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la semplice mancata o incompleta vigilanza sulla gestione – ad esempio per reiterate assenze, per superficialità nell’esame dei documenti, ecc. – fosse espressione dell’accettazione del rischio che gli amministratori esecutivi commettessero fatti illeciti (ex multiis, Cass. Pen., sentenza del 22.4.1998 n. 8327).

Il reato commesso da altri finiva per essere addebitato unicamente sulla base dell’accertamento del comportamento negligente dell’amministratore non esecutivo, trasformando di fatto il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo. Il Legislatore del 2003, eliminando la locuzione di cui sopra, ha incentrato il giudizio di colpevolezza sulla conoscenza o conoscibilità di fatti pregiudizievoli per la società, conoscenza che deriva dalle informazioni veicolate dagli amministratori delegati o da quelle richieste ad integrazione dai consiglieri non operativi. L’art. 2381 c.c. impone infatti agli amministratori non esecutivi di agire “in modo informato” (art. 2381 comma 6 c.c.): gli stessi saranno ritenuti solidalmente responsabili se, venuti a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto potevano per impedirne il compimento o attenuarne le conseguenze dannose.

La difesa ha pertanto ritenuto che, per poter muovere un effettivo rimprovero all’indagato, non sarebbe stato sufficiente il mero richiamo alla qualifica soggettiva assunta dallo stesso ma sarebbe stato necessario individuare specifici elementi dai quali evincere la conoscenza o conoscibilità del progetto criminoso commesso da altri.

2. La decisione della Surprema Corte: la responsabilità penale negli organi collegiali privi di deleghe

I Giudici di Legittimità hanno rigettato il ricorso presentato dall’indagato, ritenendo che il richiamo ai principi dettati dall’articolo 2392 c.c. fosse non pertinente al caso di specie.

Il Consiglio di Amministrazione del consorzio, infatti, non aveva delegato specifiche materie a taluno dei suoi componenti, sicché tutti i membri dovevano essere ritenuti responsabili per gli illeciti tributari commessi tramite delibera assembleare, in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 2392 c.c..

Tale norma dispone che gli amministratori “sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi”. La facoltà di delega è ribadita dall’articolo 2381 comma 2 c.c. laddove consente al Consiglio di Amministrazione di “delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni suoi membri, o ad uno o più dei suoi componenti”. In tal caso, come sopra riferito, gli amministratori non delegati avranno il dovere di “agire in modo informato”, richiedendo eventuali informazioni suppletive agli organi delegati laddove necessario per la decisione, e potranno essere chiamati a rispondere degli illeciti commessi dagli amministratori delegati se, in presenza di segnali di allarme, abbiano omesso di attivarsi per impedire il compimento dell’atto illecito.

In assenza di deleghe, invece, tutti i componenti sono investiti di compiti di amministrazione diretta e rispondono degli illeciti deliberati dal Consiglio di Amministrazione, anche se l’atto non sia stato di fatto deciso o compiuto da tutti i consiglieri. L’amministratore può andare esente da responsabilità solo laddove dimostri di aver agito senza la consapevolezza che dalla sua condotta ne sarebbe derivata la commissione dell’illecito.

Nel caso di specie, pertanto, la Corte ha ritenuto “immuni da censure […] i rilievi spesi dal Tribunale in ordine alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. civ. ricoperta dall’indagato che, proprio perché investito, al pari di ogni altro componente del consiglio di amministrazione, dei compiti di amministrazione diretta, aveva uno specifico obbligo di vigilanza, quand’anche di fatto le determinazioni sul conferimento dei subappalti e sui conseguenti obblighi tributari non fossero state da costui direttamente assunte, sull’andamento della gestione societaria o a titolo di dolo generico per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato o, comunque, a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino”.

3. La delega di funzioni in materia tributaria

La sentenza in commento è di particolare rilievo poiché rammenta all’imprenditore l’importanza di ripartire e segregare compiti, ruoli e responsabilità all’interno dell’Organo gestorio, anche con riferimento agli adempimenti tributari, e la necessità di individuare espressamente il “contribuente”.
In assenza di precise attribuzioni, infatti, tutti i componenti dell’organo collegiale possono essere ritenuti responsabili dei reati tributari commessi con le loro determinazioni.

Come avviene in materia prevenzionistica, anche con riferimento agli illeciti tributari dichiarativi (quali il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000 oggetto della sentenza in commento), la giurisprudenza di legittimità ha constatemene escluso la possibilità del contribuente di delegare a terzi alcuni specifici adempimenti (ex multiis, Cass Pen., sentenza del 27.1.2021 n. 25530; in senso conforme, Cass. Pen., sentenza del 13.4.2016 n. 18845).

Ai sensi della disciplina tributaria, infatti, il soggetto attivo dei reati dichiarativi deve essere considerato il contribuente, ossia la persona fisica o la persona giuridica tenuta alla presentazione della dichiarazione dei redditi; nel caso di società, in particolare, la dichiarazione deve essere sottoscritta e presentata dal suo legale rappresentante, così come stabilito a pena di nullità dall’art. 1 comma 4 D.P.R. 322/1998. L’obbligo tributario viene pertanto considerato dai giudici di Legittimità un obbligo di natura personale e indelegabile sicché l’eventuale delega ad un professionista esterno o ad un’altra funzione aziendale di predisporre e presentare la dichiarazione dei redditi non esonera il contribuente da responsabilità penale per fraudolenta o omessa dichiarazione(2). Pertanto, ne deriva che l’individuazione del contribuente non potrà che avvenire se non all’interno dell’organo gestorio stesso.

Analoga riflessione vale in materia prevenzionistica laddove, in caso di mancata individuazione, tutto l’organo collegiale sarà considerato datore di lavoro ai sensi dell’art. 2 D.Lgs. 81/2008, con conseguente responsabilità solidale dei suoi membri per la violazione delle norme in materia antifortunistica.
In un sistema sempre più complesso e articolato, diventa pertanto necessario individuare un soggetto dotato delle necessarie competenze per adempiere agli obblighi imposti dalla legge.

Tale individuazione non va tuttavia confusa con la delega di funzioni ai sensi dell’art. 16 D.Lgs. 81/2008 o con la delega in materia ambientale (la cui validità è stata riconosciuta a livello giurisprudenziale in forza dell’applicazione analogica dei principi dettati in materia antifortunistica).
Al datore di lavoro ai sensi dell’art. 2 D.lgs. 81/2008 – individuato all’interno dell’organo gestorio mediante apposita delibera – è riconosciuta la facoltà di delegare talune delle proprie funzioni purché non si tratti degli obblighi indelegabili quali la valutazione dei rischi e redazione del DVR, e la designazione del responsabile della prevenzione e protezione. La delega ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 81/2008 ad un soggetto esterno o ad un’altra figura aziendale dotata di specifica competenza in materia, se validamente conferita, avrà un effetto liberatorio da responsabilità per il datore di lavoro originario sul quale permarrà l’obbligo di vigilare sul corretto operato del delegato. La medesima facoltà è riconosciuta in ambito tributario laddove il contribuente può delegare ad un terzo l’adempimento di determinati incombenti quali ad esempio la tenuta della documentazione oppure la predisposizione ed invio della dichiarazione.

4. Conclusioni

In conclusione, alla luce delle indicazioni fornite dalla Cassazione, nelle società nelle quali è presente un organo gestorio collegiale, è certamente auspicabile che venga espressamente individuato uno dei Componenti cui attribuire un’apposita delega per l’espletamento degli adempimenti tributari propri del contribuente, ciò al fine di segregare i compiti e funzioni ed evitare duplicazioni delle responsabilità al suo interno. Alla luce di quanto già sopra esposto, la medesima ratio deve guidare le scelte dell’organo gestorio anche in materia prevenzionistica ed ambientale.

 

Intervento di Paola GRIBALDO  – Avvocato, LL.M. | Director | Managing Associate  c/o   Deloitte Legal Italy

 


Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Corte di Cassazione, Sentenza n. 11087 del 04/02/2022

(2)   Si menziona al proposito, Cass. Pen., sentenza del 14.1.2020 n. 9417, con la quale si è stabilito che: “colui che abbia affidato al commercialista ovvero ad un consulente fiscale l’incarico di compilare la dichiarazione, non può dirsi, per ciò stesso, esonerato da responsabilità, sia perché la legge tributaria considera come personale il relativo dovere, sia perché una diversa interpretazione, che trasferisca il contenuto dell’obbligo in capo al delegato, finirebbe per modificare l’obbligo originariamente previsto per il delegante in mera attivitàà di controllo sull’adempimento da parte del soggetto delegato”.



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