La quantità di risorse che sta per essere attivata dal Recovery Fund e dai provvedimenti EU collegati alla risposta alla crisi determinata dalla pandemia del Covid19 è destinata a determinare un impatto “gigantesco”, nel bene e/o nel male.
Basti pensare che, calcolato in rapporto al PIL, per alcuni Paesi (segnatamente Italia, Spagna e anche Francia) la quantità di risorse attivate dalla UE per reagire alla pandemia (ca. il 19%) sono di gran lunga superiori a quelle messe in campo, nel secondo dopoguerra, dal piano MARSHALL (che si aggirò intorno al 12%).
Uno tsunami di queste dimensioni non può non avere ripercussioni sulle attività di compliance e su chi di queste attività si occupa. Qui cercheremo di anticipare che cosa queste risorse possano implicare per le attività di compliance.
La prima osservazione è, se vogliamo, banale. Il Recovery Fund richiederà un incremento delle attività di controllo. Controllo sulla qualità dei progetti selezionati per il finanziamento, controllo sulla messa in opera di questi progetti. Rispetto a quanto la storia ha messo in evidenza relativamente al piano MARSHALL, sarebbe auspicabile che queste attività di controllo venissero realizzate con modalità “più avanzate” rispetto a quelle impiegate dalle strutture incaricate di implementare il piano MARSHALL. Anziché “controlli” basati su una catena di ispettori che godevano della fiducia dei vincitori, sarebbe auspicabile che tali attività di controllo assumano la configurazione di veri e propri checks di compliance, basati su processi precodificati sia per la messa a punto dei progetti che per la loro implementazione (cfr. Ma cosa è questa Compliance). Qui va subito detto cha la UE ha maturato una competenza ineguagliata in questo settore nella messa a punto di metodologie per lo sviluppo di progetti e per la loro implementazione. La UE ha anche sviluppato un ineguagliato patrimonio di know how relativamente alla valutazione dei progetti realizzati. Nel caso delle politiche di reazione alla crisi determinata dalla pandemia gli elementi innovativi rispetto alla esperienza già maturata riguardano due settori: l’ampiezza degli interventi e il fatto che questi interventi riguarderanno tutti gli Stati Membri della UE e non solo alcuni tra essi. Mentre nel caso dei fondi strutturali di coesione la quantità di risorse impiegate si aggirava intorno al 30% del budget della UE, qui si tratta di un budget equivalente a una diecina di volte il budget UE. Questi fondi saranno impiegati anche in Paesi quali la Germania, l’Olanda, la Svezia, la Francia che non sono mai stati interessati ai fondi strutturali e di coesione.
Il caso del progetto MARSHALL qui può esserci di utilità per capire che cosa si potrebbe/dovrebbe fare per evitare che le risorse impiegate non espletino tutti gli effetti positivi che si dovrebbero sperare.
Gli effetti del piano MARSHALL possono essere articolati in due grandi tronconi.
Da una parte la semplice messa a disposizione di risorse per far ripartire la macchina produttiva bloccata dagli interventi distruttivi della guerra. Qui si è trattato di riattivare una realtà precedente al disastro causato dagli intereventi bellici.
Da un’altra parte gli interventi del Piano MARSHALL hanno mirato ad approfittare della ricostruzione per non limitarsi a riattivare la situazione produttiva antecedente alla guerra ma per tentare di mettere in opera una realtà produttiva più avanzata rispetto a quella che esisteva prima della seconda guerra mondiale. Qui si tratta di tutta una serie di interventi che vanno sotto l’etichetta di capacity building.
Rammentiamo qui tre esempi eclatanti di interventi di capacity building. Da una parte non va dimenticato il tentativo di sviluppare un management imprenditoriale di tipo professionale e svincolato dalla proprietà dell’impresa. Al piano MARSHALL si deve in misura significativa, anche se talvolta indiretta, lo sviluppo di strutture formative simili alla prassi statunitense (prassi consolidatasi del resto solo tra i due conflitti mondiali) di formare il management nei oggi notissimi corsi di master in business administration. L’INSEAD di Fontainebleau rientra in questa attività di capacity building messa in opera dal piano MARSHALL(1).
A questa attività di capacity building va ricondotta anche la promozione della grande distribuzione nel settore alimentare. I supermercati ESSELUNGA di Caprotti hanno questa origine. La grande distribuzione in effetti era nata in Europa. Si pensi alle Galeries Lafayette o Au Bon Marché, ai negozi PRISUNIC in Francia e all’UPIM (Unico Prezzo Italiano Milano) in Italia. Ma la grande distribuzione non aveva mai intaccato il settore alimentare.
Qui risultano molto interessanti gli sforzi del piano MARSHALL per disseminare la prassi dell’organizzazione per processi. Il piano MARSHALL impegnò risorse significative nella messa a punto di manuali operativi per vari settori produttivi. Il mio Editore Franco ANGELI una volta mi raccontò che la sua attività di editore nel settore del management era iniziata proprio con la pubblicazione di una serie di manuali operativi nell’ambito degli interventi del piano MARSHALL.
Nel caso dei manuali operativi risulta lampante che gli interventi di capacity building promossi dal piano MARSHALL mirano al tentativo di disseminare l’organizzazione per processi (cfr. Processi, Compliance e Covid19: c’è una lezione da apprendere?). Anche i corsi di master in business administration promuovono una tecnica di management basata sul processo(2) e non l’autorità basata sulla proprietà. La grande distribuzione è tutta basata, giocoforza, sui processi logistici.
Il Recovery Fund della UE, similmente al piano MARSHALL, non si limita a mettere a disposizione delle risorse per far ripartire il meccanismo economico rallentato dalla pandemia. La UE si propone di far ripartire il meccanismo produttivo modificando e modernizzando questo meccanismo. Le risorse dovranno mirare a promuovere un’economia verde ed un’economia digitale. Ma, a differenza del piano MARSHALL, non sembra che nel Recovery Fund ci sia spazio per azioni di capacity building.
In maniera particolare non sembrano esserci interventi per la promozione di una modalità di lavoro per processi. Del resto la digitalizzazione richiede in maniera preventiva che il lavoro venga, preliminarmente, proceduralizzato per poter poi essere digitalizzato. L’economia verde richiede non solo la sostituzione dell’energia di origine fossile con energia rinnovabile ma anche la riduzione degli spostamenti fisici facendo ricorso agli incontri virtuali, quindi facendo sempre più riferimento al telelavoro. Del resto il telelavoro, per poter essere realmente realizzato, deve poter far riferimento ad una organizzazione del lavoro basata sui processi. L’esempio del Belgio può risultare interessante. In Belgio, da diversi anni, il personale delle pubbliche amministrazioni deve lavorare per lo meno due giorni alla settimana in modalità remota per ridurre l’impatto ambientale. Questa prassi è risultata abbastanza facile da implementare perché l’amministrazione belga lavora per processi, sul modello germanico-fiammingo, da decenni.
Sulla base della mia esperienza personale, penso di poter affermare che l’organizzazione del lavoro per processi è poco diffusa nei paesi di cultura latina. Non solo in Italia e in Spagna ma anche in Francia.
Con i miei colleghi francesi mi sono più volte confrontato su questo tema. I colleghi francesi mi hanno spesso detto che in Francia non si è ancora riusciti a far funzionare la contabilità analitica e dei costi nella pubblica amministrazione. Ogni volta che mi “confessano” questa debolezza del sistema francese, provo a dire ai miei colleghi che questa debolezza è dovuta al fatto che l’amministrazione francese non si basa su dei processi codificati. L’amministrazione centrale francese utilizza una versione adattata al settore pubblico di un ERP molto famoso, il SAP. Ma il SAP trova grande difficoltà ad essere sfruttato appieno proprio perché manca una rete di processi alla base dell’azione amministrativa, a differenza di quanto avviene nell’amministrazione tedesca tutta basata su una Verwaltungsverfahrengesetz.
La mancanza della cultura del lavoro per processi può rappresentare un doppio grande rischio per il Recovery Fund della UE. Da una parte può rendere problematico tenere adeguatamente sotto controllo l’impiego delle risorse e, da un’altra parte, può minare seriamente l’impatto di queste risorse.
Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Qui va rammentato che in Italia questi Master in Business Administration sono poi stati disseminati anche dall’attività dell’OCSE, che è l’erede del piano MARSHALL; tra questa casistica va citata il nostro ISTAO (Istituto Adriano Olvetti) creato da G. Fuà, per l’appunto funzionario OCSE
(2) cfr. C. Barnard, The Functions of the Executives, Cambridge, 1937