Responsabile Safeguarding: requisiti, tempistiche e modalità di nomina

Responsabile Safeguarding: requisiti, tempistiche e modalità di nomina

4 settembre 2024

di Marta VALENTINI

L’art. 16 del d.lgs. 39/2021 ha introdotto l’obbligo per le Associazioni e Società Sportive professionistiche e dilettantistiche (di seguito solo “ASs”) di adottare – in linea di massima entro l’estate 2024 – Modelli e Codici di Condotta per la tutela dei minori e la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra discriminazione (c.d. Modelli e Codici di Condotta Safeguarding)(1), conformi alle Linee Guida emanate sul tema dai rispettivi Enti di affiliazione, quali le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate, gli Enti di Promozione sportiva e le Associazioni benemerite(2).

Le ASs dovranno inoltre identificare una specifica figura di controllo – il c.d. Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni (di seguito anche solo “Responsabile Safeguarding” o “Responsabile”)(3) – incaricato i) di vigilare sulla costante applicazione e idoneità dei Modelli e dei Codici di Condotta adottati e ii) di ricevere le segnalazioni circa possibili condotte illecite da parte di tesserati, dirigenti sportivi e tecnici, nonché atleti.

Al netto di qualche indicazione sui requisiti di nomina e sui poteri/doveri del Responsabile, il Legislatore del 2021 (e il C.O.N.I.)(4) non hanno fornito dettagli sulla sua corretta identificazione, né sui relativi compiti, poteri e responsabilità. Una scelta che risulta coerente con la volontà di riconoscere ampia autonomia alle singole organizzazioni nell’individuare le misure di prevenzione ritenute più adeguate (compresa la figura di controllo), ma che rischia di ingenerare dubbi e confusione, soprattutto in seno alle ASs più piccole, che non hanno dimestichezza con gli strumenti tipici della gestione del rischio aziendale.

L’obiettivo del presente articolo è pertanto quello di aiutare le organizzazioni sportive a identificare il proprio Responsabile Safeguarding e a definire le modalità di nomina; seguirà una seconda pubblicazione dedicata alle relative funzioni e responsabilità.

L’analisi interesserà la normativa trasversalmente applicabile a tutte le ASs (riforma dello sport e prescrizioni C.O.N.I.) per poi rinviare a quanto più dettagliatamente indicato dai vari Enti sportivi per le realtà affiliate.

Chi può essere nominato Responsabile Safeguarding?

I “Principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione” del C.O.N.I. (di seguito solo “Principi Fondamentali”) richiedono alle ASs di garantire la competenza, l’autonomia e l’indipendenza anche rispetto all’organizzazione sociale(5) del proprio Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni; questo senza tuttavia specificare cosa si intende, in concreto, per “competenza”, “autonomia” e “indipendenza” della figura di controllo del sistema safeguarding.

Tale laconicità della normativa sportiva impone all’interprete di cercare il significato di “competenza”, “autonomia” e “indipendenza” altrove e, in particolare, nella giurisprudenza e nelle best practice sviluppatasi in materia di responsabilità da reato degli enti, essendo tali caratteristiche richieste anche a chi ricopre il ruolo di Organismo di Vigilanza (OdV), ai sensi del d.lgs. 231/2001 (di seguito anche “Decreto 231”). 

Le Linee Giuda Confindustria per la costituzione dei Modelli 231 definiscono:

  1. “competenza” il bagaglio di strumenti e tecniche necessarie per svolgere efficacemente l’incarico. Nel caso del Responsabile Safeguarding, risultano utili competenze di tipo giuridico sportivo e/o penalistico (considerata la possibilità per gli illeciti safeguarding di integrare anche fattispecie di reato), di tipo tecnico-ispettivo, nonché di ascolto empatico e di accoglienza delle potenziali vittime che si potrebbero rivolgere al Responsabile per “denunciare” abusi, violenze, discriminazioni, anche al fine di evitare fenomeni di “vittimizzazione secondaria”(6);
  2. “autonomia” l’iniziativa di controllo libera da ogni forma di interferenza o condizionamento da parte di qualunque componente dell’ente e, in particolare, dell’organo dirigente;
  3. “indipendenza” la libertà da condizionamenti economici e personali e di conflitti di interesse, anche solo potenziali(7).

Fermo il requisito della competenza, l’unico vero limite sembra essere quello del principio secondo cui non vi può essere identità tra controllore e controllato.

Purché siano rispettate tutte e tre le condizioni, il Responsabile Safeguarding può quindi essere sia un soggetto interno, che esterno all’organizzazione sportiva (ad es. un consulente incaricato), al pari di quanto già avviene per gli Organismi di Vigilanza 231.

Ulteriori requisiti per la nomina del Responsabile Safeguarding vanno ricercati nelle Linee Guida e nei Regolamenti pubblicati dai rispettivi Enti di affiliazione, alcuni dei quali hanno messo a disposizione delle proprie affiliate delle “bozze” di Modelli e Codici di Condotta per la prevenzione di abusi, violenze e discriminazioni, in cui si può trovare un paragrafo dedicato alla specifica figura del Responsabile(8).

Posto che la valutazione del rischio safeguarding deve basarsi sulle peculiarità di ciascuna organizzazione e precisato, quindi, che tali bozze devono essere utilizzate dalle ASs come mero strumento di lavoro e non come standard da adottare senza alcun adattamento(9), le indicazioni fornite dagli Enti di affiliazione sono un utile spunto per tutte le realtà che si stanno approcciando alla nuova normativa.

Non potendosi qui soffermare sulle specifiche indicazioni fornite da ciascun Ente, ci si limiterà a precisare che nella maggior parte dei casi viene richiesto che il Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni sia prescelto tra soggetti di comprovata moralità e competenza; non abbia pendenze o sia stato condannato (anche in via non definitiva) per i reati contro la personalità individuale, l’eguaglianza e la libertà personale indicati dall’art. 16 del d.lgs. 39/2021(10); non abbia avuto comportamenti che possano, anche astrattamente, essere considerati lesivi delle norme e dei principi stabiliti dal d.lgs. 198/2006 (c.d. “Codice delle pari opportunità”)(11).

L’Organismo di Vigilanza ex d.lgs. 231/2001 può essere nominato Responsabile Safeguarding?

Ancor prima dell’introduzione dell’obbligo di dotarsi di Modelli e Codici di Condotta Safeguarding, le organizzazioni sportive potevano decidere di dotarsi di un Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del Decreto 231, rientrando anch’esse tra i destinatari di tale normativa. Come qualsiasi impresa, anche le ASs non sfuggono infatti al rischio di commissione dei reati presupposto previsti dal Decreto 231, anche al di là dello specifico illecito di frode sportiva introdotto dalla L. 39/2019(12).

Secondo quanto ulteriormente previsto dall’art. 16, comma 4, del d.lgs. 39/2021, laddove l’ASs disponga già di un Modello 231, dovrà integrarne il contenuto rispetto alla nuova normativa safeguarding.

Come si è già avuto occasione di apprezzare(13), tale circostanza consacra definitivamente l’approccio “integrato” nella gestione dei rischi di non conformità aziendali, attraverso la razionalizzazione delle misure di prevenzione e dei controlli in ambito 231 e safeguarding.

Nella stessa direzione si muovono le già richiamate analogie tra il Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni e l’OdV in merito ai requisiti di autonomia e indipendenza e ai relativi poteri ispettivi(14).

Se questo è il contesto normativo, non si vede allora perché – soddisfatto l’ulteriore requisito della competenza in materia – l’Organismo di Vigilanza non possa essere anche nominato Responsabile del sistema safeguarding.  

Come condiviso anche dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio – FIGC, quella del “doppio cappello” OdV/Responsabile sembra essere, in realtà, la soluzione da preferire, dal momento che evita sovrapposizioni di ruoli e presidi, consentendo così all’ASs di raggiungere in maniera efficiente l’obiettivo della conformità normativa(15).

Qualora l’OdV non dovesse invece coincidere con la figura del Responsabile, è comunque opportuno che sia coinvolto nel funzionamento del sistema safeguarding mediante l’istituzione di appositi flussi informativi, in ragione della possibile rilevanza dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione anche in ambito 231.

L’organo dirigente può essere nominato Responsabile Safeguarding?

Nulla è stato scritto in merito alla possibilità di assegnare il ruolo di Responsabile Safeguarding direttamente all’organo dirigente, al pari di quanto invece previsto per l’OdV negli enti di piccole dimensioni dall’art. 6, comma 4, del d.lgs. 231/2001, tali da intendersi quelli dotati di una struttura organizzativa basata su un assetto verticistico e con una limitata delega di funzioni e ripartizioni di competenze in campo gestorio(16).

Considerate però le forti analogie tra sistema safeguarding e sistema 231 (di cui si è in parte già detto sopra), si dovrebbe poter concludere che – nelle piccole realtà – l’organo dirigente possa ricoprire, oltre al ruolo di Organismo di Vigilanza, anche quello di Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni. Ciò che rileva è che:

  • si tratti di un soggetto competente anche in ambito safeguarding (direttamente o grazie al supporto di professionisti esterni);
  • nello svolgere direttamente attività di verifica, attui tutte le cautele necessarie a scongiurare possibili conflitti(17).

Una conclusione, questa, avallata anche dalla FIGC, che nelle “Istruzioni Applicative” pubblicate in materia lo scorso 27 agosto ha espressamente previsto che “nelle Affiliate di piccole dimensioni, il Responsabile Safeguarding può essere scelto tra le persone della dirigenza”. In particolare, Il ruolo del Responsabile Safeguarding potrebbe quindi essere attribuito al Presidente dell’Affiliata, ad altro soggetto dallo stesso delegato facente parte della dirigenza, al Vicepresidente, a un Dirigente (esclusi i dirigenti sportivi/ collaboratori tecnici), al Segretario o al Vicesegretario oppure, laddove presente, a un membro del Collegio Sindacale(18).

Entro quando deve essere nominato il Responsabile Safeguarding e per quanto tempo può rimanere in carica?

Originariamente il termine per la nomina del Responsabile era stato fissato al 1° luglio u.s., poi rinviato al 31 dicembre 2024 con delibera del C.O.N.I.(19).

Le ASs sono libere di stabilire i tempi di durata in carica, le cause di decadenza e quelle di revoca del Responsabile, tenendo conto di quanto specificatamente indicato/suggerito dai rispettivi Enti di Affiliazione(20).

In ogni caso, si ritiene opportuno stabilire un periodo di permanenza in carica che consenta al Responsabile Safeguarding, da un lato, di acquisire adeguata conoscenza dell’ASs e del relativo sistema di prevenzione da abusi, violenze e discriminazioni, dall’altro lato, di operare con continuità di azione.

Qual è la procedura di nomina del Responsabile Safeguarding?

Il Responsabile Safeguarding deve essere nominato dall’organo amministrativo dell’ASs, seguendo le istruzioni di dettaglio eventualmente fornite dai singoli Enti di affiliazione.

Il nominativo e i contatti del Responsabile (al pari della notizia di avvenuta adozione del Modello e del Codice di Condotta Safeguarding) e i relativi aggiornamenti devono essere obbligatoriamente diffusi dalla ASs mediante:

  • immediata affissione presso la sede e pubblicazione sulla homepage del rispettivo sito internet;
  • apposita informativa, al momento del tesseramento, al tesserato e/o eventualmente a coloro che esercitano su di esso la responsabilità genitoriale o ai soggetti cui è affidata la cura degli atleti(21).

Al fine di agevolare il coordinamento con il Responsabile delle Politiche di safeguarding del proprio Ente di affiliazione, la ASs deve comunicare tempestivamente la nomina del Responsabile all’Ente, secondo le modalità da quest’ultimo indicate.

LEGGI QUI l’articolo successivo  2/2,   Responsabile Safeguarding: funzioni e responsabilità

Intervento di Marta VALENTINI, Avvocato, Studio Legale LP Avvocati


LP Avvocati è uno studio legale multidisciplinare di Roma. 

Il Dipartimento di Compliance offre assistenza in materia di responsabilità da reato degli enti, anticorruzione, privacy, cybersecurity, salute e sicurezza sul lavoro, tutela dell’ambiente, whistleblowing, indagini interne e diritto dello sport. Gli avvocati ricoprono anche il ruolo di docenti presso Università, pubbliche e private; ISPRA; Camera Penale e altri Enti oltre a partecipare periodicamente, quali relatori, a convegni nazionali e internazionali. 

Lo Studio si avvale di tecnologie avanzate e di strumenti di intelligenza artificiale per prestazioni di alto livello.


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1) Il termine “safeguarding” indica il processo di protezione delle persone vulnerabili (bambini, ragazzi e adulti) da molestie, abusi e discriminazioni.

(2) Per un’introduzione alla normativa safeguarding e i relativi obblighi per le ASs, v. in questa stessa rivista, M. Valentini, “Riforma dello sport: nuovi Modelli e Codici di condotta per la safeguarding in ottica di compliance integrata”, 24 aprile 2024.

(3) Diversamente dai Modelli e dai Codici di Condotta, il riferimento normativo al Responsabile Safeguarding non è nel d.lgs. 39/2021, ma nel d.lgs. 36/2021, che è uno degli altri cinque decreti attraverso cui il Governo ha attuato la c.d. “riforma dello sport”, varata con la L. 86/2019. L’art. 33, comma 6, del d.lgs. 36/2021 (Sicurezza dei lavoratori sportivi e dei minori) richiede infatti alle ASs “la designazione di un responsabile della protezione dei minori, allo scopo, tra l’altro, della lotta ad ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione dell’integrità fisica e morale dei giovani sportivi”. Il perimetro di azione era, in realtà, solo quello della tutela dei minori, poi ampliato – dalla lettura in combinato disposto con l’art. 16 del d.lgs. 39/2021 – alla prevenzione da ogni forma di molestia, violenza di genere e discriminazione dall’Osservatorio permanente per le politiche di Safeguarding”, istituito dal C.O.N.I. (v. nota 4).

(4) La Giunta nazionale del C.O.N.I., con delibera n. 255 del 25 luglio 2023, ha riassunto e definito gli obblighi degli Enti di affiliazione in materia di prevenzione e contrasto di fenomeni di abuso, violenza e discriminazione, prevedendo a loro carico di emanare, entro il 31 agosto 2023, le Linee Guida previste dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. 39/2021. Con tale decisione, il C.O.N.I. ha inoltre istituito il proprio “Osservatorio permanente per le politiche di Safeguarding”, che ha a sua volta emanato i “Principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione”, in cui, tra le altre cose, si fa espresso riferimento al Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni a favore della tutela dei diritti di tutti i tesserati, non solo minorenni.

(5) Art. 5, comma 2, dei Principi Fondamentali.

(6) Il fenomeno di vittimizzazione secondaria si riferisce al danno ulteriore che una vittima di un illecito o di un trauma subisce a causa delle reazioni o del comportamento di coloro che dovrebbero offrire supporto. Questo può includere colpevolizzazione della vittima, mancanza di sensibilità, trattamenti inappropriati o insensibili e la percezione della vittima di non essere creduta e/o rispettata. In sostanza, è il danno aggiuntivo causato dalle istituzioni o dalle persone che dovrebbero aiutare la vittima, ma che invece ne peggiorano la sofferenza. Un riferimento esplicito al fenomeno di vittimizzazione secondaria lo si trova nei Principi Fondamentali del C.O.N.I. (e, a cascata, nelle Linee Guida emanate dagli Enti di Affiliazione) dove è richiesta appunto “l’adozione di apposite misure che prevengano qualsivoglia forma di vittimizzazione secondaria dei tesserati che abbiano in buona fede: i. presentato una denuncia o una segnalazione; ii. manifestato l’intenzione di presentare una denuncia o una segnalazione; iii. assistito o sostenuto un altro tesserato nel presentare una denuncia o una segnalazione; iv. reso testimonianza o audizione in procedimenti in materia di abusi, violenze o discriminazioni; v. intrapreso qualsiasi altra azione o iniziativa relativa o inerente alle politiche di safeguarding”.

(7) Confindustria, “Linee Guida per la costituzione dei modelli di organizzazione gestione e controllo, ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231” aggiornate al mese di giugno 2021, Cap. IV.2.2.

(8) Cfr. sezione “Politiche di Safeguarding” del sito FIGC; sezione “Safeguarding” del sito FIPAV.  

(9) Seguendo ormai la consolidata esperienza dei Modelli 231, anche il Modello e Codice di Condotta Safeguarding devono essere elaborati alla luce di una preventiva mappatura e valutazione dei rischi, considerando sia i rischi comuni all’intero ordinamento sportivo, sia quelli specifici dell’organizzazione.

(10) La circostanza è appurabile mediante presentazione del certificato del casellario giudiziale o auto-dichiarazione. Alcuni Enti di affiliazione prescrivono espressamente che il candidato Responsabile fornisca il casellario giudiziale (ad es. FederKombat, come indicato alla sezione “Safeguarding” del relativo sito internet); altri ritengono invece sufficiente – per ragioni di privacy – che il candidato fornisca un’auto-dichiarazione (ad. es. FIGC, cfr. Allegato B) alle Istruzioni applicative delle Linee Guida FIGC in materia di safeguarding, “Istruzioni operative per la nomina del Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni”, p. 6).

(11) Per un corretto inquadramento delle fattispecie illecite rilevanti, può essere utile guardare all’art. 25 del Codice delle pari opportunità, in cui sono definiti i concetti di discriminazione uomo-donna, di tipo diretto e indiretto; l’art. 26 in cui si afferma che sono considerate discriminazioni anche le molesti “ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un cima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”, nonché le molestie sessuali “ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice, o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. 

(12) V. art. 25-quaterdecies del d.lgs. 231/2001, rubricato “Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d’azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati”.

(13) V. in questa stessa rivista, M. Valentini, “Riforma dello sport: nuovi Modelli e Codici di condotta per la safeguarding in ottica di compliance integrata”, 24 aprile 2024.

(14) Come anticipato, le funzioni del Responsabile Safeguarding saranno trattate in un articolo dedicato. È tuttavia utile precisare che, secondo i Principi Fondamentali C.O.N.I., il Modello Safeguarding deve garantire – sulla falsa riga di quanto già previsto nel sistema 231 – “l’accesso (del) Responsabile … alle informazioni e alle strutture sportive, anche mediante audizioni e ispezioni senza preavviso, nonché favorendo la collaborazione dei tesserati e di tutti coloro che partecipano con qualsiasi funzione o titolo all’attività sportiva”.

(15) Il ruolo del Responsabile Safeguarding potrebbe essere ricoperto, ove nominato, dal membro esterno dell’Organismo di Vigilanza nominato ai sensi del Decreto 231, al fine di favorire anche l’integrazione fra il Modello Safeguarding e il Modello 231”, così Allegato B) alle Istruzioni applicative delle Linee Guida FIGC in materia di safeguarding, “Istruzioni operative per la nomina del Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni”, p. 7.

(16) Il d.lgs. 231/2001 rimette all’interprete l’individuazione di un criterio guida sulla cui base stabilire se un ente possa o meno considerarsi di “piccole dimensioni”. Alcuni autori hanno proposto di basarsi sui parametri del fatturato e del numero di dipendenti; altri – come la scrivente – ritengono invece più coerente con la ratio della normativa basarsi sulla complessità dell’organizzazione interna. Il sistema sanzionatorio introdotto dal d.lgs. 231/2001 è infatti impostato su un modello di ente complesso, a base manageriale orizzontale, comportante una frammentazione dei poteri amministrativi ed una pluralità di centri decisionali. Il Modello di organizzazione e controllo deve quindi essere direttamente proporzionale alla complessità strutturale dell’ente, con particolare riferimento all’individuazione dei vari centri decisionali e, quindi, all’assetto amministrativo. Per un approfondimento, v. P. Di Geronimo, I Modelli di organizzazione e gestione degli enti di piccole dimensioni, in Rivista 231, febbraio 2008, par. 2; B. Assumma – M. Lei, Articolo 6, Soggetti in posizione apicale e Modelli di organizzazione dell’ente, in M. Levis – A. Perini (diretto da) La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Zanichelli Editore, 2018, p. 181. 

(17) Al riguardo Confindustria scrive che, “Qualora l’organo dirigente ritenga di non avvalersi di (un) supporto esterno e intenda svolgere personalmente l’attività di verifica, è opportuna – in via cautelativa nei confronti dell’autorità giudiziaria chiamata ad analizzare l’efficacia del Modello e dell’azione di vigilanza – la stesura di un verbale delle attività di controllo svolte, controfirmato dall’ufficio o dal dipendente sottoposto alle verifiche”, cfr. “Linee Guida per la costituzione dei modelli di organizzazione gestione e controllo, ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231” aggiornate al mese di giugno 2021, Cap. VI.4.

(18) Così Allegato B) alle Istruzioni applicative delle Linee Guida FIGC in materia di safeguarding, “Istruzioni operative per la nomina del Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni”, p. 7. Si segnala la diversa posizione assunta dalla Federazione Italiana Kombat (FIK) che – nel riferirsi in generale a tutte le affiliate e, quindi, non solo a quelle di piccole dimensioni – specifica che, qualora il Responsabile Safeguarding sia un “soggetto intraneo, è possibile certamente che in sede di eventuale sindacato, l’autonomia e l’indipendenza siano oggetto di particolare scrutinio da parte dell’Autorità giudiziaria procedente. Pertanto, in un momento di transizione e adeguamento così cruciale, si raccomanda di utilizzare un atteggiamento più prudente, escludendo il Presidente e i Componenti del Consiglio Direttivo (o dell’organo gestorio, comunque denominato) dal novero dei soggetti nominabili a Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni, anche in aderenza agli standard trasmessi, nonché in attesa di ulteriori indicazioni specifiche sul punto da parte della normativa statale, ovvero dal C.O.N.I.”, cfr. sezione “Safeguarding” del sito della FIK.

(19) V. delibera presidenziale n. 159/89 del 28 giugno 2024. La proroga non ha tuttavia riguardato anche l’adozione dei Modelli e Codici di Condotta Safeguarding: il dies a quo per il calcolo del termine di 12 mesi coincide infatti ancora con la data di comunicazione delle Linee Guida da parte dell’Ente di affiliazione; termine che corrisponde, nella maggior parte dei casi, al 31 agosto u.s. Come è stato osservato dalla maggior parte dei commentatori, la previsione di due termini diversi (estate 2024 per l’adozione dei Modelli e Codici di Condotta / 31 dicembre 2024 per la nomina del Responsabile) può condurre al cortocircuito per cui le ASs adottano protocolli di prevenzione senza identificare anche il soggetto deputato a vigilare sulla relativa attuazione.

(20) Ad es. la Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV) ha indicato, nella propria “bozza” di Modello Safeguarding, che “il Responsabile dura in carica un anno e può essere riconfermato. In caso di cessazione del ruolo di Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni, per dimissioni o per altro motivo, il sodalizio provvede entro 30 giorni alla nomina di un nuovo Responsabile inserendola nel sistema gestionale federale, secondo le procedure previste dalla regolamentazione federale. 6. La nomina di Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni può essere revocata ancora prima della scadenza del termine per gravi irregolarità di gestione o di funzionamento, ovvero per il venir meno dei requisiti necessari alla sua nomina, con provvedimento motivato dell’organo preposto del sodalizio. Della revoca e delle motivazioni è data tempestiva notizia al Safeguarding Officer della FIPAV. Il sodalizio provvede alla sostituzione con le modalità di cui al precedente comma”, così Bozza di Modello organizzativo e di controllo dell’attività sportiva, art. 5, commi 4, 5 e 6. La FIGC ha invece ritenuto congrua una durata in carica del Responsabile di tre anni, con possibilità di rinomina e che la cessazione dalla carica può essere determinata oltre che dalla scadenza del termine, anche da rinuncia, revoca per giusta causa o morte del Responsabile Safeguarding, con specifica di cosa si intende per giusta causa di revoca; cfr. Allegato B) alle Istruzioni applicative delle Linee Guida FIGC in materia di safeguarding, “Istruzioni operative per la nomina del Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni”, pp. 8 e 9.

(21) Al riguardo, si suggerisce di far sottoscrivere al ricevente una dichiarazione di presa visione del nominativo e dei contatti del Responsabile, oltre che del Modello e del Codice di Condotta Safeguarding.



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