di Nicola MITIDIERI
Mentre la Commissione UE prosegue i lavori di revisione della MiFID II, gli addetti ai lavori confidano in una vera e propria rivoluzione normativa tanto da chiedere a gran voce l’arrivo della MiFID III, attese le diverse criticità emerse in materia di ricerca, incentivi, product governance e cosi via.
È fuor di dubbio che i principi ispiratori della MiFID II abbiano determinato un effettivo accrescimento del livello di trasparenza, riducendo la distanza informativa tra intermediari ed investitori.
Ciò nonostante residuano diversi elementi che potrebbero concorrere al pieno raggiungimento degli obiettivi cui la MiFID II ambisce, partendo dalla semplificazione del linguaggio attraverso il quale viene posto il dialogo con gli stessi investitori, sino alla standardizzazione delle informazioni a questi ultimi indirizzate e sufficienti all’adozione di “decisioni consapevoli”.
È dirimente l’indagine condotta da Moneyfarm (società di gestione digitale di risparmio specializzata in investimenti a medio-lungo termine) in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano, la quale ha messo a confronto l’informativa sui costi e sugli oneri prodotta da 20 tra i più importanti intermediari finanziari operanti in Italia, focalizzati su una clientela retail. I risultati di tale indagine non sono stati incoraggianti avendo accertato che:
- la maggior parte degli operatori non avrebbero provveduto alla rendicontazione ex post;
- l’informativa non sarebbe stata resa nel 70%;
- nell’80% dei casi non sarebbe stato indicato l’impatto cumulativo dei costi sulla redditività dell’investimento; ed infine,
- l’informativa ex ante non sarebbe stata consegnata prima della stipula del contratto di intermediazione.
Se da un lato, quindi, vi sono state applicazioni “personalizzate” o non pienamente allineate alla normativa da parte degli intermediari dall’altro si registra una mancata chiarezza di taluni elementi afferenti una normativa tutta in evoluzione, all’interno della quale gli intermediari sono stati chiamati ad operare nonostante le diverse zone d’ombra più volte registrate. La MiFID II è pertanto risultata materia assai complessa tale da produrre importanti effetti sul mercato, sulle regole di condotta, sulla governance dei prodotti nonché sugli obblighi di trasparenza. Sono di fatto numerose le problematiche legate alla corretta implementazione di tale normativa, la quale ha inciso in maniera rilevante sugli intermediari, i cui ambiti di controllo sono stati estesi ai principi normativi introdotti.
V’è di più: l’attuazione della MiFID II ha richiesto notevoli sforzi agli operatori dal punto di vista dell’adeguamento dell’architettura infrastrutturale informatica con riferimento all’obbligo di conservazione dei dati sulle attività e le operazioni svolte, determinando un impatto significativo soprattutto sugli intermediari medio-piccoli sui quali sono ricaduti gli ingenti costi per la gestione dei processi rilevanti per la stessa normativa.
A testimonianza delle difficoltà emerse, vengono incontro le posizioni in continuo divenire dell’ESMA che ha inciso sul funzionamento delle Autorità di Vigilanza nazionali, le quali hanno esteso le proprie prerogative ai nuovi profili normativi in esame. È significativa la Raccomandazione n. 2 della Consob del 28 febbraio 2019(1) mediante , la quale ha “invitato” gli intermediari a illustrare, nelle relazioni periodiche, i presidi adottati atti a garantire la conformità alle nuove disposizioni normative ma soprattutto la recente Raccomandazione n. 1 della medesima Autorità del 7 maggio 2020(2) in merito alle modalità di adempimento dell’obbligo di rendicontazione ex post dei costi e oneri connessi alla prestazione di servizi di investimento e accessori, definendo struttura e tempistiche dell’informativa da rendere agli investitori. Attese, quindi, le sfumature normative della MiFID II e le derivanti applicazioni avvenute a macchia di leopardo da parte del mercato, può considerarsi certamente positivo il lavoro condotto dall’ESMA, tornata più volte ad aggiornare i documenti di Q&A sul tema e della Consob con le successive Raccomandazioni divulgate. Si assume, infatti, come punto di riferimento il parere emanato (Esma’s Technical Advice to the Commission on the impact of the inducements and costs and charges disclosure requirements under MiFID II)(3) e reso alla Commissione UE su costi e incentivi che fa il pari con la consultazione della stessa Commissione su temi di revisione della MiFID II conclusa il 18 maggio(4).
A mio avviso, proprio per far fronte alle problematiche emerse in sede applicativa, occorre prioritariamente interrogarsi se il rapporto tra categorie di investitori previsti dalla MiFID II e adempimenti cui sono obbligati gli intermediari possa risultare equo e tale da concorrere all’equilibrio degli interessi plurimi che compongono il mercato. Uno degli obbiettivi sottesi al processo di revisione della MiFID II dovrebbe essere quello di evitare di incorrere in situazioni nelle quali viene a concentrarsi un’elevata attività in capo agli operatori tale da provocare un eccessivo carico di dati ed informative verso gli investitori, generando un cosiddetto “eccesso di trasparenza” posto antiteticamente ai profili oggettivi di “trasparenza”. L’interrogativo è quindi d’obbligo: si è certi di fornire ampie tutele, garantendo maggiore trasparenza all’’investitore (specie se al dettaglio) che viene raggiunto con cadenze periodiche e ravvicinate da report e rendiconti anche di diverse centinaia di pagine?
Le risposte possono essere varie, essendo concetti spesso demandati alla buona pratica degli intermediari ma è evidente che la differente quantità di informazioni da fornire a investitori professionali rispetto alla clientela retail debba essere maggiormente netta e variabile rispetto alla tipologia di prodotto. Partendo da tali semplici concetti, si andrebbe di conseguenza a migliorare le performance degli operatori, i quali vedrebbero velocizzare i processi in caso di elaborazioni periodiche meno corpose per categorie di investitori più avvedute ovvero ricorrere ad adempimenti da rendersi in forma semplificata per prodotti finanziari non complessi.
Se tali considerazioni trovassero fondamento non risulterebbe peregrina l’ipotesi di dare vita ad una nuova categoria di investitore rispetto a quelle già esistenti. Accanto agli investitori al dettaglio, ai professionali su richiesta e ai professionale di diritto, la nascita dei cosiddetti investitori “semiprofessionali” si collocherebbe tra le prime due categorie, con la possibilità di offrire, con le dovute cautele e prerogative normative, prodotti con migliore valenza commerciale, non collocabili agli investitori al dettaglio; tale scenario consentirebbe agli intermediari di traguardare il collocamento di prodotti con margini migliori rispetto agli attuali, fermo restando la naturale gradazione degli obblighi normativi cui sono e resterebbero comunque chiamati ad adempiere. Un’ipotesi certamente ambiziosa che meriterà i necessari approfondimenti anche ai fini del coordinamento con il corpo normativo UE.
Una menzione autonoma merita la materia degli incentivi: l’ESMA suggerisce alla Commissione UE di valutare gli effetti prodotti nei mercati nei quali sono stati aboliti, con l’obiettivo di garantire sempre la massima trasparenza sugli incentivi fornendo l’evidenza della retrocessione del distributore da parte del produttore. Sul tema si registrano favorevoli posizioni da parte di numerose associazioni dei consumatori ma tra gli intermediari resta sempre viva la circostanza secondo la quale le retrocessioni rappresentano una fonte di finanziamento della consulenza anche per conto dei soggetti che altrimenti non riuscirebbero a sostenere taluni impegni finanziari, provocando peraltro un effetto perverso delle minori tutele per gli investitori al dettaglio coperti solo dal regime di appropriatezza.
Quale ulteriore elemento d’indagine, è doveroso segnalare la posizione della Commissione UE espressa all’interno del cd. “Action Plan” in materia di crescita sostenibile(5), ai fini del raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. L’ESMA ha reso alla Commissione un parere tecnico in materia di fattori e rischi di sostenibilità pubblicando il suo “technical advice”(6), secondo cui gli intermediari finanziari saranno tenuti a chiedere ai propri clienti informazioni sulle loro preferenze ambientali, sociali e di governance per le opportune valutazioni sulla gamma di strumenti finanziari e assicurativi da rendere disponibili al mercato, sia in sede di strutturazione e selezione della propria gamma d’offerta sia in fase di selezione del prodotto e di valutazione dell’adeguatezza. Proprio a questo fine, l’ESMA auspica un’introduzione di tale principi nell’ambito della MiFID II(7), in modo da integrare le variabili ESG (Environmental, social and governance) per i profili attinenti la product governance e l’adeguatezza, ponendo l’accento su una serie di adempimenti da parte degli intermediari in modo che possano fornire ai propri clienti adeguate informazioni sugli strumenti finanziari sostenibili, integrati delle doverose descrizioni relative alla natura e ai rischi del prodotto. L’ESMA, proponendo modifiche alla normativa UCITS e AIFMD(8), ha posto l’obiettivo principale di chiarire a tutti i gestori di fondi – soggetti ai citati regimi normativi e che intendano commercializzare prodotti finanziari o obbligazioni societarie come ecosostenibili – di incorporare i rischi di sostenibilità nelle loro procedure di due diligence e, di conseguenze, valutare i rischi di sostenibilità derivanti dai loro investimenti, oltre agli altri rischi rilevati, quali il rischio di mercato, di interesse o di credito con le dovute precisazioni circa il grado di sostenibilità dei prodotti attraverso i criteri e gli obiettivi previsti dalla c.d. “tassonomia sulla sostenibilità”(9).
Dunque, diverse sono le aree di possibile intervento nell’ambito della MiFID II la cui revisione rappresenta un’operazione complessa nella sua interezza ed una nuova opportunità per il mercato ma occorre di fatto, correlare l’esigenza di tutela dell’investitore alla necessità di non ingessare eccessivamente l’industria del risparmio, garantendo una maggiore uniformità applicativa a livello europeo.
Perseguire detti obbiettivi, a mio avviso, equivarrebbe ad innovare profondamente la struttura della normativa, partendo da una radicale semplificazione della stessa, in modo da rendere effettivo l’equilibrio dei plurimi interessi di mercato a lungo ricercato dagli intermediari e dagli investitori. Tale processo di semplificazione normativa e di standardizzazione, accompagnato da regole chiare e condivise, favorirebbe il mercato nel suo complesso, proferendo maggiore efficacia ed adeguatezza ai controlli interni degli intermediari ed alle stesse Autorità di Vigilanza chiamate a vigilare sull’intero comparto.
Queste naturali aspirazioni troverebbero terreno fertile in circostanze epidemiologiche ed emergenziali come quelle attuali laddove si riuscisse ad alleggerire prassi e procedure che il mercato chiede in virtù dei potenziali cambiamenti degli stili di vita, del cambiamento climatico, degli usi e dei costumi di cui dovrà tenersi conto anche ai fini normativi.
Intervento del Dott. Nicola MITIDIERI, Head of Compliance and Anti Money Laundering – Dea Capital RE SGR
Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Raccomandazione n. 2 del 28-02-2019, Consob
(2) Raccomandazione n. 1 del 07-05-2020, Consob
(4) Consultazione Pubblica: Review of the MiFID II/MiFIR regulatory framework – Commissione Europea
(5) Action Plan in materia di crescita sostenibile – Commissione Europea
(6) ESMA – Strategy on Sustainable Finance – 06-02-2020
(9) UE – Finanza Sostenibile: accordo su tassonomia, 12-2019