La funzione valutativa: riprogettiamo il “modo” di valutare la performance
Cominciamo dalla fine: l’articolo 5, comma 11-quater, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito con la legge 135/2012 afferma che “ciascuna amministrazione monitora annualmente, con il supporto dell’Organismo indipendente di valutazione, l’impatto della valutazione in termini di miglioramento della performance e sviluppo del personale, al fine di migliorare i sistemi di misurazione e valutazione in uso.”
Dall’esperienza di formatore traggo una interessante conclusione al riguardo: il dettato dell’articolo è assolutamente sconosciuto!
La legge in cui è inserito l’articolo tratta di “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario. E l’articolo 5, reca in rubrica “Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni”.
Certamente si tratta di una norma che aveva lo scopo di racchiudere in sé diverse emergenze del momento, pur se nello stesso testo normativo. E ciò dà ancora più valore alla riflessione, che si rende necessaria, sulla “utilità” del sistema di valutazione.
Non si tratta di discutere sulla utilità, in senso assoluto, di esprimere una valutazione sulla performance o sui dirigenti, quanto, invece, sulla funzionalità dei sistemi attualmente impiegati.
Se applicassimo la norma alla lettera rischieremmo di generare un “corto circuito”: dovremmo, infatti, trovare indicatori dimensionali capaci di esprimere “l’impatto della valutazione in termini di miglioramento”.
Certamente, laddove si rafforzasse questa pretesa ci troveremmo di fronte a un giusto rilievo: i benefici della valutazione si ripercuotono sull’intero sistema organizzativo e hanno effetti che si avvertono nel lungo periodo, dunque, non sono misurabili.
Ebbene, grazie a questa riposta scatterebbe un’altra domanda: ma allora, se ciò è vero, perché, invece, la valutazione della performance viene alimentata da strumenti di misurazione di tipo dimensionale?
La funzione valutativa è necessaria e fondamentale, perché riguarda l’esigenza di “evidenziare il valore” delle azioni intraprese e dei risultati conseguiti, in relazione alle “aspettative” e alle funzioni istituzionali.
Come si comprende, il tema di cui si tratta sono i “valori”, non le “dimensioni”. I valori esprimono l’importanza, le priorità, la rispondenza rispetto ai bisogni avvertiti; le dimensioni esprimono una prospettiva di misurazione che non sempre rivela un valore.
È comprendibile l’esigenza di misurare. Serve a effettuare comparazioni e a garantire oggettività nei calcoli. Ma non basta una giustificata esigenza per concludere che “tutto è misurabile”.
Basta pensare alla grave equazione, molto diffusa, costi e valori. Il costo è un attributo di “scambio” ed esprime quanto di è disposti a spendere o a ottenere in cambio di qualcosa. Il valore è un attributo di importanza che indica il grado di attenzione nei confronti di qualcosa, indipendentemente dal costo.
Soltanto all’interno di un “mercato” le due cose si equivalgono. Ma (mi auguro) se nel corso di una trattativa di mercato, qualcuno avverte un malore, sarebbe naturale aspettarsi un ribaltamento delle prospettive e l’attribuzione di attenzione alla vita umana.
Abbiamo bisogno di valori. Sono questi a muovere le coscienze e a generare bisogni e aggregazioni. E abbiamo bisogno di valutazioni per verificare quanto questi siano effettivamente conseguiti. Ma come si fa?
Certamente non si fa attraverso la “misurazione del banale” o la “semplificazione delle complessità”. Questi due fenomeni rappresentano, infatti, il vero problema contemporaneo: da una parte la pretesa di esprimere ogni fenomeno attraverso una dimensione (che nei casi più complessi, diventa economica); dall’altra quella di ridurre ogni fenomeno, anche il più complesso, a un algoritmo, con la pretesa che sia giusto e che, laddove non funzioni, sia la realtà a doversi adeguare.
Sono queste derive che hanno reso banale e insignificante il processo valutativo, recando un grave pregiudizio al ciclo delle performance e impedendo alle aziende di comprendere, fino in fondo, il valore generato e la direzione verso cui orientare la propria azione o il proprio business.
C’è bisogno di valutazione, ma in modo serio, non frettoloso e “ragionieristico” o “ingegneristico”. Ogni azienda e ogni istituzione pubblica (perché non sono la stessa cosa) dovrebbe essere in grado di definire i propri “valori di riferimento” dai quali fare discendere le politiche da adottare e in base ai quali “valutare” i risultati conseguiti.
Ma non si tratta soltanto di numeri: si tratta di relazioni, governance interna ed esterna, prospettive di sviluppo, flessibilità e adeguamento, capacità di rispondere ai bisogni, capacità di generare fiducia e affidabilità, funzionalità, organizzazione, ecc. Sono tutte “cose” che non si misurano, ma sulle quali si fonda la vita e la sopravvivenza di qualsiasi istituzione. E sono tutti ambiti sui quali sarebbe utile potere esprimere una costante “valutazione”, sia per esplicitare un “giudizio” (perché valutare vuol dire esprimere giudizi), sia per guidare l’organizzazione verso traguardi di alto profilo che no si limitino al “fare”, ma che richiedano agli operatori, la giusta attenzione sul “modo di fare”.
È questo l’ambito della valutazione: il modo di esercitare il ruolo rivestivo. E il modo non si misura, ma c’è bisogno di osservarlo costantemente. Perché è in ragione di questo che si determina il successo o l’insuccesso di una organizzazione.
Il prossimo 9 giugno, ad Ascoli Piceno, nella straordinaria sede della Fortezza malatestiana, messa a disposizione dal Comune, ci interrogheremo sulla funzione della valutazione della performance. E lo faremo interrogando, non soltanto i protagonisti interni alle organizzazioni, ma anche i destinatari dell’azione pubblica.
Una buona amministrazione, infatti, non si può giudicare soltanto dal rispetto di indicatori o degli adempimenti previsti, ma dalla capacità di fornire risposte agli interlocutori prioritari, a cui rivolge la sua azione: le imprese, i cittadini, le associazioni, i professionisti, ecc.
In quella sede proporremo l’adozione di un sistema di “valutazione sostenibile” inteso come “patto sociale” che coniughi la specificità del contesto con i suoi vincoli e le sue opportunità. Ma che affidi allo stesso contesto il ruolo di attribuire “valore” agli esiti dell’Amministrazione, non alla misurazione del numero di pratiche o di atti realizzati.
Infatti, quando il valore non si riesce a misurare, perché non vi è una dimensione capace di esprimerlo, si rende necessario coinvolgere, in modo diretto, il destinatario prioritario dei processi istituzionali. E non si tratta di intervistare i “clienti” (quelli hanno un potere limitato al prodotto, non al processo), ma di individuare un ruolo specifico di cittadini, sia nella fase di definizione delle “aspettative di risultato”, sia nelle fasi di monitoraggio e valutazione finale.
Per assicurare all’evento del 9 giugno un punto di partenza “concreto”, abbiamo lanciato un questionario, aperto al pubblico (ma per il quale è inibita la ripetizione) dei dirigenti, amministratori e operatori delle pubbliche amministrazioni, con lo scopo di fare il punto sugli strumenti e sulle metodologie attuali per verificarne i limiti e progettare, insieme, il loro miglioramento.
L’intervento di miglioramento si rende necessario, proprio in ragione del fatto che, le spinte teoriche orientate alla misurazione e alla banalizzazione, non risultano ancora placate e portano a considerare la funzione valutativa come un adempimento, alimentato da calcoli, algoritmi e statistiche che non esprimono alcun valore e che, soprattutto, marcano la lontananza tra l’Amministrazione e i destinatari della sua azione.
La valutazione non è un semplice adempimento e non può ridursi a qualcosa che abbia solo rilevanza interna. Deve, invece, essere strettamente connessa alla rendicontazione e alla immediata comprensibilità dei fruitori dei servizi e dei cittadini.
La valutazione è uno degli strumenti della partecipazione democratica che comincia con la definizione delle politiche e prosegue con l’attenzione alle scelte, allo scopo di alimentare la consapevolezza sociale.
Se vogliamo che la funzione valutativa abbia una funzione, dobbiamo, dunque, avere il coraggio di ri-progettarla, evidenziandone gli scopi, gli attori, le modalità e i destinatari.
CONVEGNO NAZIONALE, 9 giugno – Ascoli Piceno, consultare questo link