Le sentenze della Corte Costituzionale sul Payback: una battuta d’arresto per le aziende, ma la partita è ancora aperta

Le sentenze della Corte Costituzionale sul Payback: una battuta d’arresto per le aziende, ma la partita è ancora aperta

14 agosto 2024

di Matteo CORBO

Le recenti decisioni della Corte Costituzionale sul payback dei dispositivi medici hanno sollevato numerose preoccupazioni tra le aziende del settore, non solo per le implicazioni finanziarie immediate, ma anche per le incertezze giuridiche e strategiche che ne derivano. 

Il payback sanitario è un meccanismo introdotto in Italia con l’obiettivo di contenere la spesa pubblica nel settore sanitario, trasferendo parte del rischio economico sulle imprese fornitrici di dispositivi medici.

In particolare, quando la spesa sanitaria supera i tetti prefissati, le aziende sono obbligate a rimborsare una quota proporzionale della cifra in eccesso, appunto il cosiddetto “payback”.

Di questa tematica – e delle controversie che ne sono derivate – abbiamo già ampiamente parlato(1)(2); in particolare, nell’ultimo articolo del 28/06/2024(3) si raccontava l’attesa della fondamentale sentenza della Corte costituzionale, domandandosi se per il payback (ed il successivo “Decreto 0,75%”, per il quale si attende ancora l’udienza del prossimo 2 dicembre) ci sarebbe stato “un Giudice a Berlino”. Ebbene, quel Giudice non si è materializzato, lasciando le aziende del settore in una situazione di grave difficoltà.

La sentenza: la sopravvivenza delle imprese è a rischio?

Infatti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 140/2024, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, confermando la piena validità del meccanismo del payback. La decisione è stata motivata principalmente con la necessità di garantire la sostenibilità del sistema sanitario pubblico, considerata preminente rispetto agli interessi economici delle singole aziende.

La sentenza, in questo modo, non ha tenuto conto delle peculiarità settoriali e della reale incidenza delle disposizioni normative sulle dinamiche operative e finanziarie delle imprese. È evidente che il meccanismo del payback, soprattutto nella sua applicazione retroattiva, comporta significativi rischi per la stabilità finanziaria delle aziende, che si vedono gravate da oneri difficilmente prevedibili e gestibili a livello manageriale. Infatti, il rimborso delle somme dovute a titolo di payback potrebbe comportare, soprattutto per le imprese di piccole e medie dimensioni, una significativa erosione delle risorse finanziarie, mettendo a rischio la continuità aziendale

Dal punto di vista giuridico, la sentenza presenta diverse criticità.

  • In primo luogo, si può sollevare il dubbio che il payback, così come strutturato, violi il principio di proporzionalità, imponendo alle aziende un sacrificio eccessivo rispetto agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica.
  • Inoltre, la retroattività del meccanismo contrasta con il principio di tutela dell’affidamento legittimo, fondamentale in un ordinamento giuridico che si basa sulla prevedibilità delle regole e sulla stabilità delle condizioni operative.

Tutti elementi che la Corte ha scelto di non valorizzare, puntando tutto sulla necessità di garantire la tenuta economica del sistema sanitario pubblico e, in definitiva, del sistema-Paese nel suo complesso.

La sentenza: lo sconto per tutti

Invece, miglior sorte è toccata alle aziende relativamente all’altra sentenza in materia di payback, vale a dire la 139/2024. Tale decisione verte sul famigerato art. 8 del Decreto legge n. 34 del 2023, il quale, col principale scopo di “scoraggiare” le numerosissime aziende che avevano contestato giudizialmente tale sistema, ha istituito un fondo statale per le regioni che avevano superato il tetto di spesa, prevedendo altresì un consistente sconto (52%) a favore delle imprese che avessero rinunciato al ricorso.

La Corte ha dichiarato incostituzionale tale disposizione nella parte in cui condizionava la riduzione del contributo alla rinuncia da parte delle imprese a contestare in giudizio i provvedimenti di pagamento, la quale rappresentava peraltro una palese compressione del fondamentale diritto costituzionale di difesa.

La conseguenza di tale pronuncia è dunque da accogliersi positivamente per le aziende: lo “sconto” del 52%, che il Legislatore aveva introdotto a causa dei numerosi ricorsi al TAR, si estenderà a tutti: tale sconto, pertanto, si applicherà a tutte le imprese e non soltanto a quelle che avevano rinunciato al ricorso o lo avevano abbandonato.

In ogni caso, resta il fatto che gli importi oggetto di richiesta da parte delle Regioni, anche se sostanzialmente dimidiati, rimangono significativi e rischiano di condurre molte aziende sull’orlo del fallimento.

Payback, non tutto è perduto… alcune accortezze strategiche

Tuttavia, si è persa una battaglia, ma non la guerra. Infatti, alcune accortezze strategiche sono ancora possibili per le aziende, al fine di mitigare gli effetti della decisione.

Innanzitutto, per le imprese che hanno fatto ricorso e ottenuto l’ordinanza cautelare di sospensione, è ancora possibile sospendere i pagamenti dovuti a titolo di payback, facendo leva sulla perdurante validità di tali ordinanze cautelari: ogni diversa richiesta da parte delle Regioni potrà essere contestata giudizialmente.

Nel frattempo, nell’ambito dei processi in corso, è ancora possibile chiedere un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In questo contesto, si potrebbe sostenere che il meccanismo del payback viola il diritto dell’UE, in particolare i principi di proporzionalità e di certezza del diritto, chiedendo un intervento che possa rivedere la legittimità del sistema a livello sovranazionale.

Infine, è essenziale che, parallelamente all’attività in sede giurisdizionale, le aziende e le associazioni di categoria del settore facciano pressione sul Governo affinché intervenga sulla questione. Questo potrebbe tradursi in una revisione legislativa che introduca criteri di calcolo del payback più equi, o che preveda forme di compensazione per le imprese maggiormente penalizzate. 

Non dimentichiamoci che, seppure i giudizi che hanno condotto al rinvio alla Consulta riguardano soltanto le annualità 2015-2018, la posta in gioco è molto più alta: infatti, la conferma del payback al momento andrà a incidere su tutte le annualità successive al 2018, passate e future. Pertanto, in difetto di un intervento del Governo e/o del Parlamento, le cifre che le Aziende si vedranno costrette a versare risulteranno incredibilmente maggiori rispetto a quelle di cui si tratta in questo momento. 

In conclusione, la sentenza n. 140 della Corte Costituzionale rappresenta un duro colpo per le aziende del settore, costrette a fronteggiare una normativa che rischia di compromettere seriamente la loro stabilità finanziaria e operativa. Tuttavia, attraverso:

  1. un’attenta strategia processuale e
  2. un’intensa attività di rappresentanza da parte delle associazioni di categoria,

potrebbe ancora essere possibile contenere gli effetti negativi della decisione e promuovere un’evoluzione normativa più equilibrata e sostenibile.

La chiave del successo di una siffatta operazione risiede nella capacità di agire in modo tempestivo e coordinato, sfruttando tutte le risorse giuridiche e relazionali a disposizione, mettendo per una volta da parte tutte le rivalità che caratterizzano, come altri, anche questo settore commerciale.


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti

(1) M. CORBO (2023) Un rischio imprevisto per le imprese: il payback sui dispositivi medici – Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it

(2) M. CORBO (2023) Payback: a volte ritornano. Continua l’incredibile vicenda relativa al payback dei dispositivi medici – Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it

(3) M. CORBO (2024) Dispositivi medici: dopo il payback, il governo colpisce ancora – Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it



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