di Roberto BATTAGLIA
Le organizzazioni sono ricche di persone con capacità imprenditoriali inespresse che non sempre trovano le condizioni adatte per rivelare pienamente il loro potenziale.
Ciò è dovuto, da un lato al fatto che le imprese conoscono solo una parte di questo che potremmo definire un tesoro nascosto, dall’altro allo “stile della casa” che spesso non consente di far emergere pienamente queste qualità.
Le conseguenze di questo stato di cose sono sostanzialmente due: da un lato l’adattamento a fare diligentemente quanto richiesto, con inevitabili ripercussioni sulla motivazione, dall’altro il rischio reale di perdere gli “spiriti vivaci” che decidono di andarsene perché reputano la “stanza dei giochi” in cui si trovano troppo stretta per le proprie ambizioni e per la propria soglia di tolleranza.
In entrambi i casi siamo di fronte a una perdita di una quota di prezioso capitale intangibile.
Anche se le aziende non rappresentano generalmente il posto ideale per fare lo startupper, personalmente sostengo che, nonostante le difficoltà che ho descritto, si possa diventare imprenditori all’interno di un’organizzazione pur senza mettersi in proprio.
Come si può realizzare tutto ciò? Servono anzitutto alcuni presupposti:
Da un lato imprese disposte a creare e rendere disponibili quelli che io chiamo “spazi di espressione“: una sorta di cornice dentro la quale consentire liberamente alle collaboratrici e ai collaboratori di “innamorarsi di problemi promettenti” e sperimentare possibili soluzioni che diventino solidi progetti da farsi finanziare.
Dall’altro persone pronte a occupare questi spazi con impegno e coraggio senza timore di essere giudicate.
Infine, pochi ma chiari meccanismi per gestire questi spazi e una cassetta degli attrezzi per trasformare problemi e sfide in soluzioni concrete.
Queste e altre riflessioni sono contenute nel libro “Startupper in azienda” che affronta il tema dell’imprenditoria interna lungo le tre parti che compongono il volume:
- la prima analizza i cambiamenti in atto nelle organizzazioni;
- la seconda esplora l’Intrapreneurship nelle sue diverse componenti e fornisce alcune direttrici e linee guida per abilitarla all’interno delle aziende;
- la terza propone una metodologia e degli strumenti sulla base dell’esperienza sviluppata all’interno di una grande banca italiana: una sorta di incubatore interno che consente di sviluppare soluzioni innovative e scoprire talenti nascosti che potranno ambire più rapidamente a cogliere opportunità professionali e manageriali.
Ma la condizione di “startupper in azienda”, se da un lato può suscitare un certo interesse per i suoi risvolti legati all’accelerazione dell’innovazione e allo sviluppo delle persone, dall’altro fa emergere alcuni temi rilevanti che meritano di essere analizzati e che sono legati al concetto di rischio e di controllo.
La necessità di favorire il progresso, alimentato dall’intraprendenza interna, coniugato con il rispetto delle regole, specialmente nelle realtà maggiormente sottoposte a vincoli regolatori, rappresenta una sfida complessa per i decisori aziendali chiamati a trovare un sempre più difficile punto di equilibrio, e ciò per almeno due ragioni.
Da un lato un quadro normativo sempre più articolato e prescrittivo finalizzato a mitigare i rischi e a fornire maggiori garanzie ai clienti.
Dall’altro l’emergere di modelli, tecnologie e soluzioni, caratterizzate da un’estrema velocità di affermazione, spesso difficili da comprendere e categorizzare con criteri tradizionali, ma capaci di influenzare, fino a sovvertirlo, il quadro competitivo.
Di fronte a una situazione come quella descritta, diventa quindi cruciale trovare nuove forme per individuare un “bilanciamento a geometria variabile” che per essere perseguito deve partire, anzitutto, dal superamento della contrapposizione che spesso esiste (si perdonerà la provocazione) fra un proponente di business “che ci prova”, e un regolatore interno “che sbarra il passo” con un’interpretazione restrittiva delle norme.
Infatti, se da un lato la regolamentazione interna rappresenta un elemento essenziale per garantire un’attività ordinata e coerente con le politiche aziendali, dall’altro talvolta rappresenta un limite all’efficienza dei processi. Questo spesso accade perché processi e prodotti non vengono disegnati con business e funzioni di controllo allo stesso tavolo ed i controlli vengono generalmente integrati in una fase successiva.
Al contrario, progettando la macchina avendo da subito l’obiettivo di un equilibrio tra potenza (business) e sistemi di sicurezza (controlli), il risultato sarà certamente più soddisfacente per entrami gli attori. Tale presupposto è tanto più vero con un approccio realmente digitale che consenta di implementare, by design, nei sistemi aziendali i necessari presidi, con controlli “trasparenti” e seamless minimizzando i rischi operativi.
Da qualunque parte la si guardi, ritengo che questa questione possa essere affrontata proficuamente lavorando più sulla cultura e sugli atteggiamenti che sulla conoscenza tecnica e sulla dotazione di nuovi strumenti:
- l’apertura alla comprensione delle ragioni reciproche come leva per superare la dialettica che talora porta al “barricamento” all’intero dei propri silos professionali;
- l’impegno, in alcune fasi, a un lavoro di co-creazione più che di aspra negoziazione;
- la capacità di leggere il contesto competitivo e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie;
- il coraggio di affrontare nel continuo e con la giusta flessibilità intellettuale e operativa, dei dilemmi.
Mi permetto, in chiusura, di proporne alcuni, augurandomi possano alimentare il dibattito intorno a queste questioni così complesse e appassionanti nello stesso tempo: complesse per le ragioni che ho richiamato sopra, appassionanti perché potrebbero, a mio parere, dischiudere nuove frontiere per chi si occupa di gestire i rischi e la conformità.
- Guardiani o stimolatori?
- Le regole sono una necessità o una schiavitù?
- Pensiero critico o pensiero unico?
Al di là della provocazione, ritengo che riuscire a trovare una via fra queste polarità possa contribuire a orientare positivamente le strategie future. Mai come oggi le funzioni di controllo, forti di una conoscenza unica delle normative dovrebbero ragionare out-of-the-box per supportare il business nell’innovazione sfruttando gli spazi, talvolta ristretti ma spesso disruptive, offerti dal regulator e dalle tecnologie applicate alla regolamentazione. Basterebbe orientare una (piccola) parte del loro prezioso patrimonio di conoscenze in direzioni “fuori ordinanza” per riposizionare il proprio ruolo in chiave sempre più di partner strategico attivando un percorso virtuoso in grado di superare la dicotomia tra “chi ci prova” e “chi sbarra il passo”.
Saranno questi professionisti i futuri startupper in azienda?
Roberto BATTAGLIA guida la Direzione del Personale della Divisione IMI Corporate & Investment Banking in Intesa Sanpaolo.
È autore del libro “Startupper in Azienda” pubblicato recentemente da Egea