di Matteo CORBO
Un’analisi del nesso fra sostenibilità e anticorruzione non può non partire dal citatissimo (talvolta anche a sproposito) acronimo “ESG”.
L’approccio ESG deriva da un concetto, coniato e sviluppato all’inizio degli anni ’90, fra gli altri, dall’imprenditore John Elkington, conosciuto come “Triple Bottom Line” o anche come “People, Planet and Profit (PPP)”, secondo il quale le aziende non dovrebbero concentrarsi soltanto sul raggiungimento del profitto, ma anche sul rispetto delle persone e dell’ambiente, elementi altrettanto importanti per la sostenibilità di un’impresa.
I fattori ESG rappresentano ad oggi il caposaldo dell’investimento sostenibile e responsabile ed operano:
- sia come metro di valutazione della sostenibilità delle imprese e di conseguenza degli investimenti,
- sia per formulare una classifica delle aziende che meglio si adattano e sono in grado di rispettare questi tre parametri.
Il rating di sostenibilità o rating ESG deriva dalla valutazione effettuata sul sistema aziendale, tenendo conto delle attività e delle misure che le diverse organizzazioni (aziende, associazioni, scuole, banche, fondi, enti pubblici, ecc.) adottano sotto il profilo ambientale, sociale e di governance.
ESG è infatti l’acronimo di “Environmental, Social e Governance” e ovvero i tre fattori fondamentali che sono oggetto di analisi per valutare le effettive capacità delle aziende di regolare e gestire il proprio impatto e più in generale per vagliare la sostenibilità di un investimento.
Il fattore Environmental si inserisce nel contesto del cambiamento climatico e fa riferimento all’efficienza dell’impresa circa l’utilizzo delle risorse naturali, il rispetto della biodiversità, la sicurezza agroalimentare e il contenimento delle emissioni di CO2.
Il fattore Social si riferisce invece alle decisioni e alle iniziative aziendali che impattano concretamente sulla collettività; tra queste figurano il rispetto dei diritti umani, civili e lavorativi, l’attenzione al riconoscimento di condizioni di lavoro adeguate, l’osservanza della normativa applicabile sui luoghi di lavoro, la parità di genere e il rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione.
Il fattore Governance riguarda infine la responsabilità delle imprese in termini di organizzazione e gestione interna ed è il parametro che fornisce agli osservatori esterni indicazioni cruciali sull’identità aziendale; attenzione particolare viene rivolta, ad esempio, alle strategie di retribuzione, alle politiche di diversità nella definizione del consiglio direttivo, al rispetto della meritocrazia e al contrasto della corruzione.
Spesso, quando si parla di sostenibilità, si fa riferimento esclusivamente ai fattori ambientali che – effettivamente – la contraddistinguono. Tuttavia, assumono centrale rilievo, al fine di assicurare un reale orientamento strategico delle imprese verso la sostenibilità, anche gli aspetti Social e di Governance.
In questo senso, un contributo essenziale è fornito dall’Agenda 2030, un programma di azione volto a favorire la sostenibilità dello sviluppo e la tutela del Pianeta, sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa è articolata in 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, “SDGs” – da raggiungere entro il 2030.
In attuazione di questa agenda, in Italia è stata istituita la Cabina di regia “Benessere Italia”, organo istituito presso la Presidenza del Consiglio al quale spetta il compito di “coordinare, monitorare, misurare e migliorare le politiche di tutti i Ministeri nel segno del benessere dei cittadini”. Un passo avanti per dotare l’Italia di un’adeguata governance per l’Agenda 2030, uno strumento che permetterà al Governo di promuovere un benessere equo e sostenibile attraverso la definizione di nuovi approcci e nuove politiche.
L’Agenda 2030, all’Obiettivo 16 – “Pace Giustizia e Istituzioni forti” – affronta un tema di Governance di grandissima rilevanza, che attiene giustizia e alla costruzione di istituzioni efficaci e responsabili. È il concetto del “buon governo”, presupposto fondamentale per una società pacifica ed inclusiva. L’impegno prioritario è quello di combattere tutte le forme di criminalità organizzata e ridurre in modo significativo la corruzione e l’illegalità, garantendo pari opportunità nell’accesso alla giustizia. Per raggiungere questo obiettivo, come è facile intuire, sarà necessario un forte coinvolgimento di tutte le componenti della nostra società, dalle imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori dell’informazione e della cultura.
Le modalità attuative di tali obiettivi possono concretizzarsi in declinazioni diverse. In Italia, per esempio, la cosiddetta Legge anticorruzione, legge 6 novembre 2012, n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” prevede una serie di misure preventive e repressive contro la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione e rappresenta un forte contributo da parte del mondo pubblico rispetto all’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030.
La ratio sottesa a tale Legge è proprio quella della prevenzione e della repressione del fenomeno corruttivo tramite un approccio multidisciplinare, nel quale gli strumenti sanzionatori si configurano solamente come alcuni dei fattori per la lotta alla corruzione e all’illegalità nell’azione amministrativa e non come nucleo centrale dell’impianto normativo.
Tale normativa rappresenta, da un lato, un passo importante nel percorso verso l’adeguamento del nostro ordinamento giuridico rispetto agli standard internazionali e, dall’altro, un elemento di democratizzazione dell’intero “sistema Italia”, attraverso un forte rafforzamento degli obblighi di trasparenza a carico dei soggetti pubblici, rompendo così il tradizionale binomio “opacità-corruzione”.
La legge 190/2012 poggia sulla consapevolezza che la corruzione mini la credibilità di un sistema Paese nel suo complesso; il pregiudizio in termini di credibilità è destinato a tradursi in danno anche di natura economica:
- risultando alterata la concorrenza e, quindi,
- disincentivati gli investimenti anche stranieri,
- frenando di conseguenza lo sviluppo economico.
L’attuazione della legge anticorruzione parte da una necessaria mappatura dei processi dell’Ente o della Società pubblica e quindi si incentra sull’individuazione delle misure concretamente necessarie per la riduzione del rischio corruttivo. Tali importanti presidi anticorruzione si rivelano spesso misure utili anche a rafforzare la sostenibilità dell’Azienda e quindi da inserire anche nel report di sostenibilità (si pensi alle misure in materia di digitalizzazione).
Oltre a tale normativa, applicabile innanzitutto ai soggetti pubblici, il nesso fra anticorruzione e sostenibilità si realizza anche attraverso lo strumento del rating di legalità, che coinvolge principalmente, anche se non in via esclusiva, i soggetti privati.
Il rating di legalità è infatti uno strumento introdotto nel 2012 per le imprese italiane, volto alla promozione e all’introduzione di principi di comportamento etico in ambito aziendale tramite l’assegnazione di un “riconoscimento” – misurato in “stellette” – indicativo dell’attenzione dell’azienda richiedente al tema e, più in generale, del grado di attenzione riposto nella corretta gestione del proprio business.
I presupposti di assegnazione del rating sono trasversali e toccano tutti i punti ESG. A livello di governance, l’impresa che ottiene il rating dimostra di avere un’adeguata struttura organizzativa (i soggetti apicali non devono aver ricevuto condanne penali per tutta una serie di reati, tra cui quelli legati alla sicurezza sul lavoro, all’ambiente e alla corruzione). A livello sociale, tale rating prevede che l’impresa non sia stata raggiunta nel recente passato, fra le altre cose, da provvedimenti sanzionatori per violazioni della normativa in materia di concorrenza, tutela dei consumatori, nonché salute, copertura previdenziale e sicurezza dei lavoratori.
Peraltro, ad ulteriore conferma del forte collegamento che lega sostenibilità e rating di legalità, uno dei criteri premiali per l’ottenimento di punteggio nell’ambito del rating è la circostanza che la società abbia predisposto processi organizzativi idonei a garantire forme di Corporate Social Responsibility (“CSR”) anche attraverso l’adesione a programmi promossi da organizzazioni nazionali o internazionali, nonché grazie all’acquisizione di indici di sostenibilità.
Sotto un diverso profilo, un altro interessante ambito di intersezione fra anticorruzione e sostenibilità è rappresentato dalle modifiche al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, recentemente approvate nel giugno 2023 (dopo un percorso per il vero piuttosto travagliato), aggiornando così il d.p.r. n. 62 del 2013, nell’ottica di adeguarlo al nuovo contesto socio-lavorativo e alla necessità di una maggior tutela dell’ambiente.
In particolare, tra le principali novità figura anche la valorizzazione dei comportamenti “green” tenuti dai dipendenti, che contribuiscono alla riduzione del consumo energetico, delle risorse idriche e dei rifiuti.
Secondo il Codice così aggiornato, il dipendente è tenuto a conformare la propria condotta sul luogo di lavoro al rispetto dell’ambiente, assumendo comportamenti che possano in concreto contribuire alla riduzione del consumo energetico, delle risorse idriche e più in generale dei materiali e delle risorse fornite dall’amministrazione, nonché per la riduzione dei rifiuti e per il loro riciclo.
La riforma in questione è destinata ad incidere anche sulla programmazione in materia di anticorruzione e trasparenza che le Amministrazioni sono chiamate ad adottare annualmente.
Come chiarito da ANAC, l’adozione del codice da parte di ciascuna Amministrazione rappresenta una delle “principali misure di attuazione della strategia di prevenzione della corruzione a livello decentrato”, e costituisce un “elemento complementare del PTPCT di ogni amministrazione” (PNA 2019), ovvero, a partire dal 2022, dell’apposita sezione del Piano integrato di attività e organizzazione (“PIAO”).
I doveri soggettivi di comportamento connessi al rispetto dell’ambiente potrebbero dunque acquisire un fondamentale rilievo ai fini dell’attuazione della strategia anticorruzione, che viceversa potrebbe contribuire al più veloce raggiungimento di standard ambientali virtuosi.
In conclusione, sempre più la sostenibilità rappresenta uno strumento fondamentale di prevenzione della corruzione, mentre di converso le misure anticorruzione divengono non soltanto elementi della sostenibilità in senso ampio, ma anche strumenti di una strategia di contenimento dei consumi. Questi due valori fondamentali – non a caso enunciati congiuntamente nell’Agenda 2030 – devono essere considerati in prospettiva integrata in ogni rating di sostenibilità e in ogni mappatura dei processi in applicazione della L. 190/2012, con l’evidente efficientamento – in termini sia operativi, sia strategici – che una gestione sinergica di questi due elementi di compliance inevitabilmente comporta.
Nella prospettiva dell’effettiva realizzazione del sistema delineato dall’Agenda 2030, l’integrazione sopra delineata diviene sempre più necessaria, anche alla luce, da un lato, dei significativi fenomeni di cambiamento climatico a cui stiamo assistendo e, dall’altro, dalle turbolenze che caratterizzano il quadro geopolitico e finanziario a livello internazionale.