Il 25 giugno scorso ASMEL – Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali con 2323 Soci in tutt’Italia – ha organizzato, il Convegno INNOVAZIONE NEGLI APPALTI. TRA COMPETENZA E LEGALITÀ.
Il tema centrale è stato l’evoluzione normativa e procedurale contenuta nelle Linee Guida dell’Autorità Anticorruzione (ANAC), i decreti attuativi e la relazione con le direttive europee.
Risk & Compliance ITALIA è lieta di pubblicare gli atti della Tavola Rotonda “Troppe leggi, nessuna legge. Colpa dell’Anticorruzione o della politica?” e il video del Convegno.
(La Redazione)
Tavola Rotonda “Troppe leggi, nessuna legge. Colpa dell’Anticorruzione o della politica?”
Partecipano Francesco Pinto, Segretario generale Asmel, Massimo Balducci, Università di Firenze, Ferdinando Pinto, Università di Napoli e Carlo Marino, Sindaco di Caserta.
Dott. FRANCESCO PINTO, Segretario generale Asmel
Per introdurre il dibattito, vorrei partire da qualche osservazione ed alcuni dati che ho raccolto.
A scorrere le direttive europee, si scopre che il RUP, Responsabile Unico del Procedimento non è mai citato. Vengono richiamati diffusamente compiti e responsabilità delle Stazioni appaltanti, senza sentire il bisogno di dettare norme sui loro procedimenti interni. Viceversa, il nuovo Codice Appalti, ha ritenuto necessario richiamare compiti e funzioni del RUP ben 58 volte.
Siccome non basta, l’intero articolo 31 del Codice, di 14 commi, è stato dedicato ad un minuzioso elenco delle attribuzioni del RUP.
E poiché ancora non basta, al comma 4 le attribuzioni vengono ulteriormente dettagliate in 10 punti precisando che esse vanno intese oltre ai compiti specificatamente previsti dalle altre disposizioni del codice.
Non è finita. Al comma successivo, leggiamo che ANAC con proprie linee guida definisce una disciplina di maggiore dettaglio sui compiti specifici del RUP.
ANAC, non se l’è fatta ripetere due volte ed è puntualmente intervenuta con 40 ulteriori dettagliatissime prescrizioni, tra le quali curiosamente non troviamo il colore dei calzini che deve indossare il RUP.
Abbiamo raccolto anche altri dati. Ci siamo divertiti a contare quante volte appare in Gazzetta Ufficiale il termine CONSIP: 340 volte, nell’ambito di 68 provvedimenti normativi. Il tutto all’insegna di IO SONO CONSIP E NON AVRAI ALTRA CONSIP AL DI FUORI DI ME. Una serie di norme in base alle quali il funzionario pubblico deve comprare dai cataloghi o convenzioni Consip anche quado è evidente che in tal modo lo Stato viene a spendere di più.
Come ripetiamo da anni, la cifra che caratterizza la nostra legislazione è il bigottismo normativo (v. prefazione al libro IL BORGOMASTRO E IL CANCELLARIO, ed. ASMEL 2018). Si pensa di poter governare una società che si evolve con una velocità impressionante con norme dove tutto viene descritto e prescritto. ASMEL, lo denuncia da anni ricordando che ormai, nei piccoli Comuni, si impiega più tempo per adempiere che per funzionare. Cioè per erogare servizi ai cittadini, che poi dovrebbe rappresentare la missione centrale dell’Ente.
Il nuovo Codice degli Appalti avrebbe dovuto garantire legalità e semplificazione. A due anni dalla sua approvazione, però, sono stati varati solo 28 dei 66 decreti attuativi previsti e già il numero delle parole contenute nel nuovo strumento normativo supera del 143% quello precedente. Di questo passo, ad opera completata (altri due anni?) le parole complessive sono destinate a rappresentare il 251% di vecchio Codice e vecchio Regolamento messi insieme. Non proprio il massimo della semplificazione.
Il nuovo Governo sostiene che l’attuale normativa sugli Appalti è “complicata, illeggibile e che paradossalmente era stata scritta per diminuire la corruzione, ma oggi sta bloccando il Paese e non sta fermando i corrotti”. Sul punto è d’accordo anche il Presidente Cantone quando sostiene che: “sarebbe opportuno fare delle semplificazioni. Ci sono delle indicazioni da accogliere dal governo, sempre restando che governo e parlamento sono i domini”.
Infatti, tocca a loro scrivere o modificare le leggi. In attesa che si passi dalle parole ai fatti, una riflessione ed un approfondimento sul come e perché siamo a questo punto si impone. Sul punto, non lasciano dubbi gli esiti del Sondaggio da noi commissionato all’Istituto NOTO SONDAGGI su un campione rappresentativo di funzionari e amministratori locali, chiamati ad esprimersi sul bigottismo normativo, Con una maggioranza bulgara, gli intervistati hanno manifestato difficoltà e insofferenza rispetto a un impianto normativo che, specie nel settore degli appalti, impone inestricabili vincoli formali, che rallentano o bloccano le attività e generano frustrazione e deresponsabilizzazione.
Avv. CARLO MARINO, Sindaco di Caserta
Cantone dice spesso cose molto interessanti, ma spesso c’è incongruenza tra ciò che dice lui e ciò che invece fanno i suoi uffici. Abbiamo vissuto negli ultimi vent’anni uno strano fenomeno: appena si arrivava al completamento di una legge, si lavorava già al superamento della norma. Ecco quindi che l’impossibilità di avere chiarezza produce il primo malfunzionamento all’interno dell’ente locale per l’impossibilità di gestire la norma: guardiamo l’ANAC, il TAR, il Consiglio di Stato.
Tanto i RUP quanto i responsabili di Area Tecnica hanno difficoltà ad interpretare la norma, con la paura ad interpretare male quel limite tra la legittimità e l’illiceità dell’atto; quel limite sottile tra il dolo intenzionale e il dolo generico che porta dritti all’abuso d’ufficio. Ciò rende impossibile rispettare i tempi europei e dare risposte in tempi rapidi ai cittadini. Chi assume responsabilità amministrative deve essere messo in condizione di operare.
Il Codice degli appalti deve fare chiarezza; la norma non si interpreta, deve essere chiara e deve essere data ai cittadini e alla pubblica amministrazione in maniera non equivoca. Quello che emerge dal sondaggio dovrebbe indirizzare l’azione legislativa: può o deve la legalità prevalere sulla semplificazione? La sfida semplificando abbassiamo o aumentiamo il livello qualitativo della legalità? Il controllo a monte o a valle? Io sono per il controllo a valle: chi sbaglia deve essere punito in maniera seria e decisa, ma chi inizia ad operare con trasparenza, nel rispetto delle norme, va fatto lavorare, con concretezza, con capacità, dandogli la possibilità di assumersi le sue responsabilità senza avere assolutamente nessuna spada di Damocle che gli possa far diventare quella legalità, illegalità o quella semplificazione invece un appesantimento delle procedure amministrative.
Vorrei infine aprire uno scenario riguardo anche alla missione di chi opera nell’amministrazione locale; io ritengo che con le buone pratiche amministrative si alzi anche il livello della legalità e della semplificazione.
Prof. MASSIMO BALDUCCI, docente alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze
In Italia non sappiamo scrivere le leggi. Parlando con colleghi tedeschi e francesi non si spiegano come sia possibile che l’OIV faccia capo in Italia all’Autorità Anticorruzione. È normale che per essere performante non devo essere corrotto, ma è altrettanto evidente che non basta non esserlo. Entrando nel merito della legislazione degli appalti, la prima cosa che agli stranieri appare strana è che noi dopo l’aggiudicazione dobbiamo fare un contratto; per loro è inspiegabile che avendo un capitolato d’appalto e un’offerta in sede di gara che attesta l’incontro tra domanda ed offerta sia necessario fare un contratto. Il contratto in Germania, in Francia, in Belgio, in Olanda non si fa.
Del resto, spesso e volentieri il contratto tra l’appaltatore e la Stazione Appaltante lo fa direttamente il legale della ditta. In Germania il capitolato per fare una scuola è di 18.000 pagine, che diventano vincolanti e che dispongono in maniera puntuale tutte le caratteristiche dell’esecuzione: è quello che sancisce il modo in cui va realizzata l’opera senza spazio ad interpretazioni. Noi dobbiamo imparare a fare i capitolati, è nel capitolato che c’è scritto anche quanti millimetri di cemento ci devono essere sotto alla mattonella. Altra “stranezza” secondo i nostri amici europei è che in Italia il direttore dei lavori sia nominato dalla Stazione Appaltante e non dall’esecutore dei lavori. Questa esigenza è nata nell’800 quando le uniche competenze erano in capo alla Pubblica Amministrazione e i lavori venivano realizzati da piccole imprese artigiane con scarsa capacità organizzativa, ma adesso se metti insieme un capitolato pieno di buchi e un direttore dei lavori lì si annida la corruzione.
La corruzione è laddove lascio alla discrezionalità di una persona fisica la possibilità di decidere quello che non è stato deciso nel capitolato. Noi dobbiamo arrivare a superare questa anomalia, dobbiamo arrivare a far rispettare l’autonomia dei Comuni che hanno il loro più grosso alleato nel consiglio d’Europa, non nell’Unione Europea, dove è possibile trovare un supporto tecnico-giuridico adeguato. In Europa le valutazioni vengono fatte in itinere e non vengono fatte dall’ente che ha fatto l’appalto, ma da un Ente terzo che procede alle verifiche attraverso degli ispettori che hanno specifiche competenze a riguardo. Questi ispettori non sono giuristi ma tecnici, non c’è nulla da interpretare ma solo da verificare tecnicamente se il capitolato è stato rispettato o meno.
Questo processo di riforma è difficile ma non può che partire dai Comuni nei quali c’è un rapporto diretto con i cittadini e con i loro problemi, non certo dal centralismo romano che non conosce le questioni e non sa come affrontarle.
È importante iniziare ad applicare la Carta Europea delle Autonomie Locali e chiederne il rispetto da parte dei Comuni, altro che Linee Guida che all’ANAC non sanno neanche cosa sono e come devono essere fatte. A Bruxelles la procedura è una cosa seria, con indicazioni di dettaglio che aiutano a svolgere l’attività nel modo più corretto, altro che 241…
È una medicina dura ma che va presa, la performance non si raggiunge di certo con l’anticorruzione o violando l’autonomia dei Comuni. L’intervento del legislatore è necessario ma non può essere impostato sulle categorie mentali giuridiche italiane, è necessario quindi che la leva parta dal basso e che coinvolga il Consiglio Europeo e la Carta Europea delle Autonomia Locale.
Prof. FERDINANDO PINTO, ordinario di Diritto Amministrativo Università di Napoli
Il sondaggio tradisce un approccio tipico, quello di cercare sempre altrove le responsabilità. Se le cose non funzionano la colpa è o dell’anticorruzione o della politica, non è mai dell’amministrazione. Il rapporto tra i funzionari pubblici e il Legislatore è simile a quello tra marito e moglie: ogni mattina il marito chiede alla moglie quale calzini mettere, il marito è contento perché si deresponsabilizza e la moglie è contenta perché lo tiene sotto controllo.
Condivido con Balducci l’equivoco di fondo che c’è nell’aver assegnato all’ANAC i compiti di controllo della performance: è evidente che non è questo il modo corretto di affrontare il problema. Sono due cose diverse.
Anche sulle Linee Guida c’è un equivoco. Le Linee Guida nascono nel sistema anglosassone dove si fondano sul sistema dell’equità, da noi sono diventate un alibi per non applicare la norma. Se una norma è in vigore non ha senso attendere le Linee Guida. Va recuperata la centralità del soggetto fisico, questo è stata la grande intuizione della 241. In un mondo dominato dalla complessità bisogna fare una scelta culturale di approccio alla complessità: una scelta è quella dei capitolati di 18.000 pagine dove la complessità viene affidata ad una soluzione tecnica e alla gestione di un tecnico oppure faccio una scelta diversa, che è quella delle varianti in corso d’opera, ossia prendo un obiettivo e a questo declino una discrezionalità massima improntata alla flessibilità.
Qual è il problema vero di questo momento? È il meccanismo della paura che frena il corretto esercizio di quello che è il valore aggiunto della cultura italiana: la flessibilità.
Dott. FRANCESCO PINTO, Segretario generale Asmel
In realtà alla domanda che era contenuta nel titolo della tavola rotonda noi non abbiamo ancora dato risposta. La domanda era “colpa dell’anticorruzione o della politica?
La corruzione si annida ovunque. In Italia si può definire endemica. Ma, come sostiene il Prof. Balducci, non basta non essere corrotti per essere efficienti. Un recente studio dimostra come gli sprechi nella Pubblica Amministrazione dipendano per un 17% dalla corruzione e per un 83% da incompetenza. E per risolvere questo problema l’anticorruzione diventa necessaria ma non sufficiente.
Se poi si ritiene di intervenire con un diluvio di norme spesso incomprensibili (ANAC parla spesso di criticità interpretative), si costringe il RUP a lottare con l’avversario con le mani legate. Sono anni che vengono bloccati i concorsi e le risorse per aggiornamento e formazione. Il RUP è chiamato a barcamenarsi tra mille adempimenti e norme di improbabile interpretazione, mentre deve affrontare un mercato in perenne evoluzione e caratterizzato da operatori economici agguerriti e professionalmente attrezzati.
Non è riducendo od azzerando gli spazi di discrezionalità che si risolve il problema. C’è bisogno di poche norme, ma chiare e semplici. Soprattutto stabili. Si rafforzerebbe anche il ruolo di ANAC, oggi impegnata in improbabili interventi interpretativi o chiarificatori rispetto ad una normativa sempre più ingarbugliata.
Non è vero che in una società complessa servano leggi complesse. In una società, come l’attuale, non solo complessa ma in incessante evoluzione, serve una legislazione a maglie larghe in grado di affrontare in maniera dinamica la complessità.
Video del Convegno L’INNOVAZIONE NEGLI APPALTI TRA COMPETENZA E LEGALITÀ, consultare questo link
Intervento di Francesco PINTO, Segretario Generale Associazione ASMEL
Tiziana Cianflone Replica
Siamo sicuri che semplificando le norme si riduce il livello di legalità? La semplificazione migliora l’applicazione normativa e al contrario, sotte certe condizioni, può aumentare il livello di legalità, soprattutto se accompagnato da un adeguata strategia di diffusione delle informazioni.