Filiera Nord Est

«Tutti a casa»? È prematuro. Le filiere a doppia cifra

19 dicembre 2022

di Giovanni COSTA

Le filiere a doppia cifra e, attenzione a quelle «minori».

Molti osservatori danno per scontato che sia in atto un processo di deglobalizzazione. È sempre sbagliato generalizzare ed estremizzare, in questo caso lo è più che mai.

È invece necessario analizzare specifiche filiere ed entrare nei processi in atto.

Non c’è dubbio che le tensioni geopolitiche e la pandemia hanno indotto a ripensare alcune catene globali di fornitura. Certune sono state accorciate, altre sono in fase di riconfigurazione con massicci investimenti pubblici: finanziamenti per diverse decine di miliardi di dollari sono stati stanziati o programmati da Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e Giappone, per sostenere le rispettive industrie nazionali e garantirsi un minore grado di dipendenza dalle importazioni.

Tuttavia, secondo il McKinsey Global Institute il mondo rimane profondamente interconnesso e infatti la maggior parte dei flussi globali ha continuato a crescere nel 2020 e nel 2021. La Taiwan semiconductor manufacturing company investe 40 miliardi per due fabbriche di chip in Arizona per la tranquillità di Biden e di Apple. Per contro Intel ha in programma investimenti in Europa per 80 miliardi, di cui una parte in Italia e — assicura Zaia – nel Veneto.

I rischi e gli svantaggi della dipendenza si originano dove le produzioni sono state concentrate in talune aree sia per ragioni «naturali» sia per scelte, poi rivelatesi improvvide, delle aziende e degli Stati.

Per noi c’è ancora spazio per miglioramenti visto che in Italia poco meno di un’impresa manifatturiera su tre (31,5%) partecipa alle grandi catene internazionali del valore. Una percentuale che resta molto sotto la media nel sud e sale al nord: 41,5 in Lombardia, 37,4 nel Veneto e 34,3 in Emilia-Romagna (Rapporto Svimez 2022). Chiamare ora il «tutti a casa» sarebbe sbagliato o quantomeno prematuro.

Le catene di fornitura globali non vanno lasciate sole a organizzarsi sulla base delle convenienze di mercato di breve periodo. Vanno incentivate le loro riconfigurazioni valutando la capacità di reazione agli choc, i rischi, la necessità di integrare nella filiera i dati e la conoscenza se non addirittura di creare vere e proprie filiere dei «saperi».

Nelle catene di fornitura il grado di specializzazione (geografica e geopolitica, produttiva, estrattiva, tecnologica) definisce il grado di rischio cui sono sottoposte le aziende partecipanti. Mantenere una certa ridondanza di filiera e programmare una progressiva diversificazione delle fonti (e anche degli sbocchi) ha indubbiamente dei costi ma costituisce una sorta di assicurazione del rischio implicito.

Questo scudo assicurativo richiede una collaborazione tra pubblico e privato che si chiama politica industriale. Politica che consentirebbe di veicolare attraverso le filiere, sotto la regia dell’azienda leader, anche strategie di sostenibilità ambientale, di inclusione, di miglioramento delle strutture patrimoniali e dei meriti creditizi dei singoli membri.

Non esistono solo le filiere «mainstream». Soprattutto nel Veneto si originano o passano catene con dimensioni più contenute che sarebbe però un errore escludere dalla crescita e racchiudere entro confini territoriali. Queste vanno analizzate non solo sul fronte dei rischi ma soprattutto su quello delle opportunità visto che anche le filiere «minori» possono trovare nuove convenienze ampliando la loro integrazione con il mondo. Esse sono alla base dei vantaggi competitivi di molte delle nostre medie aziende regionali e delle grandi aziende internazionali che si installano nel Veneto attraverso acquisizioni o, meno spesso, con investimenti «green field».

A scorrere le cronache economiche degli ultimi mesi si nota che le aziende più dinamiche del Nordest, Emilia-Romagna, Lombardia hanno accompagnato la ripresa spettacolare delle esportazioni con una intensificazione di investimenti diretti esteri di tipo produttivo ma non solo. Sono aziende che realizzano incrementi a doppia cifra di fatturato, export ed ebitda. Sanno collocarsi nella parte più ricca della catena del valore dalla quale controllano e organizzano le altre fasi. Irrobustiscono il modello di business e crescono in esposizione internazionale e in dimensione individuale e di filiera.

Intervento di Giovanni COSTA, Professore Emerito di Strategia d’impresa e Organizzazione aziendale all’Università di Padova. Ha svolto attività di consulenza direzionale e ricoperto ruoli di governance in gruppi industriali e bancari. (www.giovannicosta.it)


Pubblichiamo questo articolo per gentile concessione dell’Autore. Fonte, CORRIERE DEL VENETO/CORRIERE DELLA SERA  del 12-DIC-2022



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