payback dispositivi medici

Un rischio imprevisto per le imprese: il payback sui dispositivi medici

23 gennaio 2023

di Matteo CORBO

Il rischio d’impresa è un elemento con il quale qualunque manager, imprenditore o consulente deve ogni giorno fare i conti.

Ogni investimento o attività produttiva sconta la possibilità che i costi finali siano maggiori di quelli preventivati e che, in alcuni casi, essi possano mettere a repentaglio la continuità dell’attività aziendale. Non di rado accade che i costi aumentino considerevolmente non a causa di elementi endogeni alla struttura aziendale o per variazioni di mercato, ma per interventi diretti del potere pubblico.

È questo ciò che sta accadendo con il fenomeno del payback dei dispositivi medici, che peraltro ricalca la simile vicenda del payback farmaceutico, anch’esso protagonista nelle aule dei Tribunali negli ultimi anni.

A titolo di premessa, chiariamo un primo punto fondamentale: cos’è un “dispositivo medico”. È il Regolamento 2017/745/UE a fornirci una risposta, definendolo come “qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche:

  • diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o attenuazione di malattie,
  • diagnosi, monitoraggio, trattamento, attenuazione o compensazione di una lesione o di una disabilità,
  • studio, sostituzione o modifica dell’anatomia oppure di un processo o stato fisiologico o patologico,
  • fornire informazioni attraverso l’esame in vitro di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati, e che non esercita nel o sul corpo umano l’azione principale cui è destinato mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma la cui funzione può essere coadiuvata da tali mezzi”.

Ciò detto, cerchiamo allora di capire in estrema sintesi cosa è accaduto, ripercorrendo innanzitutto i principali atti normativi che hanno caratterizzato questa articolata vicenda:

  1. l’art. 17, comma, 1 lett. c), del Decreto Legge n. 98 del 2011 ha stabilito che la spesa sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale per l’acquisto dei dispositivi medici fosse fissata entro un tetto, parametrato al fabbisogno sanitario nazionale e regionale standard, da definirsi con successivi decreti interministeriali;
  2. ai sensi dell’art. 9-ter del Decreto Legge n. 78 del 2015, si è poi previsto che una significativa percentuale dell’eventuale sforamento del tetto dovesse essere posto a carico delle aziende che avessero commercializzato in Italia i dispositivi medici nelle annualità di riferimento (nella misura del 40% per il 2015, 45% per il 2016 e 50% dal 2017 in poi);
  3. nel novembre del 2019, dopo ben 8 anni dal D.L. che aveva istituito il meccanismo del tetto di spesa, con due accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni, sono stati definiti i tetti regionali di spesa sia per le annualità ricomprese tra il 2015 e il 2018 (in via retroattiva), sia per il 2019.

Dopodiché soltanto un lungo silenzio, forse dovuto anche alla sopravvenuta emergenza da Covid-19. In ogni caso, al netto delle motivazioni, è di tutta evidenza come il Legislatore italiano, dopo aver previsto nel 2015 un meccanismo così impattante come quello del payback, è poi rimasto completamente inerte per fin troppi anni (salvo appunto la fissazione dei tetti di spesa nel 2019, alla quale non è stato poi dato comunque alcun seguito).

Mentre le aziende farmaceutiche stavano tirando un sospiro di sollievo, nella convinzione che, dopo tanto tempo, difficilmente un provvedimento così pericolosamente impattante sui loro bilanci sarebbe divenuto esecutivo, è arrivata l’amara sorpresa con il Decreto Legge “Aiuti-bis” (al secolo: D.L. n. 115 del 2022): il payback riparte.

La ripartenza del payback è segnata dall’introduzione, per le annualità 2015-2018, di una precisa scansione procedimentale che ha assegnato ai vari attori in gioco una serie di prescrizioni che sono state (quasi) da tutti rispettate:

  • in data 15 settembre il Ministero della Salute ha emesso, di concerto con il MEF, un Decreto che ha certificato il superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici a livello nazionale e regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018;
  • nei 30 giorni successivi sono state emanate (anche se pubblicate solo il 26 ottobre) le linee guida da osservare, da parte di Regioni e Province Autonome, nella formulazione delle richieste di ripiano nei confronti degli operatori interessati;
  • entro il 14 dicembre 2022 (come da scadenza fissata dal D.L. “Aiuti-bis”) le singole Regioni e le Province Autonome hanno pubblicato gli elenchi delle aziende fornitrici soggette al meccanismo del ripiano per ciascun anno, richiedendo alle stesse di effettuare i pagamenti dovuti nei trenta giorni successivi a tale pubblicazione.

Here we are. Le aziende, dall’oggi al domani, si sono trovate a dover pagare somme (peraltro in alcuni casi molto ingenti) in favore di Regioni e Province Autonome, senza aver avuto alcuna responsabilità nello sforamento dei budget regionali.

Tutto ciò pare evidentemente iniquo e sembra porsi in violazione di tutti i principi enunciati dalla Costituzione e dal diritto dell’Unione europea a tutela dell’iniziativa economica privata. Il tema si pone peraltro anche sotto il profilo dell’affidamento del privato che si trova a dover pagare somme relative a periodi nei quali non era ancora stato definito il tetto di spesa, che ha quindi un chiaro impatto retroattivo.

Numerose aziende coinvolte hanno presentato ricorso davanti ai Tribunali amministrativi, chiedendo non solo l’annullamento dei provvedimenti statali e regionali che prevedono il payback, ma contestando anche la legittimità delle norme di legge su cui tali provvedimenti si fondano, ritenendole incostituzionali e contrarie al diritto dell’Unione europea.

In questo quadro, il Governo, probabilmente impressionato dalla valanga di ricorsi presentati, ha deciso – per il vero dopo qualche tentennamento – di rinviare tutti i termini di pagamento al 30 aprile 2023. Attenzione: sono stati rinviati i termini di pagamento, ma gli atti nazionali e regionali restano validi ed efficaci, tanto che in molti hanno ritenuto che “al danno si fosse aggiunta la beffa”.

La verità sta probabilmente nel mezzo: il rinvio potrebbe comunque lasciar trapelare l’intenzione del Governo di rimettere mano all’intera vicenda e, quindi, questa sospensione potrebbe essere letta come un primo positivo step.

Attendendo le prossime novità, resta l’amaro in bocca per l’ennesima vicenda mal gestita dai vari Governi che si sono avvicendati in questi anni i quali, fra omissioni, rimpalli di responsabilità e rinvii, non hanno affrontato con determinazione un nodo che prima o poi avrebbe dovuto essere sciolto.

La speranza è che per il futuro si possa impostare in maniera più sana il rapporto fra pubblico e privato (anche) nel campo dei dispositivi medici, mettendo le aziende del settore nelle condizioni di conoscere fin dall’inizio le “regole del gioco” e poter prevedere con un minimo di determinatezza quali variabili impatteranno sulla propria attività imprenditoriale.

Intervento di Matteo CORBO – Avvocato, Ph.D. – Socio c/o Studio SASPI-Fieldfisher



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